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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 28687 del 7 novembre 2019
RILEVATO
Il sig. A. nel 1991 acquistava nel 1991 un compendio di terreni in agro lombardo insieme al diritto di utilizzo di tutti gli indici urbanistici della superficie fondiaria di altro compendio immobiliare, che nel 2005 rivendeva alla R. sas. Da interrogazioni al sistema tributario l'Ufficio rilevava la mancata esposizione in dichiarazione di plusvalenza nel periodo d'imposta considerato (2005-2007), donde procedeva all'accertamento in via induttiva sulla base delle risultanze dell'Ufficio del Registro, rettificando l'imposta dovuta. Il contribuente tentava l'accertamento con adesione che non si perfezionava, e l'Agenzia delle Entrate addiveniva alla individuazione in € 396.460,00 del valore venale dei cespiti, liquidando in € 21.679,96 le imposte e le sanzioni dovute. Indi, notificava avviso di accertamento contro il quale insorgeva l'odierno ricorrente, che vedeva esaurirsi i gradi di merito col rigetto delle sue ragioni. Nello specifico, la CTR ha ritenuto che l'A. non abbia vinto la presunzione (semplice) di corrispondenza fra imposta di registro e valore della vendita, ma si sia limitato a contestarla come impossibile e allegando una perizia privata. Ricorre con tre motivi il contribuente, mentre l'Agenzia deposita memoria per la partecipazione all'udienza. La parte ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell'udienza.
CONSIDERATO
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero l'art. 360, n. 3 in relazione agli artt. 67 e 68 d.P.R. 22.12.1986 n. 917 e succ. modif., correlati agli artt. 39 d.P.R. 29.09.1973 n. 600 e succ. modif., 54 d.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ. modif, e 2967 c.c. Il giudice di merito avrebbe errato nel ritenere corretto l'operato dell'Ufficio e nell'affermare che fosse onere del contribuente fornire la prova contraria degli assunti dell'amministrazione finanziaria che avrebbe fondato la sua pretesa unicamente sulla equiparazione tra valore di mercato del bene e valore del corrispettivo.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, precisamente art.360 n. 3, in relazione agli artt.7 legge 28.12.2001 n.448 e succ. modif., 67 e 68 d.P.R. 22.12.1986 n.917 e succ. modif. e 2697 c.c.. La censura attinge la tesi della CTR secondo cui è il contribuente a dover fornire la prova utile a superare la presunzione di corrispondenza tra prezzo incassato e valore di mercato così come accertato in sede di applicazione dell'imposta di registro.
Con il terzo motivo, infine, rileva l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare art.360, n.5 c.p.c. in relazione agli artt.7 legge 28.12.2001 n.488 e succ. modif., 67 e 68 d.P.R. 22.12.1986 n.917 e succ. modif. e 2697 c.c.
La CTR avrebbe errato nel non tenere in debita considerazione la produzione della perizia giurata di stima e la ulteriore documentazione dimessa a prova contraria, ma anche nel non aver considerato il rifiuto dell'Agenzia delle Entrate ad accettare la produzione degli estratti conto bancari. Sicché, al contribuente sarebbe stato impedito di ottenere una corretta analisi delle prove offerte dirette a dimostrare che non doveva alcunché. I motivi, tutti strettamente collegati tra di loro possono essere esaminati congiuntamente.
Il ricorso è fondato.
Sebbene questa Corte abbia costantemente affermato che nella fase di accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, l'Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via presuntiva sulla base dell'accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell'imposta di registro, restando a carico del contribuente l'onere di superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato col valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell'imposta di registro, dimostrando di aver in concreto venduto ad un prezzo inferiore (così Cass. n. 4057/2007, poi ribadita in Cass. n. 21020/2009, Cass. n. 18705/2010). Non di meno, dopo l'emanazione della norma di interpretazione autentica dell'art. 5, d.lgs.148/2015, ha affermato che, nell'accertamento delle imposte sui redditi "l'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 - che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva - esclude che l'Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini di altra imposta commisurata al valore del bene, posto che la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo. Il riferimento contenuto nella detta norma all'imposta di registro ed alle imposte ipotecarie e catastali svolge una funzione esemplificativa, volta esclusivamente a rimarcare la ratio della norma incentrata sulla non assimilabilità della differente base impositiva (valore) rispetto a quella prevista per l'IRPEF (corrispettivo)" (Cfr. Cass. n. 19227/2017, Cass. n. 12265/2017). D'altra parte questa Corte in precedente analogo inter partes, cui deve essere data continuità, (cfr. CaSs. sez. 5, 30 marzo 2016, n. 6135; Cass. sez. 6-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14664), ha ritenuto che "detta norma, che, avendo natura di norma d'interpretazione autentica, della L. n. 212 del 2000, ex art. 1, comma 2, è applicabile retroattivamente ai giudizi pendenti, fa sì che l'accertamento della plusvalenza ai fini Irpef non possa legittimamente presumersi in forza del solo valore accertato, anche se definitivamente, ai fini dell'imposta di registro, la qualcosa è invece avvenuta in relazione all'accertamento ritenuto legittimo dalla pronuncia della CTR in questa sede impugnata." La pronuncia impugnata va dunque cassata, e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con accoglimento dell'originario ricorso del contribuente. La sopravvenienza, in corso di giudizio, della succitata disposizione normativa, giustifica la compensazione tra le parti delle spese dell'intero processo. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
PQM
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'originario ricorso del contribuente. Compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio. Dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a, quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. Così deciso il 29/04/2019.
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