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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 19192 del 17 luglio 2019
FATTI DI CAUSA
1. L'Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento ai sensi dell'art. 38 d.p.r. 600/1973 nei confronti di SM per l'anno 2004, determinando maggiori redditi in relazione agli incrementi patrimoniali realizzati nel periodo 2003/2007, consistiti nell'acquisto di quote della società S. s.a.s. (15% dalla madre e 16,50 % dal fratello), in data 16-9-2004, per complessivi € 567.000,00, con attestazione di avvenuto pagamento, oltre che nell'acquisto di un fabbricato per € 200.000,00 il 3-7-2006, con contestuale stipulazione di un mutuo ipotecario. Rispondendo al questionario inviato dalla Agenzia delle entrate, il contribuente deduceva che il pagamento relativo all'acquisto delle quote era simulato, produceva due scritture di riconoscimento del debito in favore della madre e del fratello.
2. La Commissione tributaria regionale accoglieva l'appello proposto dal contribuente (ndr. dall’Agenzia?), avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale, che aveva accolto il ricorso del M., evidenziando che il contribuente non aveva fornito la prova della simulazione con controdichiarazione avente data certa anteriore all'avviso di accertamento, che erano state prodotte solo le due ricognizioni di debito e la remissione del debito, successiva all'atto pubblico, che anche la stipulazione del mutuo doveva essere considerata un elemento presuntivo.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente. 4. L'Agenzia delle entrate non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di impugnazione il contribuente deduce "nullità della sentenza (art. 260 comma primo n. 4 c.p.c.) in relazione all'art. 112 c.p.c. - omessa pronuncia su una delle domande/eccezioni formulate dal contribuente", in quanto il giudice di appello non ha fornito risposta alla doglianza, per la quale il M. nel 2004 aveva avuto un reddito da partecipazione di € 19.987,00, del quale non si era tenuto conto in quanto l'Agenzia delle entrate lo aveva ritenuto inesistente. In realtà, si trattava di un reddito regolarmente dichiarato e percepito nel periodo, ma solo "contabilmente" e "fiscalmente" azzerato per consentire al socio di fruire della agevolazione di cui all'art. 4 della legge 383/2001, che consentiva di escludere dall'imposizione del reddito di impresa, di un ammontare pari al 50 % del volume degli investimenti effettuati, in eccedenza rispetto alla media degli investimenti realizzati nei cinque periodi di imposta precedenti, trattandosi, quindi, di una "variazione in diminuzione" del reddito conseguito. In caso di perdita fiscale della società era consentito al socio accomandatario di dedurre le perdite, anche se eccedenti le quote di partecipazione della società, fino al 5 ° esercizio successivo.
1.1. Tale motivo è infondato. Invero, la Commissione regionale, riformando la sentenza di prime cure che aveva accolto il ricorso del contribuente, ha accolto l'appello proposto dalla Agenzia delle entrate, evidenziando che il contribuente non aveva fornito la prova contraria agli elementi presuntivi di un maggior reddito, a seguito di incrementi patrimoniali, ritenendo che "l'operato dell'amministrazione debba essere considerato corretto e conseguentemente il suo appello accolto". Nel dispositivo, poi, si afferma che la Commissione regionale "accoglie il ricorso e conferma il reddito in via sintetica". Pertanto, il giudice di appello, nel ritenere interamente corretto l'accertamento della Agenzia delle entrate e nell'accogliere interamente il gravame dalla stessa proposto, ha implicitamente rigettato il motivo di doglianza del contribuente, non essendosi verificata l'omessa pronuncia. Infatti, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., 13 agosto 2018, n. 20718).
2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della "violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.). In particolare violazione e falsa applicazione dell'art. 38 d.p.r. 600/1973, commi 4 e 5 ", in quanto il giudice di appello ha ritenuto che la semplice formalizzazione di un atto di cessione di quote potesse essere di per sé indice di accresciuta capacità contributiva, a prescindere dalla effettività o meno della spesa sostenuta dall'acquirente, mentre tale spesa non è stata mai sostenuta, come pur rilevato dalla Commissione regionale in motivazione, dovendosi tenere conto delle due ricognizioni di debito e della definitiva remissione dello stesso da parte dei creditori.
3. Con il terzo motivo di impugnazione il ricorrente deduce "violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 comma 1 numero 3 c.p.c.). In particolare, violazione e falsa applicazione dell'art. 38 d.p.r. 600/1973, commi 4 e 5, anche in rapporto alle prescrizioni del D.M. 10-11-1992, alle relative tabelle, come modificate dal DM 19-11-1992 ed aggiornate dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 5-4-2005", in quanto il mutuo contratto non può avere forza presuntiva di una maggiore capacità contributiva, essendo stato destinato all'acquisto di un immobile, peraltro, nell'anno 2006. Secondo il ricorrente sia il pagamento del prezzo, sia il possesso dell'immobile andavano correlati, ai fini dell'accertamento, all'accensione di un mutuo di corrispondente importo, la cui esistenza era stata riconosciuta dal giudice di appello. Pertanto, a fronte dell'acquisto dell'immobile vi era stata l'accensione di un mutuo di uguale importo.
4. Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deduce "nullità della sentenza (art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c.) in relazione all'art. 112 c.p.c. Mancanza di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato; omessa pronuncia in ordine alla simulazione della quietanza relativa al pagamento del prezzo dell'atto di cessione quote sociali", avendo il giudice di appello frainteso le domande del contribuente. Il ricorrente ha, infatti, sempre sostenuto la simulazione solo dell'avvenuto pagamento del prezzo delle quote societarie, ma non la simulazione dell'intero sinallagma negoziale.
5. Con il quinto motivo di impugnazione il ricorrente si duole della "violazione e falsa applicazione di legge (art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.). In particolare violazione e falsa applicazione degli artt. 1414 e 1417 c.c. in rapporto all'art. 116 c.p.c. e all'art. 38 d.p.r. 600/1973", in quanto la simulazione parziale dell'atto di cessione delle quote societarie, con riferimento alla quietanza di pagamento del prezzo, è dimostrata dalle controdichiarazioni costituite dalle due ricognizioni di debito e dalla remissione del debito depositate in atti, non essendo necessaria tra l'altro la data certa del documento per dimostrare la simulazione. Peraltro, la data certa è irrilevante dinanzi alla prova che le somme non sono transitate in favore dei venditori delle quote societarie, con la dimostrazione del mancato pagamento del prezzo, sì da non essere integrato il presupposto della maggiore capacità reddituale e, quindi, contributiva.
6. I motivi secondo, quarto e quinto, che vanno esaminati congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati. 6.1. Invero, il giudice di appello, nella sentenza impugnata ha compiuto degli accertamenti in fatto che non sono stati oggetto di contestazione tra le parti nella loro verificazione effettiva. Il giudice ha affermato che le quote societarie risultavano, alla stregua del contratto, pagate dal contribuente (per la titolarità di quote societarie come elemento dimostrativo di una maggiore capacità reddituale cfr. Cass., 20 aprile 2012, n. 6222), in quanto il prezzo era stato quietanzato nell'atto di acquisto del 2004. Inoltre, a seguito dell'invio del questionario da parte dell'Agenzia, il contribuente ha depositato due ricognizioni di debito in favore dei venditori delle quote (la madre ed il fratello). Con atto del 2009 i creditori hanno rimesso il debito con atto notarile. La Commissione, quindi, rileva che v'è stato il pagamento del prezzo da parte del contribuente, a fronte dell'acquisto delle quote societarie (cfr. pagina 2 della motivazione: "Le quote risultano pagate al contribuente tanto che il prezzo viene quietanzato in atto di acquisto"; cfr. pagina 3 "Accessorio a tale atto di quietanza - nel quale appunto si dava per pagato il prezzo - "). Pertanto, a fronte della quietanza di avvenuto pagamento, il giudice di appello ha evidenziato l'assenza di una "controdichiarazione", munita di data certa, volta a far valere la simulazione della cessione di quote, in luogo di una donazione delle stesse. La stessa remissione del debito, in epoca successiva (soltanto nel 2009), non ha fatto altro che confermare la natura onerosa della cessione delle quote, sicchè "il fatto che dopo tempo il venditore abbia rimesso il debito non toglie comunque efficacia all'atto ed alla sua utilizzabilità ai fini di cui ad art. 38".
6.2. Trova applicazione il principio giurisprudenziale per cui, in tema di accertamento dell'imposta sui redditi ed al fine della determinazione sintetica del reddito annuale complessivo, secondo la previsione dell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 - che consiste nell'applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali (art. 2727 cod. civ.) l'ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto (nella specie, l'esborso di rilevanti somme di denaro per l'acquisto di beni) a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito e, quindi, di capacità contributiva) -, la presunzione semplice genera l'inversione dell'onere della prova, trasferendo al contribuente l'impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà; in particolare, nella specie, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l'effettuata acquisizione di beni non denota una reale disponibilità economica, suscettibile di valutazione a fini fiscali, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita anziché quella onerosa apparente (Cass., 17 marzo 2006, n. 5991; nello stesso senso Cass., 26 maggio 2017, n. 13339; Cass., 17 giugno 2002, n. 8665; Cass., 10 ottobre 2014, n. 21442). Va, peraltro, sottolineato che la controdichiarazione, che nella fattispecie in esame è avvenuta, con le due ricognizioni di debito da parte del contribuente in favore dei venditori delle quote societarie, può anche non essere contestuale all'atto negoziale apparentemente stipulato. Infatti, per questa Corte la controdichiarazione costituisce atto di accertamento o di riconoscimento scritto che non ha carattere negoziale e non si inserisce come elemento essenziale nel procedimento simulatorio, di talché non solo non deve essere coeva all'atto simulato, ma non deve neppure necessariamente provenire da tutti i partecipi all'accordo simulatorio, potendo provenire anche dalla sola parte che voglia manifestare il riconoscimento della simulazione, purché si tratti della parte contro il cui interesse è redatta, da quella parte, cioè, che trae vantaggio dall'atto simulato mentre assume, con la controdichiarazione, obblighi diversi e maggiori di quelli che le derivano dall'atto contro cui questa è redatta (Cass., sez. 2, 1 ottobre 2003, n. 14590; Cass., sez. 2, 5 marzo 2019, n. 6357; Cass., sez 1, 4 maggio 1998, n. 4410). Tale principio, però, va calato nella fattispecie tributaria in esame, laddove le due ricognizioni di debito, come pure la successiva remissione del debito del 2009, che smentirebbero l'avvenuto pagamento del debito al momento della stipulazione del contratto di acquisto della partecipazione societaria, in realtà vanno a sicuro "vantaggio" del dichiarante, il quale in tal modo potrebbe dimostrare di non avere pagato alcunché nell'anno di imposta 2004, così sottraendosi all'azione accertatrice della Agenzia delle entrate ed alle conseguenti sanzioni.
