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“Nell'anno 2014, la XXX S.R.L. con sede in Milano, via XXX n. X veniva a conoscenza dell'intenzione dei signori XXX e XXX di vendere un'unità immobiliare ad uso ufficio, sita nel medesimo edificio, via XXX n. X, unità dai coniugi adibita a centro di formazione linguistica.
Per mesi e mesi i coniugi avevano cercato di vendere, tramite portali specializzati, l'unità immobiliare di cui trattasi, ma il mercato non aveva accolto tale immobile, in vendita dal XXX (documento n. X).
Esaminata l'unità immobiliare risultavano evidenti i motivi che ne limitavano l'immissione nel mercato: l'ufficio di cui discutiamo, lungi dal presentarsi all'epoca in condizioni manutentive “normali” come erroneamente ritenuto - nell'atto oggi impugnato – dall'Agenzia delle Entrate, al contrario, necessitava di ingentissimi lavori, che avrebbero comportato ulteriori spese, oltre al costo di acquisto, nell'ordine di oltre duecentomila euro.
Lavori che per l'appunto hanno comportato una spesa dimostrata di ulteriori 220.000,00 euro ca. (e ciò viene specificamente documentato: documento n. X).
In particolare, esemplificando, dovevano essere rifatti totalmente gli impianti dell'immobile, i controsoffitti, i serramenti, le persiane, le solette e addirittura i pavimenti (con rimozione di quelli precedenti), la stessa superficie netta calpestabile risultava ridotta di oltre il 25% (documento n. X) a causa di un'inefficiente disposizione delle mura. Peraltro, le foto dell'epoca dimostrano come le condizioni interne e l'affaccio interno fossero a dir poco indecorose (si allega materiale fotografico: documento n. X).
Insomma, risultavano evidenti le motivazioni per cui i venditori fino ad allora non avevano trovato potenziali acquirenti, tanto più considerato che tra la fine del XXX e l'inizio del XXX il mercato immobiliare, come notorio, aveva subito una fortissima contrazione.
Nondimeno, l'immobile era nello stesso edificio dei preesistenti uffici della società XXX S.r.l., e non sembravano esservi alternative di acquisto nel medesimo stabile.
Il prezzo ritenuto da entrambe le parti di reciproco interesse veniva fissato in euro 1.050.000,00, prezzo che in considerazione delle condizioni di cui sopra appariva tutt'altro che ridotto.
La XXX S.r.l., dunque, sottoscriveva un contratto di leasing con la società XXX S.p.A. per effetto del quale quest'ultima acquistava lei stessa l'immobile e lo concedeva in locazione finanziaria alla XXX S.r.l., la quale avrebbe potuto acquistarlo in un secondo momento.
In ottemperanza alla normativa in tema di registro venivano allora pagate - solamente a titolo di imposta di registro - ben 94.500,00 euro.
Nel dicembre 2015, inaspettatamente, le due società, XXX S.p.A. e XXX S.r.l., ricevevano l'avviso di rettifica e liquidazione n. XXX, in questa sede da entrambe impugnato.
Con tale avviso di rettifica e liquidazione l'Agenzia delle Entrate ridetermina il valore dell'immobile da euro 1.050.000,00 ad euro 1.226.500,00 e chiede un ulteriore pagamento a titolo di imposta di registro.
Tale tipologia di avvisi è nota; trattasi di rettifiche che nascono con lo scopo di evitare il frequente fenomeno di parziale pagamento in nero del corrispettivo, al fine di abbattere plusvalenze e imposte.
In particolare, l'acclarata prassi evasiva di cui discutiamo vedeva i privati corrispondere buona parte del prezzo degli appartamenti in nero, con indebito reciproco beneficio. Infatti, il venditore non pagava le imposte sull'ulteriore plusvalenza ricavata e nel contempo l'acquirente ben poteva utilizzare eventuali guadagni conseguiti in nero, i quali non sarebbero stati visibili in caso di potenziali accertamenti redditometrici.
In passato i prezzi dichiarati erano, in taluni casi, così bassi ed inverosimili da rendere evidente l'avvenuta corresponsione di parte del prezzo a nero.
