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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 5
Sentenza del 30/05/2018 n. 21064
FATTI DI CAUSA
A conclusione di attività di verifica, l'Agenzia delle entrate - Ufficio di Albenga notificava avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2000, 2001, 2002, 2003 e 2004, formulando rilievi in tema di IRPEG, IRAP ed IVA, in relazione all'attività condotta dalla contribuente, cioè compravendita automobili in concessionaria per il marchio XXX, giusto contratto con l'importatore italiano XXX.
1.1 Più in particolare, l'Ufficio riteneva doversi sottoporre ad Iva i premi, sconti o bonus che la concedente XXX offriva, vuoi al raggiungimento di determinati volumi di vendita, vuoi per migliorie della sede o per l'implementazione dei servizi che la concessionaria, liberamente adottava, seguendo un protocollo della concedente casa madre. Nella ricostruzione dell'Ufficio, tali dazioni di denaro trovavano origine nel contratto di concessione che la contribuente aveva stipulato con l'importatore XXX ed erano coerenti con l'attività ivi prevista, costituendone meri accessori. Di qui l'imposizione Iva anche a tali somme.
2. Insorgeva la contribuente avanti la CTP di Savona, contestando la ricostruzione operata dall'Amministrazione finanziaria.
2.1 In particolare qualificava i bonus come promessa unilaterale del concedente, condizionati al verificarsi di un fatto futuro ed incerto, estraneo alla disponibilità del concessionario, che può impegnarsi a raggiungere quegli obbiettivi quantitativi e qualitativi, ma senza alcuna sicurezza di successo. Specularmente, affermava che nessuna obbligazione potesse dirsi sorta, né alcun potere cogente era in capo al concedente per ottenere il comportamento del concessionario, escludendosi ogni profilo sinallagmatico tra prestazione e controprestazione, per cui il bonus pagato non poteva considerarsi in alcun modo corrispettivo, ma semplice dazione di denaro non soggetta ad Iva. Resisteva l'Ufficio a difesa del proprio operato, insistendo sull'interpretazione giuridica adottata.
3. I giudici di primo grado accoglievano le prospettazioni della società contribuente ed annullavano i provvedimenti impugnati. L'Agenzia interponeva appello, riproponendo le medesime argomentazioni già rappresentate in sede di verbale di accertamento. Il giudice di secondo grado rigettava l'appello erariale e confermava la sentenza del primo giudice. Propone ricorso per cassazione l'Agenzia, affidandosi a due motivi di censura. Si è ritualmente costituita la contribuente, controdeducendo specificamente ai motivi di doglianza. In prossimità' della pubblica udienza la contribuente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta la falsa applicazione dell'art. 2, comma 3, lett. a) del d.P.R. 26.10.1972, n. 633 in parametro all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.; con il secondo motivo si contesta l'insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. I due motivi possono essere trattati congiuntamente riguardando la natura dei bonus accordati alle concessionarie per il raggiungimento di determinati risultati di vendita o di miglioramento dell'offerta collaterale che può desumersi da servizi supplementari, estetica della sede, qualità del trattamento generale. Questo tema è stato trattato dalla Sezione (sent. 11398/2015, ripresa in ord. 28.06.2017 n. 16128), ove ben si distingue tra bonus «quantitativi» che fanno parte dell'attività tipica del concessionario, qual è appunto la vendita di auto, e che quindi sono soggetti ad Iva, separandoli dai bonus «qualitativi» in cui vi è una promessa unilaterale del concedente ed il bonus non è il «prezzo» dell'adeguamento del concessionario agli standards proposti dal concedente, seppure -avvisa la Sezione- in tali ipotesi occorre guardare al contratto per inquadrare correttamente il profilo civilistico da cui far discendere il momento fiscale; ed in questo senso costituiscono indici probatori il potere coercitivo esercitabile dalla concessionaria per ottenere l'adempimento delle obbligazioni, oppure il carattere automatico del bonus al verificarsi di fatti estranei alla volontà delle parti, ovvero l'estraneità del risultato alla disponibilità delle parti. Peraltro, la Sezione ha affermato non potersi sindacare in Cassazione la portata del contratto di concessione, trattandosi di apprezzamento squisitamente di fitto che è inibito al giudice di legittimità (cfr. ord. 7618/2017). Nel caso all'esame, il contratto risulta essere stato oggetto di puntuale analisi da parte del giudice di merito e la CTR ha ben governato i principi espressi dalla Sezione. Più in particolare, la sentenza qui impugnata contiene un accertamento di fatto in sé coerente, basato sui criteri legali di interpretazione del contratto (articoli 1362-1370 cod. civ.) da cui sono tratte le conseguenze inerenti il caso concreto. Per converso, l'Agenzia non ha dedotto l'errata applicazione dei predetti criteri ermeneutici ma si è limitata piuttosto a prospettare un accertamento diverso da quello operato dal giudice di merito che non può essere apprezzato in sede di giudizio di legittimità. In conclusione, i motivi di doglianza prospettati dalla difesa erariale sono infondati e vanno entrambi respinti, in disparte i loro profili di inammissibilità, ove vengono ad impingere nel merito della questione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna alla rifusione delle spese di lite che liquida in tre mila, oltre ad accessori, Iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.
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