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Accertamento dell’Agenzia delle Entrate a carico dell’agente di commercio. 3 esempi di casi in cui gli agenti di commercio hanno provato che l’Agenzia aveva sbagliato gli accertamenti.

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Accertamento dell’Agenzia delle Entrate a carico dell’agente di commercio. 3 esempi di casi in cui gli agenti di commercio hanno provato che l’Agenzia aveva sbagliato gli accertamenti.

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Il vecchio rappresentate, identificato come il procacciatore di affari con l’auto piena di merce e con la valigetta in mano che bussa alle porte di aziende ed imprese, è ormai stato ampiamente superato dalla nuova figura dell’agente di commercio, un imprenditore vero e proprio impegnato a concludere contratti per conto di un’azienda mandataria.

Cambiata la veste, a rimanere fermo, però, è il ruolo di venditore che macina chilometri al solo scopo di portare a casa un nuovo contratto di fornitura di beni o servizi e garantire nuove commesse all’azienda che lo ha incaricato e quindi allargare la sua rete di vendita.

Agente che può essere monomandatario, quindi agire per conto di una sola azienda o plurimandatario, rappresentare diverse aziende (che non siano ovviamente concorrenti tra loro). La sua attività può, inoltre, avere ad oggetto esclusivo una determinata zona o territorio.

Che siano opere d’arte, insegne luminose, materiali preziosi, capi di abbigliamento o prodotti alimentari, l’agente di commercio è lavoro molto apprezzato da coloro i quali amano l’indipendenza.

Infatti, l’agente di commercio non ha un vincolo di lavoro con l’azienda che lo ha incaricato ma è autonomo, indipendente nel suo lavoro. È comunque legato ad un contratto con l’azienda, più o meno stabile e continuativo.

Il guadagno di questo professionista delle vendite, insomma, dipende dal suo impegno. Più sono i contratti commerciali chiusi maggiori sono le provvigioni riconosciute, in relazione al singolo affare.

I suoi guadagni oscillano in proporzione agli affari conclusi per conto dell’azienda o delle aziende per cui è incaricato. Il suo è un business variabile, per il quale è difficile stabilire con certezza le entrate nel corso di un mese.

Ecco allora che ricostruire l’esatto volume di affari di un agente di commercio è un’attività piuttosto complessa.

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Cosa comporta diventare agente di commercio

Innanzitutto, l’agente di commercio che intende svolgere regolarmente questa professione deve partire dall’apertura di una partita iva inoltrando alla Camera di Commercio di competenza una Segnalazione Certificata di Inizio Attività, la c.d. SCIA.

Per quanto riguarda la remunerazione dell’agente di commercio, c’è da dire che questa figura, a differenza di un dipendente, non gode di un compenso fisso mensile ma lavora a “provvigioni”. Tuttavia, alcune aziende favoriscono il rapporto fiduciario con l’agente accordandogli un anticipo provigionale da scalare a seconda degli affari conclusi o garantendogli un minimo mensile.

Sotto il profilo fiscale l’agente di commercio è tenuto al versamento delle tasse e dei contributi previdenziali. Dovrà quindi pagare annualmente IRPEF, IPRAP ed INPS commisurate, tutte e tre, al suo valore di affari, quindi al suo fatturato. Maggiori sono i ricavi, più sono le imposte da pagare.

Inoltre, superare una determinata soglia di fatturato comporta una maggiore pressione fiscale per l’agente e quindi l’applicazione di una diversa aliquota.

Ed è proprio la mancata dichiarazione dei compensi percepiti dagli agenti di commercio che è sotto l’occhio vigile del Fisco. Si ritiene, infatti, che l’agente sottragga parte delle sue provvigioni dalle dichiarazioni al fine di ridurre la pressione fiscale e, in sostanza, pagare meno tasse.

Lo scopo dell’Agenzia delle Entrate è dunque quello di accertare la massa fiscale evasa da assoggettare alle imposte.

Vi sono, però dei casi in cui dagli accertamenti emerge un quadro diverso da quello prospettato.

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3 esempi in cui l’agente di commercio ha vinto contro l’Agenzia delle Entrate:

Corte di Cassazione, Sez. Civile, ordinanza n. 1134 del 21 gennaio 2016

Questa vicenda ha avuto origine da un avviso di accertamento notificato ad un agente di commercio operante in Lombardia e relativo ad Irpef, Iva ed Irap presuntivamente sottratti all’Erario. Stando agli studi di settore, infatti, l’agente avrebbe dovuto percepire maggiori ricavi e quindi pagare maggiori tasse. Sia in primo che in secondo grado le Commissioni Tributarie provinciale e regionale hanno dato ragione al contribuente ritenendo che le regole dello studio di settore erano state usate in modo errato.

In particolare, è stata avvalorata l’opinione costante per cui gli studi di settore, costituendo una presunzione semplice, devono essere riscontrati in maniera precisa e concordante.

Anche il Collegio ha così avvalorato questa tesi dando ragione al contribuente illegittimamente ingiunto.

Corte di Cassazione, Sez. Civile, sentenza n. 20062 del 24 settembre 2014

Anche questo caso ha avuto origine da un avviso di accertamento, emesse ai fini IRPEF, IRAP ed IVA, con il quale l'Amministrazione Finanziaria, sulla base dei parametri presuntivi, accertava un maggior reddito da lavoro autonomo, recuperando a tassazione le imposte evase.

A seguito dell’accoglimento del ricorso promosso dal contribuente in primo grado, gli esiti della sentenza sono stati ribaltati in appello, dichiarando la legittimità dell’avviso. Il contribuente ha così deciso di promuovere ricorso in Cassazione.

Anche in questo caso il contribuente ha contestato l’inidoneità dei parametri presuntivi applicati per determinare il suo reddito. Gli ermellini hanno però accolto il ricorso relativamente alla carenza di motivazione da parte del giudice di secondo grado rimandando la questione ad altra sezione delle Commissione Tributaria Regionale.

Corte di Cassazione, Sez. Civile, ordinanza n. 7259 del 14 marzo 2019

Quest’ultimo caso, invece, è partito da un avviso di accertamento notificato ad un agente di commercio impegnato nel settore dei prodotti di cancelleria e libri relativamente al rimborso delle somme dovute a titolo IRAP.

L’Agenzia delle Entrate, vistosi rigettare il ricorso in sede di appello, ha promosso ricorso in Cassazione ritenendo che, in realtà, l’agente disponesse di una vera e propria organizzazione, considerata il presupposto per l’applicazione dell’IRAP. Ciò era confermato dalle ingenti spese sostenute dal contribuente e dai notevoli compensi dallo stesso percepiti.

Il Collegio ha ritenuto infondate le accuse dell’Agenzia. In particolare, gli ermellini hanno ritenuto che, per gli agenti di commercio, l’autonoma organizzazione non si presume dal valore dei suoi introiti, né dalle spese sostenute. Ciò in quanto l’attività dell’agente di commercio è caratterizzata da numerosi elementi passivi, rappresentati dagli ingenti costi legati all’esercizio dell’attività, vedi spese di pernottamento e soggiorno, spese di viaggio, assicurazioni varie. Spese dovute a motivi personali e quindi non legate all’aumento della sua produttività. Pertanto, questi elementi, a parere della Cassazione, non possono essere considerati quale fondamento per l’applicazione dell’IRAP in quanto non correlati ad un’autonoma organizzazione.

 

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