Veniva dunque introdotto un congruo correttivo: si dava la possibilità agli Uffici di rideterminare il valore di mercato dell'immobile, ed utilizzare quest'ultimo valore al fine di calcolare le maggiori imposte sulle plusvalenze e di registro dovute.
In questa sede, questo strumento viene del tutto snaturato ed utilizzato in un caso in cui non vi è stata, e mai vi potrebbe essere stata, alcuna corresponsione di denaro in nero[1].
Infatti, parliamo di un ufficio acquistato da una società all'interno del quale viene svolta l'attività di impresa tipica.
In altri termini, si tratta di un immobile di cui la società deduce/ammortizza il costo pagato, e che quindi non ha alcun interesse a pagare somme in nero, semmai ha l'interesse contrario[2].
Anche l'intermediazione della società di locazione finanziaria prova vieppiù come non possa ragionevolmente esservi stata alcuna ulteriore elargizione c.d. in nero. Altrimenti come si tutelerebbe l'acquirente, che non è ancora divenuto proprietario, e che potrebbe potenzialmente non diventarlo mai, delle eventuali somme versate in nero?
Parliamo, peraltro, non di piccole somme, ma di una differenza di oltre 170.000,00 euro.
L'assunto dell'Ufficio è quindi inverosimile, irrazionale e contrario ad ogni logica; il che non può che inficiare dal punto di vista motivazionale l'avviso di rettifica e liquidazione[3].
Per di più, si dimostrerà all'interno di questo ricorso, come il prezzo concordato risulti, in realtà, pienamente rispondente al valore di mercato.
Infatti, l'Agenzia trascura da un lato gli elementi che, nel caso concreto, incidevano indubbiamente sul valore di mercato dell'immobile, e ne calcola il valore prendendo a riferimento i valori relativi a zone di Milano ben più prestigiose (come Via Monte Napoleone, o Corso Vittorio Emanuele).
Di ciò e di molto altro si dirà all'interno del presente atto, la cui lettura proverà senza ombra di dubbio l'illegittimità e infondatezza dell'avviso notificato alle parti ricorrenti.
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Tutto ciò premesso, la società XXX nonché la società XXX come sopra rappresentate e difese,
visti
gli artt. 17 bis, 18, 19 e 21 del D.Lgs. n. 546/1992 e ss.mm.
ricorrono
avverso l’avviso di rettifica e liquidazione indicato in epigrafe per i seguenti motivi:
1 - INFONDATEZZA ED ILLEGITTIMITA' DELL'AVVISO DI RETTIFICA.
Sulle reali condizioni dell'unità immobiliare e sull'entità dei lavori di ristrutturazione effettuati – congruità del prezzo – elementi trascurati dall'ufficio – violazione e falsa applicazione degli articoli 51 e 52 del d.p.r. n. 131/1986.
L'Ufficio procede alla rideterminazione dell'unità immobiliare applicando erroneamente i valori previsti per lo stato manutentivo “normale”.
In realtà la società ha dovuto spendere, per ripristinare gli uffici, ulteriori 220.000,00 euro ca. (documento n. X).
Pertanto, il costo effettivo per ottenere un ufficio idoneo ad essere utilizzato è stato di circa 1.270.000,00 euro, somma addirittura superiore a quella indicata dall'Ufficio.
Ben si capisce dunque per quale motivo il costo risultava pienamente congruo.
A ben vedere infatti dovevano essere rifatti totalmente gli impianti dell'immobile, i controsoffitti, i serramenti, le persiane, le solette e addirittura i pavimenti (con rimozione di quelli precedenti).
Le stesse condizioni interne e l'affaccio interno erano visivamente del tutto indecorose.
A riprova di ciò sia sufficiente un breve esame del materiale fotografico raccolto in prossimità dell'acquisto: documento n. X.
Vediamo finestre chiuse con il nastro adesivo per evitare fossero aperte e/o buttate giù da un colpo di vento, infissi rovinosi, infiltrazioni, ed un stato generale disastroso.
