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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 32737 del 12 dicembre 2019
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 7579/12/14, depositata in data 11 agosto 2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. distaccata di Salerno, riformava la sentenza n. 193/3/13 della Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, con compensazione delle spese di lite, ed accoglieva il ricorso proposto dal contribuente M. Il giudizio aveva ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate di Avellino, ai fini Irpef e relative addizionali, aveva rideterminato un maggior reddito in misura pari alla plusvalenza derivante da una compravendita immobiliare, relativa ad un terreno di mq 5.000 sito nel Comune di R., il cui valore dichiarato nel rogito in misura di € 220,000,00, era stato elevato ad € 440.560,00, ai fini dell'applicazione dell'imposta di registro, con avviso di rettifica e liquidazione emesso dall'Agenzia delle Entrate di Benevento, a sua volta impugnato dal contribuente, accertando un valore al mq di € 120,00 per la parte di suolo, pari a mq 1.014, classificata in zona B/1, e di € 80,00/mq per la parte restante situata in zona C/2.
La Commissione di primo grado, ritenuta non rilevante l'omessa allegazione dei documenti presupposti, aveva parzialmente accolto il ricorso, e ridotto la plusvalenza ad € 130.340,00, tenuto conto del fatto che dal certificato di destinazione urbanistica risultava la destinazione a verde pubblico di mq 1.426 posti in zona C/2, di cui rideterminava il valore in € 10,00/mq. La CTR riformava la pronuncia di primo grado sulla base di una pluralità di ragioni: riteneva l'illegittimità dell'avviso di accertamento per la mancata allegazione degli atti presupposti - quali l'avviso di rettifica ai fini dell'imposta di registro e gli atti in esso richiamati -, per l'errata classificazione urbanistica, per il mancato esame dei più ridotti valori indicati in una seconda rogatoria redatta dallo stesso Ufficio di Avellino nonché nella perizia giurata depositata dalla parte; nel merito, rilevato che il valore attribuito dall'Ufficio era frutto di errori e del mero richiamo ad altro avviso, riteneva congruo il valore dichiarato, analogo a quelli attribuiti in sede di compravendita ad un terreno confinante indicato in comparazione e ad altro terreno vicino oggetto di esproprio.
2. Avverso la sentenza di appello l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, notificato in data 11 marzo 2015, affidato a quattro motivi; il contribuente ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata, deducendo, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 nonché dell'art. 7 della I. n. 212 del 2000, per aver ritenuto rilevante l'omessa allegazione dell'avviso di rettifica ai fini dell'imposta di registro, già conosciuto dalla parte, limitandosi a richiamare non meglio precisati atti "sottesi";
2. con il secondo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 67 del TUIR nonché dell'art. 2697 c.c., rilevando che l'Ufficio aveva proceduto ad un accertamento induttivo sulla base della presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore accertato ai fini dell'imposta di registro, per cui era onere del contribuente fornire la prova contraria, e che tutti gli elementi indicati dalla CTR erano del tutto irrilevanti sul piano probatorio;
3. con il terzo motivo lamenta, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 132 c.p.c., per aver omesso di esaminare la circostanza che l'accertamento sul valore era divenuto definitivo nei confronti del compratore;
4. con il quarto motivo deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell'art. 39 c.p.c. per aver rimesso in discussione i valori di mercato del bene, oggetto del diverso procedimento relativo all'imposta di registro in contrasto con il principio del ne bis in idem.
5. Il primo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che non ha censurato l'omessa allegazione dell'avviso di rettifica avente ad oggetto l'imposta di registro, certamente notificato alla parte, bensì degli atti posti a fondamento di quell'avviso, sulla cui base erano stati emessi sia l'accertamento in tema di imposta di registro sia quello oggetto di impugnazione che al primo faceva riferimento. Ebbene, il motivo che non si correla alla ratio decidendi effettiva della sentenza, ed anzi ne postula una inesistente, è inammissibile alla stregua del principio di diritto (già affermato da Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi, fatto proprio dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7074 del 2017 e già anteriormente da Sez. U n. 16598 e n. 22226 del 2016), secondo cui: «Il motivo d'impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d'impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi dell'art. 366 n. 4 cod. proc. civ.».
6. Infondato invece il secondo motivo. 6.1. Costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte che " In tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015, avente efficacia retroattiva, esclude che l'Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l'Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l'accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria." (Vedi da ultimo Sez. 5 n. 12131 del 2019).
Sulla scia della novella legislativa, la cui norma innanzi richiamata vale come interpretazione autentica della previgente disciplina, con efficacia retroattiva, questa Corte, mutando orientamento, ha statuito che, ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi, l'art. 5 cit. esclude che l'Amministrazione possa ancora procedere a determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro (da ultimo, Cass. n. 9513 del 2018; n. 19227 e n. 12265 del 2017; n. 6135 e n. 11543 del 2016).
6.2 La CTR, che, dopo aver valutato le prove contrarie offerte dal contribuente, ha ritenuto non idonei gli elementi utilizzati dall'Ufficio per addivenire alla valutazione di un maggior valore dell'immobile, ed in particolare insufficiente il solo richiamo ad altro accertamento in tema di imposta di registro, ha fatto corretta applicazione di quel principio e sul punto non merita alcuna censura.
7. Anche il terzo e quarto motivo non sono meritevoli di accoglimento.
7.1 Premessa l'autonomia delle due imposte, non risulta decisiva la circostanza che ai fini dell'imposta di registro sia stato accertato un diverso valore del bene nei confronti dell'acquirente.
7.2 La CTR, poi, non ha violato il principio del ne bis in idem, ma ha correttamente valutato gli elementi attinenti alla determinazione del valore del bene in quanto gli stessi erano stati posti proprio dall'Ufficio a fondamento dell'accertamento induttivo della plusvalenza.
8. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato. 8.1 Segue la condanna dell'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna l'Agenzia delle Entrate a pagare le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell'importo complessivo di € 7.200,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Così deciso, in Roma, in data 9 ottobre 2019.
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