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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Ordinanza n. 33619 del 18 dicembre 2019
Rilevato che:
A seguito di verifica svolta dalla Guardia di Finanza a carico della società L. s.p.a., l'Agenzia delle Entrate emetteva avviso di accertamento, per l'anno 2004, con il quale procedeva alla rettifica della dichiarazione dei redditi modello Unico 2005 SC, recuperando a tassazione, ai fini Ires, Irap ed Iva, gli importi non contabilizzati, non giustificati o indebitamente detratti, oltre interessi e sanzioni.
La società impugnava il predetto avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che respingeva il ricorso, accogliendo la tesi dell'Ufficio.
Avverso tale sentenza, la società contribuente proponeva, dunque, appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale (di seguito, per brevità CTR) deducendo, nel merito, l'infondatezza della tesi dell'Ufficio posta a fondamento dell'avviso di accertamento.
La CTR adita, respingeva l'appello con la sentenza in epigrafe. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione la società L. s.p.a., affidandosi ad otto motivi di ricorso. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente lamenta la - violazione dell'art. 36 del D.lgs. n. 546 del 31/12/1992, dell'art. 132, comma 4, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per essere il giudice di secondo grado incorso in difetto di motivazione sull'eccezione formulata da essa ricorrente nei giudizi di merito (relativa all'invalidità dell'accertamento emesso prima del decorso del termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 12 della legge n. 212 del 2000), nonchè per esservi contrastako tra la motivazione della sentenza ed il dispositivo di rigetto dell'eccezione.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione dell'art. 113 cod. proc. civ. e dell'art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., laddove la sentenza di seconde cure, nella parte in cui ritiene «di poter superare l'eccezione di nullità dell'atto impositivo in considerazione della circostanza che l'anticipo rispetto al termine di 60 giorni di cui si discute è di sei giorni per quanto concerne l'emanazione dell'avviso di accertamento e di un solo giorno relativamente alla spedizione.
Pertanto la parte contribuente ha avuto comunque a disposizione un congruo periodo per formulare le proprie osservazioni difensive, come dimostrato anche dal deposito di una memoria in data 21 dicembre 2009, quindi prima dell'emanazione dell'atto impositivo», afferma, in realtà, l'illegittimità dell'atto impositivo ricorrendo a valutazioni contrarie a norme giuridiche prive di alcuna giustificazione giuridica e quindi non supportate da norme di legge.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, la società ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della legge n. 212 del 27/07/2000, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc.civ., laddove la sentenza impugnata afferma che l'atto accertativo non è illegittimo anche se è stato emesso con sei giorni di anticipo.
1.4. Il quarto motivo di ricorso, è così rubricato: «4. art. 360 comma 1, n. 5, cod. proc. civ.: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
La Commissione tributaria regionale del Veneto ha omesso l'esame del fatto che il perito è giunto alla conclusione che la pressocché totalità delle operazioni riportate nei brogliacci trova coincidenza nella documentazione contabile ufficiale di O. e di Q.S., circostanza che determina l'infondatezza quasi totale della ricostruzione operata dai verificatori.».
1.5. Il quinto motivo, è così rubricato: «5. articolo 360, comma 1, n. 4: nullità della sentenza e del procedimento, violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., laddove la commissione tributaria regionale non ha valutato la prova fornita da Q.S. ossia che da documento peritale asseverato risulta che la maggior parte delle operazioni oggetto di contestazione risultano registrate nella contabilità ufficiale.».
1.6. La rubrica del sesto motivo così recita: «art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.: nullità della sentenza del procedimento violazione dell'articolo 36 D.Igs. n. 546 del 1992 e degli articoli 112,115, 116 del cod. proc. civ., laddove la commissione tributaria regionale non ha valutato e non si è pronunciata sull'eccezione formulata in sede di appello secondo la quale le operazioni oggetto di contestazione trovano riscontro nella documentazione contabile ufficiale di O. e di Q.S..».
1.7. Il settimo e l'ottavo motivo sono così rubricati: «7. Art. 360, comma 1, numero 4, cod. proc. civ.: nullità della sentenza del procedimento, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell'art. 111 Cost., laddove la commissione tributaria regionale ha valutato in modo non uniforme e parziale di dichiarazioni rilasciate alla Guardia di Finanza dal legale rappresentante e dai dipendenti della O. e le dichiarazioni acquisite da Q.S. dei medesimi soggetti. 8. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione dell'art. 2697 c. c. laddove la commissione tributaria regionale del Veneto non riconosce la deduzione di ulteriori costi dagli asseriti maggiori ricavi accertati imputando alla ricorrente l'onere di dimostrarne la sussistenza.».