Lo stesso affaccio interno dell'unità immobiliare, come si vede dall'esame del materiale fotografico, in buona parte è costituito da un monoaffaccio su cavedio, che limita la circolazione di aria nell'ufficio e purtroppo determina costanti immissioni rumorose provenienti dai condizionatori degli immobili attigui posti sul suolo del cavedio.
In assenza di immediati lavori molte parti dell'unità immobiliare, per di più, rischiavano addirittura di rovinare, con ogni conseguente responsabilità.
Gli interventi manutentivi eseguiti dai precedenti proprietari, citati dall'Ufficio per sostenere che l'immobile era in stato manutentivo normale, non avevano affatto interessato tali aspetti.
Anzi, a ben vedere tale precedente intervento aveva inciso negativamente sulla superficie netta calpestabile dell'immobile, riducendola di oltre il 25% (documento n. X)[4] a causa di un'inefficiente ed inutile disposizione o duplicazione delle mura interne, più idonea a “nascondere” ai clienti i reali difetti dell'immobile che a renderlo maggiormente funzionale al proprio scopo.
Sul punto, ricordiamo che l'Ufficio nei propri calcoli tiene in considerazione una superficie pari a ben 222 mq, come se non esistesse alcun muro e sommando tutte le voci di cui a pagina 5 dell'avviso, ivi comprese superfici “considerate” assimilabili a balconi e superfici di locali “considerati” accessori.
Calcolo da cui non possono che sfuggire gli elementi di cui sopra, che invece incidono ampiamente sul valore di mercato.
Su tale aspetto occorre soffermarsi per un momento. La superficie lorda comprende tutto il perimetro (come se non vi fossero mura). La superficie netta è la superficie interna, che nel caso concreto non è 222 (dimensione considerata dall'Ufficio) ma 180.
La superficie calpestabile, invece, è data dalla superficie netta che tuttavia viene ulteriormente ridotta ove vi siano murature interne, ed i lavori effettuati dai precedenti proprietari avevano per l'appunto ridotto la superficie calpestabile a 160 mq (documento n. X).
È dunque chiaro che parlare di una superficie di 222 mq (ed effettuare qualsiasi calcolo in riferimento ad unta tale superficie) come operato dall'Agenzia porta a risultati fuorvianti e non corrispondenti al valore dell'immobile.
Dunque, a ben vedere, erano molti gli elementi che incidevano negativamente sul prezzo, primo tra tutti la necessità di eseguire oltre 200.000,00 euro di lavori di ripristino, da effettuare in tempi peraltro brevi dopo l'acquisto, per evitare qualsiasi potenziale danno a terzi, che un edificio in tali condizioni avrebbe astrattamente potuto arrecare.
Trattavasi, dunque, tutt'altro che di un “affare” da cogliere al volo per la società contribuente. Non a caso i precedenti proprietari dell'ufficio erano alla ricerca di acquirenti da mesi e mesi, e nessun altro si era mostrato disposto all'acquisto, tanto meno al prezzo indicato.
Anzi, per un caso del tutto fortunato per i proprietari, la società contribuente, che aveva già i propri uffici nel medesimo edificio, avendo la necessità di maggiori spazi, si è mostrata interessata all'acquisto per la somma di un milione e cinquantamila euro.
Dunque, sono moltissimi gli aspetti che dimostrano l'inverosimiglianza del prezzo indicato dai Verificatori e la congruità del prezzo praticato.
Peraltro, come già menzionato, sommando al costo di acquisto il costo dei lavori eseguiti, il costo totale dell'ufficio risulta di 1.270.000,00 euro, costo perfettamente confermato dalle stesse stime e dagli stessi dati indicati dall'Ufficio.
Sotto altro profilo, è noto le stime per zone (come per l'appunto quelle OMI E FIMAA citate dall'Ufficio) non solo trascurano le peculiari caratteristiche delle singole unità immobiliari, ma – essendo per l'appunto statistiche formate su zone “presunte” omogenee – assimilano immobili situati in strade prestigiose o di fronte a monumenti storici, con vicoli paralleli nascosti nelle vie interne o situati in strade ad altissima congestione stradale.
