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La detrazione dell’IVA, anche quando illegale, non può essere sanzionata dall’Agenzia delle Entrate in misura pari al 100% della detrazione. La Corte di Giustizia rileva il contrasto con i principi di proporzionalità e neutralità.

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Estratto: “I principi di proporzionalità e di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) devono essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, essi ostano a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell’IVA è punita con una sanzione pari all’importo della detrazione effettuata.

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Corte di Giustizia, Prima Sezione

Causa C-712/17, Sentenza dell’8 maggio 2019.

«Rinvio pregiudiziale – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Operazioni fittizie – Impossibilità di detrarre l’imposta – Obbligo, per l’emittente di una fattura, di assolvere l’IVA in essa indicata – Sanzione di importo pari a quello dell’IVA indebitamente detratta – Compatibilità con i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità»

Nella causa C‑712/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria regionale di Lombardia (Italia), con ordinanza del 9 ottobre 2017, pervenuta in cancelleria il 20 dicembre 2017, nel procedimento E. contro Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale Lombardia Ufficio Contenzioso

LA CORTE (Prima Sezione),

considerate le osservazioni presentate: (…)

ha pronunciato la seguente

Sentenza

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la E. Srl e, dall’altro, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Lombardia (Italia) (in prosieguo: l’«Agenzia delle Entrate») in merito a un avviso di accertamento tributario di cui era stata oggetto tale società, comportante una maggiorazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuta, corredata d’interessi e sanzioni.

 

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

L’articolo 63 della direttiva IVA così dispone:

«Il fatto generatore dell’imposta si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi».

L’articolo 167 di tale direttiva prevede quanto segue:

«Il diritto a detrazione sorge quando l’imposta detraibile diventa esigibile».

Ai sensi dell’articolo 168 di detta direttiva:

«Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore gli importi seguenti:

a) l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo; (…)”.

L’articolo 203 della medesima direttiva così recita:

«L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura».

Ai sensi dell’articolo 273 della direttiva IVA:

“Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera.

Gli Stati membri non possono avvalersi della facoltà di cui al primo comma per imporre obblighi di fatturazione supplementari rispetto a quelli previsti al capo 3”.

Diritto italiano

Il decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 – Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto, nella sua versione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale (in prosieguo: il «DPR n. 633/1972»), all’articolo 17, comma 1, così dispone:

«L’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art[icolo] 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo». Ai sensi dell’articolo 19, comma 1, del DPR n. 633/1972:

«Per la determinazione dell’imposta dovuta a norma del primo comma dell’art[icolo] 17 o dell’eccedenza di cui al secondo comma dell’art[icolo] 30, è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione. Il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo».

L’articolo 21del DPR n. 633/1972 prevede quanto segue:

«Se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura».

L’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 471, nella sua versione applicabile alla data dei fatti di cui al procedimento principale, prevedeva quanto segue:

«Chi computa illegittimamente in detrazione l’imposta assolta, dovuta o addebitatagli in via di rivalsa, è punito con la sanzione amministrativa uguale all’ammontare della detrazione compiuta».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

L’E. è una società italiana di produzione e distribuzione di energia elettrica. L’Agenzia delle Entrate ha rettificato le dichiarazioni IVA dell’E. in riferimento agli anni d’imposta 2009 e 2010. In forza dell’articolo 19 del DPR n. 633/1972, l’Agenzia delle Entrate ha respinto la detrazione dell’IVA relativa ad operazioni di acquisto di energia elettrica che ha considerato fittizie, in mancanza di effettiva trasmissione dell’energia, e ha irrogato all’E., ai sensi dell’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo indicato al punto 11 della presente sentenza, una sanzione d’importo uguale a quello dell’IVA indebitamente detratta.

Per contro, l’Agenzia delle Entrate non ha rilevato che l’E. fosse venuta meno all’obbligo di assolvimento dell’IVA dovuta per ciascuna delle sue operazioni di vendita di energia elettrica

Tali diverse operazioni rientrano, secondo l’Agenzia delle Entrate, in un meccanismo circolare di vendita dei medesimi quantitativi di energia agli stessi prezzi, tra società appartenenti al medesimo gruppo. Esse sarebbero state effettuate allo scopo di consentire al gruppo Green Network di esporre nella propria contabilità valori di maggiore consistenza, al fine di accedere a finanziamenti bancari.

