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Medici specialisti ambulatoriali convenzionati: quando gli atti dell'Agenzia delle Entrate sono infondati. 3 esempi di casi in cui i medici hanno vinto a seguito di ricorso.

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Medici specialisti ambulatoriali convenzionati: quando gli atti dell'Agenzia delle Entrate sono infondati. 3 esempi di casi in cui i medici hanno vinto a seguito di ricorso.

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Accanto ai medici dipendenti del SSN o di strutture ospedaliere private e quelli, invece, che scelgono la libera professione, compaiono i medici specialisti ambulatoriali che operano in rapporto di convenzione con un’azienda ospedaliera.

Si tratta, in questo caso, di medici che prestano il loro lavoro in maniera coordinata ed integrata con le strutture sanitarie ma al di fuori di esse e quindi all’interno di ambulatori distrettuali. Grazie a questi medici, in sostanza, viene assicurata l’assistenza sanitaria nel territorio, presso i presidi poliambulatoriali dei distretti.

Essi, quindi, rappresentano la longa manus del SSN, garantendo i livelli essenziali di assistenza sanitaria sempre attenendosi agli obiettivi ed ai programmi dell’azienda di riferimento.

Si tratta di una figura ibrida e molto discussa che può svolgere la propria prestazione specialistica per una sola azienda o anche per più aziende ospedaliere.

Proprio queste sue particolarità rendono difficile l’esatto inquadramento lavorativo di questo specialista della medicina.

Ed infatti, esiste non poca confusione a riguardo. Secondo alcuni si tratterebbe di un lavoratore autonomo, così come previsto dagli accordi collettivi nazionali. Altri lo qualificano, invece, come un lavoratore subordinato essendo tenuto il medico al rispetto delle norme contrattuali relative all’orario di lavoro, potere disciplinare, indennità di malattia, regime delle ferie, ecc. proprie del lavoratore dipendente. Altri ancora, addirittura, arrivano a qualificarlo quale lavoratore parasubordinato, alimentando ancora di più i confini tra le garanzie e le prerogative proprie dei primi due.

Tasto dolente per il medico che sceglie di lavorare quale medico specialista ambulatoriale in regime di convenzione è la retribuzione. Il professionista, infatti, viene pagato in base al numero di ore prestate e non può comunque mai superare le 38 ore settimanali.

Questo limite, purtroppo, nella maggior parte dei casi non viene mai raggiunto anche perché nell’attuale momento storico, i medici specialisti che operano in regime di convenzione faticano ad arrivare alle 4/5 ore settimanali di lavoro ed essendo, peraltro, costretti a spostarsi da un ambulatorio ad un altro. Non di rado, infatti, capita che il medico debba percorrere diversi chilometri per effettuare una sola prestazione.

Oltre a ciò, altro aspetto negativo della professione riguarda il rigido regime di incompatibilità. Ed infatti, il medico che decide di percorrere questa carriera non può svolgere nessun’altra attività lavorativa anche se, molto spesso, vengono adoperati inappropriatamente per svolgere attività ordinarie di reparto a causa della carenza di organico degli ospedali. I rapporti tra i due sono però iniqui, anche sotto il profilo retributivo e normativo, in quanto il medico che esercita la propria attività nel Servizio Sanitario Nazionale è uno specialista dipendente con incarico dirigenziale.

Anche dal punto di vista fiscale, infine, questo professionista non gode di grandi agevolazioni ed è costretto ad adottare il regime fiscale più adeguato alla sua situazione in osservanza alle norme tributarie in vigore. In particolare, i medici che operano a temo determinato devono, oltre aprire la partita Iva e sopportare tutti gli adempimenti del caso oltre a regolare la propria posizione contributiva mediante l’iscrizione all’Enpam e quindi a sostenere i relativi costi.

Ove ciò non bastasse, il medico specialista ambulatoriale convenzionato con il SSN è talora costretto ad affrontare le richieste dell’erario relativamente a tributi non versati.