Milano è un esempio di come tale assimilazione possa risultare fuorviante ed in alcuni casi del tutto scorretta. Infatti, è ovvio che un ufficio nella prestigiosa Via Monte Napoleone, in Corso Vittorio Emanuele, non potrà avere, a parità di metratura, lo stesso valore di un ufficio ubicato, ad esempio, in via Marziale, piccola trasversa vicina a Largo Augusto.
Eppure per le stime OMI le due unità immobiliari dovrebbero avere, a parità di metratura, identico valore.
Ma, a ragion comune, è ovvio come ciò non corrisponda a verità[5].
Orbene, ciò è esattamente quanto avvenuto nel caso di specie, l'Agenzia ha rideterminato il valore di un ufficio, certamente centrale (ed infatti è costato, al netto dei lavori di ripristino, oltre un milione di euro), ma utilizzando gli stessi valori impiegati per calcolare il valore di uffici ubicati nelle più prestigiose vie di Milano, quali per l'appunto Via Monte Napoleone o Corso Vittorio Emanuele.
È ovvio che un simile calcolo conduce a risultati molto elevati, e, non corrispondenti al reale valore dell'immobile.
Ed è esattamente per tale motivo che la giurisprudenza (cfr. tra le tantissime CTR Lazio n. 58/26/2008, per quanto riguarda i giudici di merito, ovvero, ex pluribus, Cass. n. 5645/2006, per quanto riguarda i giudici di legittimità) ha sempre affermato la valenza assolutamente relativa di tali valori.
Valori che per l'appunto oggi portano ad una stima senz'altro non corretta[6].
Infine, a ben vedere l'immobile di cui discutiamo si trova a pochi metri dall'inizio di una diversa zona OMI, la zona OMI B16 (VIA DANTE – SANT'AMBROGIO - CADORNA), all'interno della quale ricade parte di via XXX e larga parte di via XXX (che rappresenta il proseguimento di via XXX).
Orbene, calcolato il valore normale dell'immobile sulla base dei valori della contigua zona OMI B16, notiamo immediatamente come il prezzo praticato dalle parti nel caso concreto sia addirittura superiore di circa 50.000,00 euro rispetto ai valori massimi OMI[7], per di più relativi agli uffici in uno stato conservativo ottimo (documento n. X).
Quindi a ben vedere gli stessi valori OMI di cui alla contigua zona B16 (distante poche decine di metri) confermano la congruità del prezzo praticato e l'inverosimiglianza ed inattendibilità di quello indicato dai funzionari.
Da ultimo, va censurato il modus operandi dell'Ufficio che quando si tratta di individuare immobili ritenuti “simili”, considera due immobili:
1) il primo è guarda caso un immobile sito in XXX, zona che per peculiari caratteristiche sue proprie ha sempre registrato prezzi superiori alle zone limitrofe, e ciò è dato noto e notorio (documento n. X, leggiamo quanto riportato in più occasioni dalla stampa nel corso degli anni: “Non meraviglia quindi che XXX e gli spettacolari edifici d'epoca di alcune delle vie adiacenti siano in cima alle quotazioni immobiliari milanesi” “si rileva per il Centro storico un incremento dei prezzi (…) con punte elevate in XXX”). Ed ancora l'immobile di cui trattasi risultava ristrutturato e peraltro la cessione era comprensiva di altri beni (leggiamo nel contratto allegato dall'Agenzia come fosse compresa addirittura una prestigiosa libreria con doppio affaccio). Le condizioni degli uffici in XXX erano dunque ben diverse dalle condizioni dell'unità immobiliare di cui discutiamo. In definitiva, l'immobile non è sufficientemente prossimo né tanto meno assimilabile – per posizione, pregio e caratteristiche della cessione – a quello di cui discutiamo.
