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Agenzia delle Entrate cerca di contestare l’inerenza rimproverando al contribuente di aver speso troppo. I giudici: l’Agenzia non può sindacare le strategie imprenditoriali. Contribuente vittorioso. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “L'amministrazione finanziaria ha rimproverato all'imprenditore di aver "speso troppo", senza contestare né l'effettività della spesa né la sua significatività in termini di strategia aziendale. Ritiene questa commissione che tale dilazione del sindacato fiscale non sia consentita allorché, ferma restando l'effettività dell'operazione, si spinge a sindacare la strategia gestionale, riservata alla decisione e all'autonomia privata”.

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Comm. Trib. Reg. per la Toscana Sezione/Collegio 4

Sentenza del 23/05/2019 n. 900 -

Il processo ha per oggetto il recupero a tassazione nei confronti della società T. F. S.r.l., appartenente al gruppo G., di una quota di ammortamento dell'avviamento in relazione all'acquisto di un ramo di azienda da altra società del gruppo, la società T. snc calzaturificio.

La prima aveva difatti acquistato nell'anno 2002 dalla seconda, un ramo di azienda per un prezzo totale di Euro 18.230.000,00 di cui 16.370.000,00 per avviamento, portando pertanto in deduzione per 10 anni la quota annua di euro 1.000.657,750, dal 2005 al 2011 compreso. Secondo l'ufficio viceversa il valore del ramo di azienda sarebbe stato notevolmente inferiore a quello pagato, con la conseguenza giuridica della non inerenza del costo eccedente, all'attività di impresa, e con recupero a tassazione degli anni in considerazione.
Secondo l'agenzia delle entrate il prezzo pagato era cioè eccedente rispetto al reale valore del ramo d'azienda e si giustificava non già in una logica di mercato, come prezzo al di sopra del quale nessun acquirente terzo sarebbe stato disponibile all'acquisto, ma solo attraverso l'individuazione di un vantaggio di gruppo e attraverso l'analisi di transfer pricing dei rapporti di fornitura tra la T.F. e la distributrice svizzera. È vero che a seguito di tale operazione c'era stato un aumento di fatturato, ma questo non aveva portato vantaggi in termini di redditività alla società. In definitiva l'ufficio ha operato riguardando solo l'inerenza dell'operazione rispetto all'attività d'impresa della T.F., ricalcolando di conseguenza la quota di ammortamento ammessa in deduzione da quest'ultima e recuperando a tassazione la differenza, poiché ha ritenuto il surplus pagato estraneo agli interessi della T.F. ma funzionale solo agli interessi infragruppo. Dal che l'avviso di accertamento.

Il ricorso proposto avverso tale accertamento dalla società T. F. era stato accolto dalla commissione tributaria provinciale di Firenze che, respinte le eccezioni preliminari del contribuente aventi ad oggetto la illegittimità degli avvisi per difetto di sottoscrizione dell'atto e la violazione del diritto al contraddittorio preventivo, riteneva infondata la pretesa erariale. Secondo la commissione di primo grado:

a) non era stata contestata dall'agenzia delle entrate né l'effettiva cessione del ramo d'azienda, né l'entità del prezzo pagato, ma solo l'inerenza del costo per l'ammortamento ritenuto elevato e quindi ridotto;

b) la cessione d'azienda era avvenuta nel 2002 e le contestazioni e i recuperi si riferivano solo agli anni dal 2009 al 2012;

c) si era realizzato un notevole incremento del fatturato al quale tale costo doveva ritenersi correlato, anche se ciò aveva portato contemporaneamente innegabili vantaggi a tutte le società del gruppo.

Difatti la società aveva dimostrato che c'era stato un notevole incremento del fatturato e dall'anno 2012 in poi anche produzione di utili.

d) non si era realizzato alcun danno per il fisco poiché si era verificata la correlata soggezione ad imposizione a titolo di plusvalenza della somma in capo alla cedente.

