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Il contribuente fa valere l’efficacia espansiva del giudicato esterno ottenuto in riferimento ad altro periodo di imposta ed ottiene l’annullamento dell’avviso. Accolto il ricorso del contribuente. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “deve ritenersi operante l'efficacia espansiva del giudicato esterno invocata dalla società contribuente quanto alla qualificazione dei lavori in questione quali opere di urbanizzazione primaria e secondaria di cui all'art. 4 della legge n. 847 del 1964, integrato dall'art. 44 della legge 865 del 1971, richiamato dall'art. 127-quinquies della Tabella A, parte III, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e successivo art. 127-septies), ai fini della legittima applicazione da parte della contribuente dell'aliquota agevolata”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 31084 del 28 novembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 544/10/12, depositata in data 20 dicembre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale dell'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, accoglieva l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di G. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Chieti n. 451/03/10, che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l'avviso di accertamento n. XXX, notificato in data 24 giugno 2009, con il quale l'Agenzia delle entrate-Ufficio di L., aveva rettificato la dichiarazione Iva presentata dalla contribuente, per l'anno 2004, recuperando sull'imponibile dichiarato di euro 478.617,52, assoggettato erroneamente ad aliquota del 10% la maggiore Iva di euro 47.863,00, in applicazione dell'aliquota ordinaria del 20%, in relazione ad appalti di opere pubbliche commissionati dai Comuni di F. e A. rispettivamente per "lavori di sistemazione a centro sociale locali ex mattatoio" e per "lavori di sistemazione Piazza XXX".

1.2. La CTR, dopo avere ricordato che l'Iva in misura agevolata riguardava le prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto relative ad opere di industrializzazione primaria e secondaria elencate nell'art. 4 della legge n. 847/1964, integrato dall'art. 44 della legge n. 865 del 1971, evidenziava che, sulla base dell'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, la descrizione dei lavori riportati dalle fatture non lasciava dubitare dell'applicazione dell'aliquota ordinaria, però aggiungendo che, ove le fatture non avessero riportato l'esatta indicazione della natura e qualità dei lavori effettuati, l'attenta lettura dei lavori era decisiva per fare ritenere che, nel caso di specie, non si era trattato di opere di urbanizzazione primaria e secondaria come previste al punto 127-quinquies e 127-septies della tabella A, parte III, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972.

1.3. Avverso la suddetta sentenza della CTR, G. s.n.c., propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste, con controricorso l'Agenzia delle entrate.

1.4. Il ricorso è stato fissato dinanzi a questa sezione previa trasmissione dalla sezione 6 - 5 dinanzi alla quale la società aveva depositato memoria, con allegati documenti, sollevando l'eccezione di giudicato esterno sopravvenuto rispetto alla proposizione del ricorso per cassazione. La società ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 nonché degli artt. 127-quinquies e 127-septies della Tabella A, parte III, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR escluso erroneamente l'applicabilità del regime Iva agevolato alle opere realizzate dalla contribuente per conto dei Comuni di F. e di A. in base alla indicazione delle stesse - rispettivamente come "lavori di sistemazione a centro sociale locali ex mattatoio" e come "lavori di sistemazione Piazza XXX"- contenuta nelle relative fatture il cui contenuto era stato, peraltro, riportato nella sentenza impugnata solo parzialmente.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 127-quinquies e 127-septies della Tabella A, parte III, allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR ritenuto erroneamente non sussumibili sotto le fattispecie previste dagli artt. 127-quinquies e 127-septies cit., le opere appaltate alla contribuente dai Comuni di F. e di A., ancorché: 1) dalla nota del Comune di F. del 5 ottobre 2009, prot. 32962- allegata al ricorso introduttivo e al ricorso per cassazione- si evinceva che i lavori eseguiti erano consistiti in una vera e propria trasformazione con aumento di superfici e mutamento di destinazione da edificio precedentemente adibito a mattatoio a centro sociale; 2) dalla nota del Comune di A. del 24 settembre 2009, prot. 22556- allegata al ricorso introduttivo e al ricorso per cassazione- si evinceva che i lavori eseguiti erano consistiti nella realizzazione ex novo di una piazza ornamentale in luogo di una preesistente piazza destinata a parcheggio.