2) Quanto al secondo edificio considerato dall'Ufficio, quest'ultimo è sì situato più vicino allo stabile de quo, ma non solo anch'esso è un noto edificio storico di Milano, ristrutturato, non solo anch'esso fu venduto a condizioni ben diverse dall'ufficio di cui oggi discutiamo (il quale, come visto, invece necessitava di ingenti ed imminenti lavori), ma addirittura, di tale cessione – guarda caso – l'Ufficio non prende a riferimento il valore dichiarato nell'atto di cessione considerato simile, bensì il valore dalla stessa Direzione ri-derminato con avviso di rettifica con lo stesso procedimento presuntivo oggi utilizzato. Peraltro, neanche sappiamo se l'allora contribuente impugnò il relativo atto e se quest'ultimo fu da ultimo annullato, ovvero se prestò acquiescenza unicamente per evitare il contenzioso. In ogni caso in punto di stretto diritto, non si tratta di un dato né reale né oggettivo, ma elaborato attraverso un ragionamento presuntivo, che non può essere senz'altro posto a base di un ulteriore distinto ragionamento presuntivo[8]. Dato, dunque, in definitiva non genuino e potenzialmente influenzato da fattori esterni (come per l'appunto, la scelta dell'allora contribuente di non impugnare solo per non sostenere i costi del contenzioso).
Peraltro, si censura oltremodo tale modus operandi. Se fosse possibile così operare l'Ufficio potrebbe facilmente utilizzare un valore erroneo ed incredibilmente elevato, dallo stesso Ufficio stabilito in sede di rettifica di terze cessioni (magari contestate o cristallizzate solo perché notificate a contribuenti già decotti o per motivi indipendenti da una loro correttezza), ed in un secondo momento utilizzare tale valore errato ed eccessivamente elevato per rideterminare il valore di tutti gli immobili compravenduti nell'area di riferimento.
In definitiva, da qualsiasi prospettiva si esamini la questione, emerge lampante che nel caso di specie non vi è stata alcuna corresponsione ulteriore di denaro, che il prezzo era più che giustificato dalle specifiche condizioni di cui trattasi e che lo stesso avviso di rettifica si mostra oltremodo viziato e fa proprio un calcolo eccessivo, inverosimile ed inattuale.
Fermi restando i vizi di cui si è detto, si è comunque già rilevata la presenza di elementi che dimostrano limpidamente la congruità del prezzo corrisposto dalla Società ricorrente nel caso di specie – invero sin troppo elevato.
In definitiva, è ictu oculi evidente l’infondatezza, inverosimiglianza, inattendibilità ed illegittimità della rettifica operata dall’Ufficio, per l’effetto, l’avviso in epigrafe non può che ritenersi nullo, annullabile e comunque privo di ogni effetto.
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Per quanto sopra esposto, si chiede che codesta On.le Commissione Tributaria Provinciale voglia:
in via principale e di merito:
annullare l’avviso di rettifica e liquidazione n. XXX, emesso dalla XXX, indicato in epigrafe.
Con vittoria di spese, diritti e onorari, oltre ad IVA e CPA, nella misura media prestabilita dai parametri ministeriali per le cause di fronte alla Commissione Tributaria Provinciale, e rientranti nello scaglione compreso tra 5.201,00 e 26.000,00 (i parametri prevedono la liquidazione di euro 3.980,00, oltre CPA e spese generali, per un totale di euro 5.807,30).
(OMISSIS)
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Istanza ex art. 17bis del D.Lgs. n. 546/92
(OMISSIS)
chiedono
che la Direzione Provinciale I di Milano, in alternativa al deposito del ricorso che precede presso la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, accolga in via amministrativa le richieste nel medesimo ricorso formulate, per l’effetto annullando integralmente l’avviso di rettifica e liquidazione di cui in epigrafe.
(OMISSIS)
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I documenti richiamati saranno depositati presso la Segreteria della Commissione Tributaria Provinciale unitamente al presente ricorso-reclamo ed al fascicolo del ricorrente ai sensi dell’art. 22, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992. Inoltre, gli eventuali documenti non in possesso dell'Amministrazione Finanziaria vengono altresì trasmessi all'Agenzia delle Entrate unitamente al presente ricorso/reclamo.
[1] Preliminarmente, al fine di fugare ogni dubbio al riguardo, è opportuno chiarire che non esiste alcun elemento che dimostri la corresponsione di maggiori somme di denaro da parte della Società in conseguenza della cessione del diritto. L’Agenzia si limita infatti ad asserire che il diritto di cui trattasi ha un valore di mercato più elevato rispetto a quello risultante dall’atto. Ciò sebbene la dinamica della transazione chiaramente suggerisca l'inverosimiglianza di un tale assunto, che non può che implicare un difetto logico della motivazione dell'avviso di rettifica.