Vediamo quando, però, queste richieste sono infondate e non dovute.

Comm. Trib. Reg. per le Marche, sentenza n. 1024 del 31dicembre 2019

Questa vicenda ha origine dal ricorso promosso da un contribuente, esercente l’attività di medico specialista ambulatoriale, avverso il rigetto dell'istanza di rimborso dell'IRPEF trattenuta su quanto percepito dalla ASL a titolo di rimborso spese di viaggio sostenute per recarsi in ambulatori distanti dal suo Comune di residenza.

In primo grado la CTP ha respinto il ricorso ritenendo che i rimborsi spese riconosciuti ai medici specialisti ambulatoriali per gli spostamenti presso ambulatori situati in Comuni diversi da quello di residenza fossero da assoggettare a tassazione ex art. 51, comma 1, del Tuir. A parere dei giudici, in sostanza, non si trattava di una vera e propria trasferta ma di un semplice esercizio dell’attività per le diverse sedi dislocate sul territorio.

La CTR invece, ha accolto il ricorso del contribuente precisando che i rimborsi sono spese effettivamente sostenute dal medico specialista ambulatoriale presso gli ambulatori esterni al comune di residenza e calcolati rispetto al chilometri effettivamente percorsi ed al costo del carburante consumato. Per questi motivi la Corte ha riconosciuto al medico, per ogni accesso in Comune diverso da quello di residenza, un rimborso spese in ragione dei chilometri percorsi, avente natura risarcitoria e non già retributiva ed, in quanto tale, insuscettibile di essere sottoposto da imposizione.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 6793 del 2 aprile 2015

In questa ordinanza la Cassazione è stata chiamata ad affrontare un caso analogo a quello precedente, pronunciandosi su un ricorso proposto da un medico specialista ambulatoriale avverso il silenzio rifiuto sulla istanza di rimborso ai fini Irpef delle somme trattenute a titolo di rimborso spese per le trasferte effettuate fuori dal suo Comune di residenza. A parere del contribuente tali somme, da considerarsi alla stregua di rimborsi spese, non sarebbero assimilabili alla retribuzione e quindi non soggette a tassazione.

Anche la Suprema Corte ha avvalorato questa tesi nel presupposto che le indennità riconosciute al medico assolvano una funziona risarcitoria ovvero di ripristinare il suo patrimonio depauperato a causa degli esborsi effettivamente sostenuti per conto dell’azienda sanitaria. Per tali motivi, a parere del Collegio, non è prevista alcuna trattenuta nel rimborso delle spese che il medico ha dovuto sostenere per gli spostamenti fuori dal suo comune di residenza, così escludendone la tassabilità.

Corte di Cassazione, sentenza n. 15012 del 17 luglio 2015

Con questa pronuncia, infine, la Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso promosso da un medico il medico specialista in convenzione con il SNN tenuto, a parere dell’Amministrazione Finanziaria, al pagamento dell’IRAP in quanto era dotato di un’organizzazione autonoma e ben strutturata. Egli, a parere degli accertatori, esercitava la sua attività con molti beni strumentali, corrispondeva compensi a ad altri colleghi medici, era proprietario di un immobile dove svolgeva l'attività stessa in modo attrezzato.

La difesa, nel ricorso, ha evidenziato come i giudici di merito avessero trascurato tutte le prove fornite attraverso cui era stato dimostrato che la contribuente, medico pediatra in convenzione con il SSN, in realtà svolgeva la sua attività in un ambulatorio pubblico provinciale, utilizzava beni strettamente indispensabili e versava compensi a terzi solo occasionalmente e per far fronte a sue brevi assenze.

La Cassazione ha accolto le tesi della difesa ritenendo non sussistenti i presupposti dell’autonoma organizzazione ai fini Irap che, al contrario, avrebbe richiesto l'impiego del lavoro di terzi, l'utilizzo di beni strumentali di grande valore e di un immobile adibito appositamente alla professione. Elementi che, in questo caso, non erano stati dimostrati.

 

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