2. I primi tre motivi vengono esaminati congiuntamente, in quanto costituenti sostanzialmente frammentazione di una stessa censura.
Gli stessi sono complessivamente fondati nei termini qui di seguito esposti.
3. La questione sollevata in via di eccezione dalla società nel giudizio di merito - relativa al mancato rispetto, all'atto dell'emissione dell'avviso di accertamento, dei termini di cui all'art. 12 della legge 212 del 2000, per essere stato l'avviso di accertamento emesso prima dello spirare dei 60 giorni dalla comunicazione al contribuente del verbale di chiusura dell'attività di controllo, pur in difetto di motivazioni riguardo alle ragioni dell'urgenza - è stata oggetto di specifico ed articolato esame da parte della CTR (v. sentenza impugnata par. 15, pagine 13-19).
3.2. I secondi giudici, attraverso il richiamo a precedenti di questa Corte nonché dei giudici delle Leggi, hanno motivato le ragioni di rigetto della relativa questione, prima, affermando l'illegittimità dell'atto impositivo in quanto mancante di giustificazioni inerenti all'urgenza (v., sentenza impugnata, par. 15, pag. 14 e 15), e, poi, affermando il superamento dell'eccepita nullità sul rilievo che l'anticipo di sei giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento e di un solo giorno per la spedizione dell'atto aveva comunque messo in condizione la parte contribuente di formulare le proprie osservazioni difensive. 4. Orbene, se la motivazione contenuta al paragrafo n. 15, distanzia del tutto la sentenza impugnata dalla censura di nullità per motivazione apparente, di cui al primo motivo, avendo i secondi giudici compiutamente argomentato le ragioni della decisione, viceversa, appaiono fondate le ulteriori censure di cui ai motivi secondo e terzo, per quanto qui di seguito esposto.
5. Il giudice di appello, a fronte di un avviso di accertamento emesso ante tempus, ha ritenuto che l'atto è stato emanato con un anticipo irrilevante, in quanto breve (6 giorni per l'emanazione dell'avviso ed 1 giorno per l'avviso di spedizione), lasciando a disposizione della società contribuente un congruo periodo per formulare le proprie difese, come avrebbe confermato il deposito da parte della Q.S. s.p.a., della memoria difensiva del 21.12.2009, avvenuto prima dell'emanazione dell'atto impositivo (v. sentenza CTR, pag. 19).
6. Nel panorama giurisprudenziale della Suprema Corte in materia di contraddittorio endoprocedimentale, sono due le sentenze rese dalle Sezioni Unite che costituiscono il punto di riferimento da cui muove l'interpretazione dell'articolo 12, comma 7, della legge cit..
6.1. Con la decisione n. 18184 del 29/07/2013, le Sezioni Unite hanno stabilito che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento, previsto dall'art. 12, comma 7, I. n. 212 del 2000 - termine che, secondo interpretazione unanime, decorre dal rilascio al contribuente, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza; ciò in quanto trattasi di termini posti a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione di principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.
Le Sezioni Unite hanno specificato che il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza del requisito dell'urgenza (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'ufficio (cfr. Sez. U, Sentenza n. 18184 del 29/07/2013, Rv. 627474).
6.2. Con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, le Sezioni Unite, hanno fornito un'ulteriore interpretazione delle norme in parola per i cd. controlli cd. "a tavolino", stabilendo che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l'Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. "a tavolino"» (cfr. Sez. U, Sentenza n. 248823 del 09/12/2015, Rv. 637605-01). Tale decisione ha, altresì, affermato la necessità di operare, per i tributi armonizzati la cosiddetta "prova di resistenza" ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, nel senso che l'Amministrazione finanziaria è gravata da un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto, purché il contribuente abbia assolto all'onere di denunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi "armonizzati", mentre per quelli "non armonizzati" non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che sussiste solo per l'ipotesi in cui risulti specificamente sancito.
7. A fronte di tale quadro normativo di riferimento e dell'interpretazione datane dal supremo consesso, l'orientamento più recente di questa Sezione, ha ritenuto di dover procedere ad un'interpretazione orientata al quadro costituzionale ed euro unitario di riferimento in applicazione dei due principi cardine del diritto comunitario regolanti il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale, quali, il principio dell'equivalenza (secondo cui le modalità previste per l'applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura interna) ed il principio di effettività (secondo cui la disciplina nazionale non deve rendere in concreto impossibili o eccessivamente gravoso l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'unione, dovendo porre il contribuente nelle condizioni di esercitare il contraddittorio). La nuova prospettiva ermeneutica, ha desunto l'applicazione di tali principi dall'esame di una serie di pronunce in cui la Corte di Giustizia Europea ha applicato il diritto al contraddittorio, coerentemente con la sua natura di diritto fondamentale (artt. 41 e 47 CDFUE), nei casi in cui il diritto comunitario non disciplini espressamente le modalità di esercizio di tale fondamentale diritto di difesa, statuendo le condizioni in base alle quali il diritto nazionale possa essere ritenuto rispettoso del diritto comunitario, nel disciplinare condizioni ed effetti del dirtto al contraddittorio endoprocedimentale ( v. CGUE 3 luglio 2014, C-129 e 130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financien; CGUE 18 dicembre 2008, C-349-07, Sopropè - Organizacoes de Calcado Lda contro Fazenda Publica).