Veniva così accolto il ricorso con la condanna dell'amministrazione alle spese.
L'appello: Deduce l'appellante l'erroneità della motivazione della sentenza di primo grado: - pur a fronte di un aumento del fatturato, la società è rimasta in perdita proprio a causa dell'elevato costo di ammortamento per avviamento, tanto che solo dopo 10 anni è tornata a produrre utili neppure sufficienti a coprire il costo di ammortamento. - E' contestabile l'affermazione che non sia derivato danno per l'amministrazione poiché la plusvalenza in capo alla cedente è stata sottoposta all'imposta sostitutiva del 19% e non all'ordinaria tassazione Irpef ad aliquota marginale. Ciò ha consentito viceversa di realizzare nei 10 anni successivi notevoli risparmi sul fronte delle imposte dirette e quindi non sarebbe operazione neutra per il fisco. Non vi sarebbe stata pertanto alcuna duplicazione della tassazione. La tassazione dal lato attivo del rapporto quale plusvalenza, non toglie che la deducibilità del costo, dal lato passivo debba rispondere a dei requisiti propri tra cui l'inerenza e la congruità che nel caso di specie erano sussistenti solo parzialmente, in quanto parzialmente riferibili al gruppo G. in generale e non alla T. F. - Non sarebbe rilevante la circostanza che la cessione risalisse al 2002 e i recuperi fossero stati più recenti, negli anni dal 2009 al 2012 stante l'autonomia dei periodi di imposta, rispetto ai quali va provata l'inerenza e la congruità del costo; - l'eccedenza tra l'effettivo valore di mercato dell'avviamento e quanto pagato dalla T.F. si giustificava solo con i vantaggi conseguiti dal gruppo G. e pertanto era eccedente rispetto, all'inerenza del costo in ordine alla sola T. F. L'ufficio ha considerato il valore di mercato del ramo d'azienda come inerente all'attività d'impresa della T. F. poiché il surplus pagato andava a vantaggio del gruppo.
Veniva richiamata la fonte normativa del principio di inerenza del costo, articolo 109 comma cinque Tuir nella duplice accezione di inerenza qualitativa (correlata alla natura dell'attività di impresa) e quantitativa (congruità). Si osservava che la sindacabilità del costo sotto il profilo della congruità era già stata riconosciuta da giurisprudenza di legittimità che veniva citata nell'atto d'appello. Nel caso di specie difettava la congruità perché il costo era notevolmente superiore a quello di mercato e in assenza anche di perizia estimativa, e sproporzionato rispetto ai benefici che la società poteva ritrarre se raffrontato alla situazione degli anni precedenti. A riprova si adduceva che l'incremento di fatturato non aveva evitato che il risultato gestionale fosse rimasto in perdita per otto esercizi su 10, con palese insostenibilità del progetto imprenditoriale. Su tali dati non era stata sollevata alcuna contestazione, mentre l'onere dimostrativo relativo alla congruità del costo doveva ricadere sulla società che ne invocava la deducibilità.

Irrilevante il richiamo alla precedente sentenza della commissione tributaria provinciale di Firenze numero 159-19-2010 trattandosi di recuperi erariali di diversa natura e fra l'altro non essendo la pronuncia definitiva.

Le contestazioni dalla ricorrente, relative alla mancata indicazione da parte dell'ufficio dei benefici tratti del gruppo G., e della doppia imposizione, erano inconferenti nel contenzioso nel quale si dovrebbe discutere unicamente dell'inerenza del costo dedotto dalla T. F., ad ogni modo nell'atto di accertamento erano correttamente indicati i vantaggi ricavabili dal gruppo G. in base alle sinergie di mercato che si rilevano nei confronti del marchio: Difatti il calzaturificio T. di B.B. svolgeva la propria attività non solo verso la G. ma anche verso altri marchi concorrenti che dopo la cessione hanno dovuto cercare altri canali di approvvigionamento. In seguito, si era conseguita maggiore efficienza operativa perché la T.F. realizzava a quel punto creazioni per un unico clientelare, società distribuzione G. sedente in Svizzera con integrazione verticale di gruppo e miglioramento qualitativo e quantitativo della produzione, tant'è vero che l'incremento di fatturato si era realizzato per nuove commesse infragruppo. Ancora vi erano state delle sinergie finanziarie poiché la società T.F. era stata dotata del capitale occorrente per l'acquisizione del ramo d'azienda. Da ultimo l'agenzia delle entrate nell'atto d'appello si misura con il contenuto di due pronunce della Corte di cassazione secondo le quali l'inerenza nel sostenimento di una spesa beneficio di un soggetto terzo all'impresa non è esclusa se dimostrabile la compresenza di un interesse proprio dell'impresa stessa sia pure indiretto. Nel caso di specie non vi sarebbe il requisito della compresenza di un interesse proprio dell'impresa poiché trattasi di spesa eccessiva per la T. F. e sproporzionata rispetto al vantaggio che invece aveva ricevuto il gruppo.