3. Assume carattere assorbente l'analisi preliminare dell'eccezione di giudicato esterno sollevata nella memoria illustrativa dalla società contribuente che è fondata per le ragioni di seguito indicate.

3.1.AI riguardo, quest'ultima eccepisce la formazione, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, del giudicato sulla medesima questione oggetto del presente giudizio, relativamente ad annualità successiva (2005), in forza della sentenza della CTR dell'Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 607/10/13, tra le stesse parti, depositata in data 17 dicembre 2013, munita di visto di passaggio in giudicato in data 18.7.2014. La menzionata sentenza della CTR aveva, nel respingere l'appello dell'Amministrazione finanziaria, confermato l'annullamento dell'avviso di rettifica emesso, per l'anno 2005, nei confronti della G. s.n.c., avente ad oggetto il recupero della maggiore Iva per assunta erronea applicazione della aliquota agevolata del 10°AD anziché di quella ordinaria, in relazione all'appalto delle medesime opere pubbliche commissionate dai Comuni di F. e di A. rispettivamente per "lavori di sistemazione a centro sociale locali ex mattatoio" e per "lavori di sistemazione Piazza XXX". Il rigetto del gravame, in forza della suddetta pronuncia passata in giudicato dopo la proposizione del presente ricorso per cassazione, era stato basato sull'accertata natura dei lavori in questione come opere di urbanizzazione primaria e secondaria di cui all'art. 4 della legge n. 847 del 1964, integrato dall'art. 44 della legge 865 del 1971, richiamato dall'art. 127-quinquies della Tabella A, parte III, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e successivo art. 127-septies) e, dunque, sulla legittima applicazione da parte della contribuente dell'aliquota agevolata.