6.3. Per questa Corte anche una eventuale compensazione di somme tra le parti può costituire prova dell'avvenuto pagamento, essendo la compensazione uno dei modi di estinzione della obbligazione diversi dall'adempimento. Infatti, si è affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'acquisto di beni immobili a titolo oneroso costituisce un indizio sufficiente ai fini della determinazione sintetica del reddito ai sensi dell'art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non assumendo alcun rilievo la circostanza che sia mancato un effettivo esborso del corrispettivo pattuito, avendo le parti proceduto alla compensazione di debiti e crediti reciproci, in quanto tale operazione, oltre a confermare l'onerosità del trasferimento, costituisce uno dei modi di estinzione dell'obbligazione, ancorché diversi dall'adempimento, ed è pertanto idonea a rivelare la corrispondente capacità economica del contribuente (ass., 11 settembre 2009, n. 19647).
6.4. Diversamente, nel caso in esame, le due ricognizioni di debito, successive all'invio del questionario da parte della Agenzia delle entrate, e quindi successive anche alla stipulazione del contratto di compravendita di quote, con prezzo quietanzato, e la remissione del debito, avvenuta solo nel 2009, quindi a distanza di cinque anni dall'acquisto delle quote societarie (in data 16-9- 2004), collidono decisamente, secondo la Commissione regionale, con l'attestazione di avvenuto pagamento contenuta nel contratto, dovendosi tenere conto degli stretti rapporti familiari tra le parti contraenti, del lungo lasso di tempo trascorso, della remissione del debito effettuata solo dopo l'emissione dell'avviso di accertamento; sicchè l'acquisto realizzato è stato correttamente considerato indice di maggiore capacità contributiva. Il contribuente, invece, non ha fornito idonea prova contraria alla presunzione semplice generatasi dalla attestazione di avvenuto pagamento delle quote societarie contenuta nel contratto.
7. Il terzo motivo è fondato, nei limiti di cui in motivazione. 7.1. Invero, la Commissione regionale ha affermato che il giudice di prime cure aveva ritenuto che fosse sufficiente, a giustificare l'acquisto del bene, la stipulazione di un mutuo per valore corrispondente al prezzo da pagarsi. Il giudice di appello, con formula poco chiara ed involuta, ha invece affermato che "in effetti, la stipulazione del mutuo sia solo un problema finanziario (cioè di anticipazione della somma) ma che la forza presuntiva dell'atto non va da persa per questo". 7.2. Va, invece, osservato, quanto all'acquisto dell'immobile nel 2006 a seguito di un mutuo di importo pari al prezzo di acquisto, che per questa Corte, in tema di accertamento cd. sintetico, la prova contraria a carico del contribuente richiesta dall'art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600 del 1973, può essere assolta mediante la produzione del contratto di mutuo, idoneo a dimostrare la provenienza non reddituale delle somme utilizzate per l'acquisto del bene (Cass., 3 dicembre 2018, n. 31124). Va, però, precisato che qualora l'ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca e dimostri che tale spesa sia giustificata dall'accensione di un mutuo ultrannuale, il mutuo medesimo non esclude ma diluisce la capacità contributiva; ne consegue che deve essere detratto dalla spesa accertata (ed imputata a reddito) il capitale mutuato, ma ad essa vanno, invece, aggiunti, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturati e versati (Cass., 19371/2018; Cass., 4797/2017; cass., 24597/2010).
8. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria della Emilia Romagna, in diversa composizione, che si adeguerà al seguente principio di diritto: "In tema di accertamento sintetico, il mutuo stipulato per l'acquisto di un immobile non esclude, ma diluisce la capacità contributiva, sicchè deve essere detratto dalla spesa accertate il capitale mutuato, dovendo invece sommarsi, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturato e versati", e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione; rigetta il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale
dell'Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio dell'il. giugno 2019.
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