Si costituiva la società appellata resistendo all'appello principale e proponendo a sua volta appello incidentale. A tale proposito osservava che: - fallace è l'affermazione dell'appellante secondo la quale la T. F. non aveva dimostrato né a priori né a posteriori la capacità di ammortamento dell'avviamento in tempi compatibili con investimenti a titolo di capitale proprio: si osserva che l'investimento a titolo di capitale proprio ha una durata ipoteticamente perpetua mentre la capacità di ammortamento dell'avviamento è avvenuta in tempi molto più rapidi, con incremento di utili già a partire dal nono anno successivo all'acquisizione, tanto che nel giro di pochissimi anni la società rientrava dall'investimento. - La presunta sussistenza del danno per l'erario rappresentata dal fatto che la plusvalenza è stata sottoposta ad imposta sostitutiva per 19% e non a quella ordinaria, è infondata poiché non è detto che l'ipotesi tassazione-deducibilità debbano essere corrispondenti alla medesima aliquota. - Il prezzo per la cessione è invece: a) in linea con le possibili valutazioni del mercato, B) esiste un perfetto legame di inerenza qualitativa e quantitativa tra il costo sopportato e l'attività svolta dalla società T. F; gli eventuali benefici del gruppo G. non possono ostacolare il riconoscimento del legame di inerenza tra costo sostenuto dalla singola impresa e deducibilità dello stesso.

Quanto al punto A) il calzaturificio edificio T.B. aveva particolare pregio per la presenza di operai altamente specializzati nel settore della produzione di articoli di alta moda e per qualità del prodotto, tanto che ha subito generato elevata redditività in capo all'acquirenteT.F. La T.F. ha contestato il metodo di valutazione dell'azienda adottato dall'ufficio poiché basato solo sul portafoglio dei clienti storici ceduto e non sulla capacità produttiva. B) quanto alla inerenza del costo, questa va valutata in relazione alla complessiva attività d'impresa e non all'immediata attitudine alla produzione di ricavi, quindi in chiave prospettica come effettivamente ritenuto dal giudice di primo grado. E ciò si percepisce dai notevoli incrementi di fatturato conseguiti dalla T. F. C) i vantaggi indiretti nei confronti del gruppo G. non potrebbero ostacolare il riconoscimento del costo in capo alla T.F., poiché certamente l'agenzia non avrebbe riconosciuto l'inerenza del costo delle altre società del gruppo se fosse stato distribuito fra di esse. D'altra parte l'agenzia non aveva considerato che la società non era posseduta al 100% al gruppo G. ma solo al 75% mentre il 25% era in mano privata (fratelli B.), di talché il contratto era stato stipulato fra parti indipendenti.

Il costo non era contestato nell'effettivo ammontare e i poteri dell'ufficio dovevano arrestarsi, come riconosciuto dalle decisioni più recenti della corte di cassazione, senza spingersi al sindacato sulle scelte imprenditoriali.

Con l'appello incidentale viene riproposta l'eccezione preliminare circa la nullità dell'atto impositivo per mancato rispetto del contraddittorio preventivo fra le parti. Si tratterebbe di un principio vigente e sostenuto da norme interne e comunitarie pienamente operativo nell'ambito dell'ordinamento contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado.

Ritiene la commissione che l'appello sia infondato e che sia quindi da confermare la sentenza di primo grado.

Non è in contestazione né l'ammontare né l'effettivo pagamento del prezzo sostenuto per l'acquisto del ramo di azienda, e non è neppure in contestazione l'inerenza qualitativa del costo sostenuto, coerente con l'oggetto dell'attività produttiva della T. F.; punto in contestazione è la pretesa dell'agenzia delle entrate di sindacare la scelte imprenditoriali ritenendo sproporzionata l'iniziativa economica rispetto alle dimensioni aziendali della T. F. con conseguente riduzione, entro i limiti della ritenuto valore di mercato del ramo di azienda, della quota di ammortamento e parziale recupero fiscale, peraltro intervenuto a distanza di molti anni dall'acquisto e dall'impianto in contabilità della entità della quota di ammortamento.

Tutte le altre sono considerazioni accessorie, ininfluenti ai fini del quesito circa i limiti di invasività del sindacato della P.A, risultando in particolare irrilevanti la disquisizioni circa la equivalenza o meno tra la tassazione dal lato attivo e passivo del rapporto contrattuale sottostante alla cessione.

L'amministrazione finanziaria ha rimproverato all'imprenditore di aver "speso troppo", senza contestare né l'effettività della spesa né la sua significatività in termini di strategia aziendale.