L’Agenzia delle Entrate ha emesso, nei confronti dell’E., due avvisi di accertamento corrispondenti ciascuno a una maggiorazione dell’IVA dovuta, corredata da interessi e da una sanzione, per importi rispettivamente pari a EUR 47618491 per l’anno 2009 e a EUR 22001078 per l’anno 2010.

L’E. ha presentato ricorso avverso tali avvisi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano (Italia), che li ha respinti. Tale società ha proposto appello avverso la sentenza pronunciata da detto organo giurisdizionale dinanzi alla Commissione tributaria regionale di Lombardia (Italia).

Il giudice del rinvio sottolinea che le operazioni di vendita fittizia di energia elettrica di cui al procedimento principale non hanno arrecato alcun vantaggio fiscale ai loro autori, a motivo della circolarità delle operazioni, e sottolinea l’assenza di danno erariale. Esso si chiede se, nel caso di specie, trattandosi di operazioni inesistenti, sia conforme ai principi del diritto dell’Unione far sostenere l’IVA all’operatore. In assenza di frode fiscale, il giudice del rinvio ritiene che il principio di neutralità dell’imposta dovrebbe prevalere e che il rifiuto di detrazione dell’IVA regolarmente assolta e l’irrogazione di un’ulteriore sanzione pari all’importo dell’IVA indebitamente detratta non siano proporzionati all’illecito consistito nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti.

In tali circostanze, la Commissione tributaria regionale di Lombardia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se, nell’ipotesi di operazioni ritenute inesistenti che non hanno determinato un danno all’Erario e non hanno arrecato alcun vantaggio fiscale al contribuente, la disciplina interna, risultante dall’applicazione dell’art. 19 (Detrazione) e 21, comma 7, (Fatturazione delle operazioni) del [DPR n. 633/1972] e dell’art. 6, comma 6, del D.lgs. 471 del 18.12.1997 (Violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni), è conforme ai principi [del diritto dell’Unione] in materia di IVA elaborati dalla [Corte] dal momento che la simultanea applicazione delle norme interne determina:

la reiterata e ripetuta indetraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti dal cessionario per ogni transazione contestata che riguarda il medesimo soggetto e la stessa base imponibile;

l’applicazione dell’imposta ed il pagamento del tributo per il cedente (e la preclusione della ripetizione dell’indebito) per le corrispondenti e speculari operazioni di vendita ritenute ugualmente inesistenti;

l’applicazione di una sanzione pari all’ammontare dell’imposta sugli acquisti ritenuta indetraibile».

Sulla questione pregiudiziale

Anche se, sul piano formale, il giudice del rinvio ha circoscritto la sua questione all’interpretazione dei «principi [del diritto dell’Unione] in materia di IVA elaborati dalla [Corte]», menzionando in particolare i principi di proporzionalità e di neutralità, una tale circostanza non osta a che la Corte gli fornisca tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possono essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che detto giudice vi abbia o meno fatto riferimento nel formulare le proprie questioni. A tal riguardo, spetta alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice del rinvio e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di detto diritto che richiedono un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia di cui al procedimento principale (v., in tal senso, sentenze del 4 ottobre 2018, LEGO, C‑242/17, EU:C:2018:804, punto 43; del 7 febbraio 2019, Escribano Vindel, C‑49/18, EU:C:2019:106, punto 32, e del 12 febbraio 2019, TC, C‑492/18 PPU, EU:C:2019:108, punto 37).

Sulle due prime parti della questione

Con le due prime parti della sua questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se, in una situazione come quella di cui trattasi al procedimento principale, in cui vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi non hanno causato perdite di gettito fiscale, la direttiva IVA debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’IVA relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente.

In via preliminare, si deve rilevare che le due norme di diritto nazionale summenzionate riproducono disposizioni analoghe della direttiva IVA.

Da un lato, l’indetraibilità dell’IVA relativa ad operazioni inesistenti emerge dall’articolo 168 di tale direttiva.