3.2. Trattandosi dell'opponibilità di un giudicato, con riferimento ai tributi armonizzati, occorre tenere conto che "In assenza di una normativa comunitaria in materia, le modalità di attuazione del principio dell'autorità di cosa giudicata rientrano nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell'autonomia procedurale di questi ultimi. Esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né essere strutturate in modo da rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività)"(sentenze della Corte di giustizia 3 settembre 2009, in causa C-2/08, Olimpiclub, punto 24; 10 luglio 2014, C213/13, Impresa Pizzarotti & C. SpA contro Comune di Bari e altri, punto 54; 16 marzo 2006, R.Kapferer contro Schlank & Schick GmbH, C-234/04, punto 22). In passato, la Corte di giustizia aveva stabilito che il diritto dell'Unione osta all'applicazione di una norma nazionale come l'art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell'autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l'applicazione di tale norma impedisca il recupero di un aiuto di stato erogato in contrasto con il diritto dell'Unione europea e la cui incompatibilità con il mercato comune sia stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva (Corte giust. 18 luglio 2007, causa C-119/05, Min. industria c. Soc. Lucchini). Ma, in quel caso, la decisione della Commissione che dichiarava indebiti gli aiuti di Stato era intervenuta antecedentemente alla formazione del giudicato nazionale, col quale, di contro, il giudice aveva riconosciuto il diritto all'erogazione dell'aiuto di Stato, trascurando, quindi, la decisione della Commissione. La stessa Corte di giustizia d'altronde, successivamente (Corte giust. 22 dicembre 2010, causa C-507/08, Commissione europea c. Governo Slovacchia) in esito ad un ricorso per inadempimento concernente una vicenda in cui si trattava di recuperare degli aiuti di Stato consistenti nella rimessione parziale di un debito fiscale di una società nell'ambito della procedura di concordato, ha escluso la rilevanza della sentenza Lucchini, osservando che «la pronuncia giurisdizionale dotata di forza di giudicato di cui si avvale la Repubblica slovacca è anteriore alla decisione con cui la commissione ha imposto il recupero dell'aiuto controverso» (punto 57). La Corte di giustizia, ritornando sulla questione (Corte giustizia, grande sezione, 6 ottobre 2015, causa C-69/14, T. c. Gov. Romania), con riguardo al diritto di ottenere il rimborso di tributi riscossi in uno Stato membro in violazione del diritto unionale, ha stabilito che il diritto dell'Unione, in base ai principi di equivalenza e di effettività, dev'essere interpretato nel senso che non osta al fatto che a un giudice nazionale non spetti la possibilità di revocare una decisione giurisdizionale definitiva pronunciata nel contesto di un ricorso di natura civile. E ciò anche quando tale decisione risulti incompatibile con un'interpretazione del diritto dell'Unione accolta dalla Corte di giustizia successivamente alla data in cui la decisione è divenuta definitiva, finanche qualora, di contro, una tale possibilità sussista per le decisioni giurisdizionali definitive incompatibili con il diritto dell'Unione pronunciate nel contesto dei ricorsi di natura amministrativa. E' stata, quindi, ribadita l'importanza che riveste anche nell'ordinamento giuridico dell'Unione il principio dell'intangibilità del giudicato, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, di modo che il giudice nazionale non è vincolato dal diritto dell'Unione a disapplicare le norme processuali interne che conferiscono forza di giudicato ad una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò consentirebbe di rimediare ad una situazione nazionale contrastante col diritto unionale. Conforme è la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6 maggio 2015, n. 9127; Sez. 5, n. 16032 del 29/07/2015; Cass. 27 gennaio 2017, n. 2046 secondo cui "Il diritto dell'Unione europea, così come costantemente interpretato dalla Corte di Giustizia, non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l'autorità di cosa giudicata di una decisione, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione, salva l'ipotesi, assolutamente eccezionale, di discriminazione tra situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno, ovvero di pratica impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario"). Da ultimo, Cass. Sez. 5, n. 18642 del 13/07/2018, ha affermato il condivisibile principio secondo cui "Il principio di intangibilità del giudicato, come affermato anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, non impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne dalle quali deriva l'autorità di cosa giudicata di una pronuncia, nemmeno quando ciò consentirebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto unionale, salva la peculiare ipotesi di contrasto con una decisione definitiva della Commissione europea emessa prima della formazione del giudicato".

