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Rivenditore di auto usate: quando il regime di margine fa dubitare della sua correttezza. Verifiche fiscali dell’Agenzia delle Entrate. 3 esempi di casi in cui il rivenditore ha vinto il processo.

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Rivenditore di auto usate: quando il regime di margine fa dubitare della sua correttezza. Verifiche fiscali dell’Agenzia delle Entrate. 3 esempi di casi in cui il rivenditore ha vinto il processo. 

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Auto di lusso a prezzi più bassi rispetto al mercato, sconti che nessun altro rivenditore di autovetture riesce ad applicare: sono questi alcuni degli indizi che fanno dubitare l’Agenzia delle Entrate della correttezza fiscale del rivenditore di auto usate.

Pensare che dietro un rivenditore di auto usate che applica prezzi più bassi rispetto alla prassi commerciale del settore si nasconda una frode è alquanto facile, quasi automatico.

Nella mente dei funzionari delle verifiche potrebbe, infatti, apparire presente il meccanismo secondo cui i rivenditori italiani acquistano autovetture da società cartiere estere, c.d. missing trader, che operano in frode al fisco favorendo le società italiane di vendita autovetture usate allo scopo di pagare meno tasse.

Seppure casi simili si verifichino nella realtà quello che è certo è che la gran parte dei rivenditori di auto in Italia operano nella più totale trasparenza e correttezza.

Il mercato delle auto usate in Italia è un settore in positivo, che gode di buona salute e che mostra anche grande soddisfazione da parte degli acquirenti.

Non è raro, infatti, che questi ultimi prediligano l’acquisto di un’auto usata rispetto ad una nuova.

Il motivo principale è indubbiamente la convenienza di prezzo e quindi la sensazione di fare un affare acquistando ad un prezzo conveniente, peraltro avendo le stesse garanzie di un acquisto in concessionaria.

Peraltro, le attività di vendita di auto usate in Italia, possono essere assoggettate al regime del margine ai sensi degli artt. 36 e ss. del D.L. n. 41 del 1995.

Si tratta di una particolare regime di Iva rivolto agli operatori economici che operano nel settore della vendita di beni usati, comprese le autovetture. Esso consiste nell'applicare l'IVA al solo margine di vendita, ovvero alla differenza tra il costo sostenuto dall'operatore per acquistare il bene usato e il corrispettivo ricavato dalla vendita. Lo scopo di questo regime è di evitare di pagare due volte la stessa imposta.

Affinché possa trovare applicazione questo particolare regime il rivenditore deve possedere alcuni requisiti, sia di tipo soggettivo che oggettivo.

Innanzitutto, sotto il profilo oggettivo è indispensabile che la compravendita abbia ad oggetto veicoli usati destinati ad essere utilizzati nello stato in cui si trovano o previa riparazione e che siano stati acquistati da “privati” in Italia o in altro Stato Ue.

In particolare, un veicolo si considera usato se sono decorsi almeno 6 mesi dalla prima immatricolazione e se ha un chilometraggio superiore a 6.000 km già percorsi.

Dal punto di vista oggettivo la normativa richiede che le auto siano acquistate da soggetti privati, o equiparati ad essi, sia nel territorio dello Stato italiano sia negli altri Paesi UE.

La particolarità di questo regime risiede che fatto che per la vendita di auto usate, è assoggettato a IVA solo l’utile lordo ottenuto dal commerciante, vale a dire la differenza (cd. “margine“) fra il prezzo di vendita e quello di acquisto, eventualmente aumentato delle spese di riparazione del veicolo (es. rifacimento della carrozzeria o sostituzione di piccole parti usurate, ecc.).

Proprio a causa di tali agevolazioni i rivenditori di auto usate sono spesso sottoposti a controlli serrati da parte del Fisco che, non di rado, contesta il mancato versamento di tributi (non sempre dovuti, come dimostra anche l’esame della giurisprudenza che seguirà).

Vediamo, allora, alcuni casi in cui il rivenditore di auto usate, costretto a difendersi nel processo con l’Agenzia delle Entrate, ha dimostrato di aver ragione.

Corte di Cassazione, sentenza n. 30013 del 21novembre 2018 

Questa vicenda ha preso avvio da un avviso di accertamento notificato dall'Agenzia delle Entrate, sulla base dei rilievi effettuati della Guardia di Finanza, attraverso cui si rettificava, ai fini Irpeg, Irap ed Iva, la dichiarazione presentata da una società di rivendita di auto usate.

A parere degli accertatori tale società si sarebbe rivolta a società straniere inesistenti prive di qualsivoglia organizzazione commerciale e di strutture logistiche, applicando indebitamente il regime speciale del margine di utile in materia di Iva.

La maggior tassazione era determinata dal fatto che i costi sostenuti dalla società di rivendita di auto usate erano riconducibili ad operazioni ritenute "soggettivamente inesistenti", ossia concluse con soggetto fittiziamente interposto rispetto al reale fornitore della contribuente, e che quest'ultima avesse conoscenza della frode (c.d. frode carosello).

In realtà la Suprema Corte ha finito col dare ragione alla società di rivendita di veicoli usati alla quale non può essere contestata la deducibilità dei costi perché le auto acquistate non sono stati utilizzate allo scopo di commettere il reato, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzate all’interno del mercato italiano.

Comm. Trib. Reg. di Milano, sentenza n. 127/65 del 8 luglio 2010

Anche questo caso ha avuto origine da un accertamento effettuato dalla Guardia di Finanza nei confronti di una società di rivendita di auto usate in liquidazione dal quale sono scaturiti degli avvisi di accertamento per il recupero a tassazione di maggiore IVA dovuta al fisco derivante dall’inapplicabilità in questo caso del regime del margine sugli acquisti di auto usate.

La Commissione regionale, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto sussistenti tutti i requisiti previsti per l'applicazione del regime del margine, in quanto dalla documentazione prodotta dal contribuente era emerso che le operazioni di compravendita degli automezzi rientravano nel citato margine. Ciò in quanto nelle fatture di vendita era menzionata l'indicazione del regime del margine né essendo tenuto il cessionario a controllare la veridicità delle dichiarazioni affermate dal cedente.

Comm. Trib. Reg. per la Toscana, sentenza n.  del 27 maggio 2011

Anche questo ultimo caso ha avuto origine da un avviso di accertamento notificato ad una società di rivendita di auto usate per il recupero a tassazione costi non inerenti, ricavi non dichiarati e maggiore IVA dovuta al fisco derivante dall’attività di vendita di auto straniere effettuata applicando in maniera, ritenuta illegittima, il regime del margine.

La Commissione regionale, così come il giudice di primo grado, ha dato ragione alla società contribuente che aveva proposto ricorso ritenendo che i libretti di circolazione delle auto non potevano dar prova del regime fiscale applicabile e che la società contribuente non fosse tenuta ad effettuare un controllo rispetto a quanto dichiarato nella fattura, anche considerato che aveva acquistato ad un operatore avente sede in Italia.

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