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***La Corte di Cassazione con sentenza 28 marzo 2018 n. 7606 si è pronunciata sul ricorso proposto da una società.
Il processo ha preso avvio da un avviso di liquidazione ed irrogazione delle sanzioni avente ad oggetto il pagamento dell'imposta di registro relativa ad una sentenza emessa dal Tribunale di Salerno, con la quale veniva sciolta la comunione e attribuiva la relativa quota agli eredi.
I ricorrenti eccepivano, tra l'altro l'illegittimità dell'avviso di liquidazione in quanto la sentenza aveva statuito lo scioglimento della comunione con attribuzione delle rispettive quote e quindi, in assenza di conguagli, non si rendeva applicabile l'art. 34 del DPR n. 131/1986.
Inoltre, denunciavano il difetto di motivazione dell'atto impugnato e la mancata indicazione della base imponibile e della tariffa applicata.
La CTP accoglieva il ricorso dei contribuenti.
L'Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza di primo grado, rilevando come l'avviso di liquidazione fosse un mero atto di riscossione che non richiedeva una particolare motivazione, che l'imposta richiesta era un'imposta principale e non suppletiva e che l'assegnazione dell'immobile ad una sola delle parti in comunione era da ritenersi quale trasferimento ella quota dello stesso.
La CTR accoglieva l'appello, motivando che la sentenza del Tribunale aveva determinato un trasferimento di proprietà per mezzo dei beni in comunione e pertanto si trattava di una sentenza di accertamento della quota di diritto di ciascun comunista sulla massa comune e di un contestuale atto traslativo del diritto di proprietà.
I contribuenti, quindi, proponevano ricorso davanti alla Corte di Cassazione affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo, i ricorrenti, hanno rilevato la violazione dell'art. 7, comma 1, della l. 212/2000 e degli articoli 5, comma 2bis e 54 del DPR 26 aprile 1986, n. 131 in relazione all'art. 3600, comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto secondo i contribuenti i giudici d'appello hanno erroneamente ritenuto adeguatamente motivato l'atto impositivo, mentre risulta la evidente carenza di motivazione dell'avviso.
Con il secondo motivo i ricorrenti hanno eccepito la violazione e falsa applicazione dell'art. 42 del DPR 131/1986 con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3 del c.p.c. in quanto la CTR non ha considerato il reale significato della norma riportata in rubrica, ritenendo che l'avviso di liquidazione avesse natura di imposta principale e non suppletiva.
Con il terzo motivo di ricorso hanno eccepito la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 20 e 34, commi 1 e 2 del DPR n. 131/1986 ed art. 3 della Tariffa anche in relazione all'art.720 c.c., con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3 e 5.
Con il quarto motivo hanno eccepito la violazione e falsa applicazione degli art. 20, 21 e 57 del DPR 131/1986 e 8 Tariffa parte prima, con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3 del c.p.c., escludendo il vincolo di solidarietà.
La Corte di Cassazione, esaminando per primo il terzo motivo di ricorso (cui segue l'assorbimento degli altri) e ritenendo la censura fondata, ha statuito come in tema di imposta di registro, la divisione è un atto avente natura dichiarativa, sottoposto all'aliquota del 1% e precisando come “nel campo del diritto tributario è stata, infatti, pacificamente accolta la nozione di divisione come atto avente natura dichiarativa, purché le porzioni concretamente assegnate ai condividenti, quote di fatto, corrispondono alle quote di diritto, cioè a quelle quote che spettano ai partecipanti, sui beni della massa, in ragione dei diritti che essi vantano. Pertanto, assume importanza essenziale, per l'individuazione dell'imposta da applicare, il rapporto tra quota di diritto e quota di fatto, nel caso in cui quest'ultima superi la pars iuris, la divisione, per l'eccedenza, perderà la sua natura dichiarativa, per divenire un negozio parzialmente traslativo, assoggettato alla relativa imposta di trasferimento”.
La Corte, poi, ricorda come l'art. 34, comma 1, del DPR 131/1986 stabilisce i criteri per la determinazione della massa comune, distinguendo tra la comunione derivante da successione mortis causa e comunione derivante da titolo diverso.
L'art. 34, comma 1 del DPR sopracitato stabilisce che “la divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo, eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente”.
Di conseguenza, in tema di imposta di registro, in caso di scioglimento della comunione ereditaria mediante assegnazione di beni in natura e versamento di conguagli in denaro ove i coeredi abbiano ricevuto il valore delle rispettive quote si applica l'aliquota degli atti di divisione e non l'aliquota degli atti traslativi, tenuto conto di come questa, secondo l'art. 34 del sopracitato dpr, è applicabile solo nel caso in cui ad un condividente siano stati attribuiti beni per un valore eccedente quello a lui spettante e limitatamente alla parte in eccedenza.
Non rilevando quindi che la somma corrisposta a titolo di conguaglio provenga o meno dalla massa ereditaria, in quanto la norma citata si riferisce unicamente al loro valore.
LE CONCLUSIONI DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Secondo la Corte, la sentenza del Tribunale, provvedendo in ordine allo scioglimento della comunione ha attribuito ai fratelli D.L. il valore delle rispettive quote di diritto senza effettuare conguagli, né determinando attribuzioni di beni in eccedenza la quota di diritto a ciascuno di essi spettante.
Pertanto, accoglie il ricorso introduttivo dei contribuenti e condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese.
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Questo è solo un esempio dei casi di Annullamento dell'Avviso di liquidazione in materia di Divisione ereditaria ed applicazione dell'imposta di registro ai conguagli. Tuttavia, le variabili sono molte di più e poiché richiedono un esame ben più approfondito, e l’analisi di copiosa giurisprudenza, non possono essere esaminate ora. Però puoi visionare le tante sentenze pubblicate in questo sito per farti un’idea da solo.
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