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Negli anni abbiamo visto notificare moltissimi avvisi di accertamento ai nostri clienti basati sul metodo analitico-induttivo o induttivo puro, che è usato molto frequentemente.
D’altronde, questo “metodo” permette ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, sostanzialmente, di “far finta” che tutto quello che risulta dalla contabilità reale (ad esempio scontrinato e ricevute) non valga nulla e nel contempo permette al singolo funzionario di “ipotizzare” (secondo metodologie più varie, ad esempio prendendo spunto dagli acquisti di caffè, o di bevande o dalle rimanenze di magazzino) “quanto” quel dato contribuente avrebbe ipoteticamente incassato, per tassarlo di conseguenza.
Ho visto personalmente casi, tra i tantissimi, in cui il funzionario ha deciso di quantificare così gli incassi di un ristorante: il funzionario ipotizzava fosse andata a mangiare al ristorante 1 persona diversa per ogni bicchiere di vino acquistato, 1 persona diversa per ogni bottiglietta d’acqua e così via per le diverse bevande con lievi limature su alcune bottiglie ed altri acquisti a litri, portando così il funzionario ad un risultato finale (ossia quanti clienti sono andati a mangiare in quel ristorante) di molto superiore, a mio avviso, a quanto verosimile (anche perché non è assolutamente detto che uno beva solo un bicchiere di vino ma magari ne beve due, pur continuando a consumare per una persona e non per due – e quindi il ristorante non starà incassando come per due persone – così come è ben possibile che una persona sola prenda un bicchiere del vino ed una bottiglietta d’acqua (ed il pasto e l’incasso medio di quel pasto rimane uno e non si trasforma magicamente in due pasti e nell’incasso medio derivante da due pasti).
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In questo articolo faremo luce su alcuni punti che da sapere su tale metodologia di accertamento presuntivo da parte dell’Agenzia delle Entrate e cercheremo di capire insieme di cosa si tratta e vedremo alcuni dei diversi casi in cui si può ottenere l'annullamento di simili avviso di accertamento.
Vediamo di fare chiarezza.
L'art. 39, comma 1, lettera d) del D.P.R. 600 del 1973 prevede: “Se l'incompletezza, la falsità o l'inesatezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall'ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all'art. 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all'impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall'ufficio nei modi previsti (…). L'esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti”.
In poche parole, il cosiddetto accertamento analitico induttivo (o induttivo puro) consente all'Amministrazione Finanziaria di ignorare, in tutto o in parte, i dati da te indicati nella contabilità, e di determinare per presunzioni (ipotesi e congetture) i ricavi da te (presuntivamente) non dichiarati.
La dottrina maggioritaria riconduce, alla luce del tenore letterale della norma di cui sopra, la legittimità di tale metodo di accertamento di natura presuntiva alla circostanza che i dati indicati in dichiarazione risultino per l’appunto falsi, inesatti o incompleti a seguito di una attività di controllo da parte del Fisco (ispezioni delle scritture contabili, accessi o verifiche etc...). Anche se a ben vedere ho visto qualche funzionario sostenere che bastano alcune pregresse contestazioni per mancata emissione dello scontrino per far “scattare” tale tipologia di accertamento.
Il Fisco, quindi, pone in essere una presunzione sulla tua situazione patrimoniale senza degli elementi sostanzialmente “reali” ma attraverso ragionamenti ipotetici.
Peraltro, in giurisprudenza si è sostenuto che il ricorso all'accertamento analitico induttivo sia ammissibile anche in presenza di scritture contabili che pur formalmente corrette non sono conformi alle normali regole di ragionevolezza economica e gestionale.
Se ti hanno notificato un avviso di accertamento e pensi che sia il Fisco abbia operato una ingiusta o dubbia ricostruzione puoi far esaminare la situazione ad un avvocato tributarista per esaminare le soluzioni migliori per il tuo caso.
Per il momento, tieni a mente questi 3 esempi in cui è questa tipologia di avvisi è stata ritenuta errata, con conseguente annullamento totale degli avvisi:
1) Casi in cui mancano i “presupposti” per far scattare la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di rivendicare questa forma di accertamento.
È quanto è stato esemplificato dall'ordinanza della Corte di Cassazione n. 23527/2018 che si è pronunciata a seguito del ricorso da parte dell'Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, che aveva confermato la sentenza di primo grado di annullamento di un avviso di accertamento con cui era stata rettificata la dichiarazione.
Sin dall'esame della sentenza impugnata si evince che l'accoglimento del ricorso del contribuente (di annullamento) era stato motivato adducendo l'insussistenza dei presupposti per l'accertamento analitico induttivo di cui all'art. 39, comma primo, d.p.r. 600/73 operato dall'Ufficio.
La Corte di Cassazione non ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate ed ha enfatizzato come l'accertamento analitico induttivo “si giustifica solo in presenza di particolari elementi probatori che, in questo caso, difettano del tutto”.
2) Casi in cui gli elementi indicati dall’Agenzia delle Entrate sono stati ritenuti semplici indizi, insufficienti per procedere oltre.
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 33007/18 ha ribadito un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui in tema di accertamento analitico induttivo: per presumere l'esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati “non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti (…) ne consegue che non è legittima la presunzione di ricavi, maggiori di quelli denunciati, fondata sul raffronto tra prezzi di acquisto e di rivendita operato su alcuni articoli anziché su un inventario generale delle merci da porre a base dell'accertamento, né si rende legittimo il ricorso al sistema della media semplice, anziché a quello della media ponderale, quando tra i vari tipi di merce esiste una notevole esistenza di valore ed i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio”( v. Cass, Sez. V, sent. 979/2003; e Cass., Sez. V, sent. n. 24434/2008).
3) Casi in cui l’Agenzia delle Entrate ha utilizzato criteri di calcoli non congrui.
Lo spiega bene la sentenza n. 1242/17 con la quale la Commissione Tributaria Regionale-Lombardia si è pronunciata sul ricorso in appello proposto da un contribuente, annullando totalmente l'avviso di accertamento emesso nei suoi confronti.
“L'Amministrazione Finanziaria può, attraverso la determinazione delle percentuali di ricarico, ricostruire gli effettivi margini di guadagno applicati ai contribuenti sulle merci vendute, ma la scelta del criterio di determinazione della percentuale di ricarico deve rispondere ai canoni di coerenza logica e congruità”.
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Questi sono solo alcuni dei casi che si sono conclusi a favore del contribuente, i motivi di annullamento possono essere molti di più, per farti un'idea puoi esaminare le tante sentenze pubblicate sul nostro sito.
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