3.3. In ordine all'applicabilità ai rapporti di durata, in materia tributaria, dell'efficacia del giudicato esterno, con riguardo al medesimo tributo, in relazione ad un diverso periodo di imposta, questa Corte, nella sentenza a sezioni unite, n. 13916 del 16/06/2006 ha affermato il seguente principio di diritto: "Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" del primo. Tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell'autonomia dei periodi d'imposta, in quanto l'indifferenza della fattispecie costitutiva dell'obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d'imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente. In riferimento a tali elementi, il riconoscimento della capacità espansiva del giudicato appare d'altronde coerente non solo con l'oggetto del giudizio tributario, che attraverso l'impugnazione dell'atto mira all'accertamento nel merito della pretesa tributaria, entro i limiti posti dalle domande di parte, e quindi ad una pronuncia sostitutiva dell'accertamento dell'Amministrazione finanziaria (salvo che il giudizio non si risolva nell'annullamento dell'atto per vizi formali o per vizio di motivazione), ma anche con la considerazione unitaria del tributo dettata dalla sua stessa ciclicità, la quale impone, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di effettività della tutela giurisdizionale, di valorizzare l'efficacia regolamentare del giudicato tributario, quale "norma agendi" cui devono conformarsi tanto l'Amministrazione finanziaria quanto il contribuente nell'individuazione dei presupposti impositivi relativi ai successivi periodi d'imposta". Successivamente, sul tema, questa Corte, sez.5, nella sentenza, n. 4832 del 11/03/2015 ha precisato che" In materia tributaria, l'effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l'accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata, sicché è esclusa l'efficacia espansiva del giudicato per le fattispecie "tendenzialmente permanenti" in quanto suscettibili di variazione annuale". Nella detta pronuncia, si è affermato che "l'effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (quali le imposte sui redditi, IVA, vari tributi locali, ecc), è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, fatti, cioè, che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d'imposta, ed in cui l'elemento della pluriennalità, come affermato dalle sezioni unite nella citata sentenza, costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità d'imposta in una sorta di "maxiperiodo": gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali, o della "spalmatura" in più anni dell'ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa. E a tali casi può equipararsi quello in cui l'accertamento concerna la qualificazione di un rapporto contrattuale ad esecuzione prolungata (come nel caso deciso dalla citata Cass. n. 25762 del 2014). Al di fuori di dette ipotesi, va esclusa l'efficacia estensiva del giudicato; e ciò anche per quelle fattispecie che le sezioni unite definiscono "tendenzialmente" permanenti (come le "qualificazioni giuridiche"), ma che, proprio per essere tali, ben possono variare di anno in anno e delle quali, quindi, per ciascun anno va accertata la persistenza (la natura di un ente può essere "commerciale" in un anno e non in un altro, un soggetto può essere "residente" in un anno e poi perdere tale requisito, ecc): del resto, la stessa sentenza delle sezioni unite precisa che l'efficacia preclusiva del giudicato opera "fino a quando quella qualificazione (...) non sia venuta meno fattualmente o normativamente", il che equivale a dire che il giudice tributario deve comunque accertarne l'esistenza in relazione all'annualità d'imposta in considerazione, senza essere vincolato da un giudicato concernente un periodo diverso" (punto 2.5. della parte motiva). Al detto indirizzo ha dato seguito Cass. 15 settembre 2017, n. 21935 e Cass. 28 settembre 2018, n. 23495. Ne consegue l'enunciazione del seguente principio di diritto: «In materia tributaria, l'effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l'accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata; né il diritto dell'Unione europea, così come costantemente interpretato dalla Corte di Giustizia, impone al giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne da cui deriva l'autorità di cosa giudicata di una decisione, con riguardo al medesimo tributo, in relazione ad un diverso periodo di imposta, nemmeno quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione, salvo le ipotesi, assolutamente eccezionali, di discriminazione tra situazioni di diritto comunitario e situazioni di diritto interno, ovvero di pratica impossibilità o eccessiva difficoltà di esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario ovvero di contrasto con una decisione definitiva della Commissione europea emessa prima della formazione del giudicato».

3.4. Nella specie, trattandosi di un rapporto ad esecuzione prolungata, avente ad oggetto la realizzazione, in più anni, delle medesime opere pubbliche - commissionate dai Comuni di F. e di A. rispettivamente per "lavori di sistemazione a centro sociale locali ex mattatoio" e per "lavori di sistemazione Piazza XXX"- e non venendo in rilievo ipotesi eccezionali di incompatibilità con il diritto comunitario che ne imporrebbero la disapplicazione da parte del giudice nazionale - deve ritenersi operante l'efficacia espansiva del giudicato esterno invocata dalla società contribuente quanto alla qualificazione dei lavori in questione quali opere di urbanizzazione primaria e secondaria di cui all'art. 4 della legge n. 847 del 1964, integrato dall'art. 44 della legge 865 del 1971, richiamato dall'art. 127-quinquies della Tabella A, parte III, del d.P.R. n. 633 del 1972 (e successivo art. 127-septies), ai fini della legittima applicazione da parte della contribuente dell'aliquota agevolata.

4. In conclusione, pronunciando sul ricorso, va cassata la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ex art. 384, comma 2, c.p.c., va accolto il ricorso originario della società contribuente.

5. In considerazione della peculiarità della vicenda processuale si ravvisano giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della società contribuente; compensa interamente tra le parti le spese processuali dell'intero giudizio. Così deciso in Roma il 11 giugno 2019

 

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