[2] Infatti, ipotizziamo per un momento che abbia ragione l'Ufficio, e che per acquistare l'immobile siano stati corrisposti più di 170.000,00 euro in nero e quindi ipotizziamo sia effettivamente stato corrisposto il prezzo indicato dall'Ufficio. Ora, tale corresponsione sarebbe “costata” 57.750,00. euro (aliq. 27,5%) di imposte non risparmiate, data l'indeducibilità del costo sostenuto a nero. E ciò a fronte di un risparmio sull'imposta di registro di 15.885,00 euro. In altri termini, se l'Ufficio avesse ragione, in esito all'operazione sarebbe stata la stessa Agenzia a beneficiare di un maggior introito eccedente di circa 35.000,00 euro il dovuto e non certamente il contribuente. È quindi di solare, lampante, evidenza che la tesi dell'Ufficio non potrebbe mai corrispondente alla dinamica reale degli eventi, perché priva di alcuna logica evasiva.
[3] Una motivazione contraddittoria, illogica ed irragionevole, è inidonea a svolgere la propria funzione rappresentativa del potere autoritativo, e dunque deve senz'altro considerarsi inesistente, nulla e/o annullabile.
[4] La superficie considerata dall'Ufficio ai fini della rideterminazione è 222 mq, mentre la superficie calpestabile effettiva era di circa 160 mq.
[5] Similmente, un ufficio in Corso Vittorio Emanuele o in altre strade del centro chiuse al traffico dei mezzi, non avrà certamente, a parità di metratura, lo stesso valore di uffici ubicati su strade, si centrali, ma ad alta congestione di traffico. Eppure anche in tal caso per le stime OMI il valore è identico.
[6] L'ubicazione dell'unità immobiliare è Via XXX, via ad alta congestione stradale, aperta per l'appunto al transito dei veicoli continuato, che collega via XXX con via XXX. Calcolandone il valore utilizzando i valori OMI e CAAM/FIMAA relativi all'area più prestigiosa di tutta Milano, area in cui rientrano uffici ubicati in Corso Vittorio Emanuele, in Piazza San Babila, in Via Monte Napoleone, vie di gran lunga più prestigiose, è naturale che si arrivi a valori più elevati di quelli reali ed effettivi.
[7] Nel periodo di riferimento, il valore massimo di un ufficio in zona B16, in stato manutentivo ottimo, era al massimo di 4.500,00 euro. Moltiplicato tale importo per la massima superficie lorda indicata dall'Agenzia in relazione all'immobile di cui di discutiamo, si ottiene un valore pari ad euro 1.003.500,00 (4.500,00*223). Prendendo a riferimento i valori medi, sempre relativi agli uffici in stato conservativo ottimo, il prezzo praticato risulta addirittura superiore, rispetto al valore OMI dell'immobile, di circa 150.000,00 euro.
[8] Ciò in quanto il ragionamento presuntivo richiede la certezza della premessa logica da cui sia possibile desumere la certezza di una prova reale. Diversamente si verificherebbe quella fattispecie di presunzioni fondate su presunzioni vietata dalla legge e riassunta nel noto brocardo praesumptum de praesumpto non admittitur. Sul punto, a parere della Suprema Corte: “poiché il procedimento procede da un fatto, cioè da un fatto pacificamente affermato, non è configurabile una presunzione su un fatto a sua volta presunto” (così Cass. n.560/1982). La ratio del divieto ordinamentale, da sempre affermato in giurisprudenza, di operare presunzioni di secondo grado o a catena, ricavato (in generale) dagli artt. 2727 e 2729 del codice civile e, per la materia tributaria, proprio dall’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973, sul quale l’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto di poter fondare anche l'atto impugnato in questa sede, risiede nella constatazione che un ragionamento presuntivo di secondo grado non è in grado di fornire la prova di un fatto ignoto con un sufficiente livello di attendibilità.
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