7.1. Sul solco di tale interpretazione, improntata ai principi costituzionali ed a quelli comunitari è stato, dunque, affermato che:«In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, opera una valutazione "ex ante" in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l'atto impositivo emesso "ante tempus", anche nell'ipotesi di tributi "armonizzati", senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di "resistenza", invece necessaria, per i soli tributi "armonizzati", ove la normativa interna non preveda l'obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione "ex post" sul rispetto del contraddittorio.» (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456-01, seguita da Sez. 5, Sentenza n. 22644 del 11/09/2019, Rv. 655048- 01).
8. Questo Collegio, ritiene di dar seguito e far proprio tale l'orientamento, favorendosi, così, un'interpretazione dell'art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente che non restringa la protezione da accordare ai tributi armonizzati rispetto a quella che è assicurata dal diritto interno ai tributi non armonizzati.
Seguendo tali principi, infatti, ai fini delle imposte armonizzate, la prova di resistenza non si deve applicare nelle tre ipotesi in cui nei confronti del contribuente sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, dovendosi applicare solo nel caso di verifiche cd. "a tavolino"; per essi, la prova di resistenza scatta solo nel caso in cui la normativa interna non preveda la sanzione di nullità (specularmente, ove il legislatore già preveda tale sanzione, non opera il riferimento alla prova di resistenza).
Come osservato dalle pronunce cui qui si dà seguito, tale interpretazione risulta maggiormente in linea sia con la Costituzione (artt. 111 e 97 Cost., dovendosi garantire il contraddittorio endoprocedimentale per entrambe le forme di tributi, stante la sanzione di nullità comminata per la violazione in questione) sia con il primato del diritto comunitario in tema di diritto fondamentale al contraddittorio, garantendo il rispetto del principio di equivalenza (che risulterebbe violato se la norma fosse applicabile ai soli tributi non armonizzati) e del principio di effettività.
Peraltro, tale chiave ermeneutica, risulta maggiormente aderente anche all'espressione letterale dell'art. 12, comma 7, I. cit., che non distingue tra tributi armonizzati e non armonizzati.
9. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, ne consegue l'accoglimento dei motivi di ricorso riguardanti la violazione del termine di cui all'articolo 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, come, peraltro, ammesso dalle parti processuali ed emergente dalla stessa sentenza impugnata.
9.1 In particolare, nella specie, non rileva l'omessa prova di resistenza da parte del contribuente, trattandosi di illegittimità (violazione del termine dilatorio per l'azione accertativa) derivante dalla citata disposizione (si ripete che, anche per i tributi armonizzati, come l'Iva, la prova di resistenza scatta solo nel caso di mancata previsione della normativa interna della sanzione di nullità, invece prevista dal secondo comma dell'art.12, comma 7, I. cit, per l'ipotesi di violazione del termine dilatorio) ed in assenza di valide ragioni di urgenza che, di certo, non possono in alcun modo essere individuate nell'imminente scadenza del termine decadenziale dell'azione accertativa, così come, invece, erroneamente assunto dai secondi giudici (ex plurimis, Sez. 6- 5, Ordinanza n. 22786 del 09/11/2015, Rv.637204-01; Sez. 5, Sentenza n. 5149 del 16/03/2016, Rv. 639141-01;Sez. 6-5, Ordinanza n. 8749 del 10/04/2018, Rv. 647732-01; sez. 6-5, Ordinanza 10/04/2018 n. 6416 Rv. 647732-01).
10. In conclusione, le censure che svolge la ricorrente col secondo e terzo motivo di gravame, sono fondate e vanno accolte, con assorbimento degli altri motivi di ricorso.
Nei limiti dei motivi accolti, la sentenza impugnata deve essere cassata e non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, la causa può essere decisa nel merito con l'accoglimento del ricorso originario della società contribuente.
11. Tenuto conto dell'evoluzione interpretativa del quadro normativo di riferimento, come sopra descritta, devono compensarsi non solo le spese del presente giudizio, ma anche le spese dei precedenti giudizi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso per quanto in motivazione e decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso della società contribuente.
Compensa le spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 22 ottobre 2019.
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