Ritiene questa commissione che tale dilazione del sindacato fiscale non sia consentita allorché, ferma restando l'effettività dell'operazione, si spinge a sindacare la strategia gestionale, riservata alla decisione e all'autonomia privata. Il calcolo di convenienza di un'operazione è difatti operazione complessa soprattutto in logica di mercato settoriale e a lungo termine, e il c.d. valore di mercato è esso stesso concetto variabile e opinabile specie in settori ristretti, come si desume proprio dall'esempio tratto dal coso di specie, visto che l'acquisto si è perfezionato effettivamente a tale prezzo (che si ripete non è in contestazione), e che quindi deve ritenersi probabile, al contrario di ciò che deduce l'agenzia, che ci sarebbero stati altri operatori disposti all'acquisto a condizioni analoghe o poco inferiori.

La Corte di cassazione ha già ribadito che in tema d'imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d'impresa, l'inerenza all'attività d'impresa dei costi assume rilievo in virtù della correlazione con un'attività potenzialmente idonea a produrre utili e che "il principio dell'inerenza dei costi deducibili si ricava non dal dpr 917 del 1986 art. 75 (ora 109), comma 5 (riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ma dalla nozione di reddito d'impresa, stante la necessità di riferire i costi sostenuti all'esercizio dell'attività imprenditoriale escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull'inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo (v. Cass., 11/1/2018, n. 450)".

Significativo lo sviluppo della argomentazione: "Ciò premesso, va disattesa la definizione della nozione dell'inerenza, utilizzata da parte della giurisprudenza di questa Corte, formulata in termini di suscettibilità, anche solo potenziale, di arrecare, direttamente e indirettamente, una utilità all'attività d'impresa, e costituente requisito generale della deducibilità dei costi, con richiamo dal predetto art. 75 (in termini, Cass., n. 10914/15).

Tale orientamento, se, da un lato, correla l'inerenza al rapporto tra costi e attività d'impresa (non riducibile, perciò, ad una relazione necessaria del costo con il reddito o con i ricavi), dall'altro pone erroneamente un necessario legame tra il costo e l'attività d'impresa secondo un parametro d'utilità, all'interno di una relazione deterministica che sottende rapporti di causalità.

In altri termini, secondo la tesi criticata, l'utilità deve essere apprezzata considerando anche la dimensione quantitativa della spesa, per cui un costo potrebbe essere inerente anche solo in parte. Tuttavia, come sopra accennato, l'impiego del criterio utilitaristico non giova alla corretta esegesi della nozione di inerenza, in quanto il concetto aziendalistico e quello civilistico di spesa non sono necessariamente legati all'elemento dell'utilità, essendo configurabile quale costo anche ciò che, nel singolo caso, non reca utilità all'attività d'impresa.

Viceversa, l'inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo.

In questo quadro concettuale, occorre precisare che l'evidenziazione di un comportamento antieconomico in relazione all'imposta sui redditi e dell'iva non può giustificarsi identificando l'inerenza con la sproporzione o l'incongruità dei costi(in tali termini, invece, Cass., n. 10269/17): si è già visto, infatti, che l'inerenza si risolve in un giudizio qualitativo, non quantitativo, e non si ricollega all'art. 75 comma 5 TUIR (ora 109), ma è strettamente correlata alla nozione stessa di reddito d'impresa".

Sul punto ancora:

Cass. civ. Sez. V Ord., 14/03/2018, n. 6288 "Al fine di verificare l'inerenza o meno di un costo è necessario esaminarne - dal punto di vista delle qualità e pertanto delle caratteristiche dello stesso - la sua strumentalità rispetto l'attività dell'impresa".
Ma nel caso di specie, anche se si seguisse la opposta logica per la quale sul contribuente incombe la prova della coerenza economica del costo, cfr. Cass. civ. Sez. V Ord., 10/10/2018, n. 25025, nel caso di specie è incontestato che dopo un numero di anni adeguato all'impegno economico profuso, vi è stato comunque il raggiungimento di utili e non solo l'incremento del fatturato, con la conseguenza che vi è la prova della effettiva utilità raggiunta a seguito dell'acquisto.
Ne consegue la conferma della sentenza di primo grado.
Stanti le oscillazioni giurisprudenziali sul punto, le spese vanno compensate.

P.Q.M.

La Commissione tributaria regionale di Firenze respinge l'appello e conferma la sentenza di primo grado. Dichiara compensate tra le parti le spese processuali. Firenze, 14.03.2019

 

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