Infatti, da tale articolo risulta che il soggetto passivo può detrarre l’IVA di cui sono gravati i beni e i servizi impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta. In altri termini, il diritto a detrarre l’IVA gravante sull’acquisto di beni o servizi a monte presuppone che le spese effettuate per acquistare questi ultimi facciano parte degli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni tassate a valle (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2012, Portugal Telecom, C‑496/11, EU:C:2012:557, punto 36).

Orbene, quando un’operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente, essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle. Di conseguenza, quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto a detrazione (sentenza del 27 giugno 2018, SGI e Valériane, C‑459/17 e C‑460/17, EU:C:2018:501, punto 36).

È pertanto inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta.

Dall’altro lato, l’obbligo per chiunque indichi l’IVA in una fattura, di assolvere tale imposta compare espressamente all’articolo 203 della direttiva IVA. A tal riguardo, la Corte ha precisato che l’IVA indicata in una fattura è dovuta dall’emittente di tale fattura, anche in assenza di una qualsiasi operazione imponibile reale (v., in tal senso, sentenza del 31 gennaio 2013, Stroy trans, C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 38).

In linea di principio, le due norme summenzionate non si applicano al medesimo operatore. È l’emittente di una fattura a essere debitore dell’IVA in essa indicata, mentre l’indetraibilità dell’IVA relativa a operazioni inesistenti è opponibile al destinatario di tale fattura.

Tuttavia, nella situazione particolare di cui al procedimento principale, le prescrizioni stabilite agli articoli 168 e 203 della direttiva IVA si impongono congiuntamente al medesimo operatore. Infatti, gli stessi quantitativi di energia elettrica erano rivenduti fittiziamente allo stesso prezzo tra le società del medesimo gruppo in maniera circolare, di modo che tali società li vendevano e riacquistavano al medesimo prezzo. Ogni operatore era così allo stesso tempo soggetto emittente di una fattura indicante un importo IVA e destinatario di un’altra fattura, relativa all’acquisto dello stesso quantitativo di energia elettrica allo stesso prezzo e indicante lo stesso importo IVA. In quanto soggetto emittente di una fattura e ai sensi della norma prevista dall’articolo 203 della direttiva IVA, l’E. era dunque debitrice verso l’Erario dell’importo dell’IVA in essa indicato. Invece, tenuto conto del carattere fittizio delle operazioni in questione, non era consentito a tale società, conformemente alla prescrizione risultante dall’articolo 168 di tale direttiva, detrarre l’imposta del medesimo importo indicato sulla fattura di cui essa era destinataria a titolo del riacquisto dell’energia elettrica.

Per tali motivi, il giudice del rinvio chiede se l’applicazione congiunta di tali prescrizioni, risultante dal diritto nazionale e riprese dalla direttiva IVA, a un operatore che si trova in una situazione come quella dell’E., violi il principio di neutralità dell’IVA.

È vero che il meccanismo di detrazione dell’IVA, quale previsto dagli articoli 167 e seguenti della direttiva IVA, mira a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, purché esse siano soggette all’IVA. Il sistema comune dell’IVA garantisce, di conseguenza, la perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, a condizione che tali attività siano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (v., in tal senso, sentenze del 29 ottobre 2009, NCC Construction Danmark, C‑174/08, EU:C:2009:669, punto 27, e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings, C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 38).

Tuttavia, anche la lotta contro la frode, l’evasione fiscale ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA (sentenza del 31 gennaio 2013, Stroy trans, C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 46). Orbene, il rischio di perdita di gettito fiscale non è, in linea di principio, eliminato completamente fintantoché il destinatario di una fattura che indica un’IVA non dovuta possa utilizzarla al fine di ottenere la detrazione di tale imposta (sentenza del 31 gennaio 2013, Stroy trans, C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 31).

In quest’ottica, l’obbligo di cui all’articolo 203 di tale direttiva mira a eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione (sentenza del 31 gennaio 2013, Stroy trans, C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 32).

Tuttavia, in forza del principio di proporzionalità, detto obbligo non deve eccedere quanto necessario per il raggiungimento di tale obiettivo e, segnatamente, non deve arrecare un pregiudizio eccessivo al principio di neutralità dell’IVA. Orbene, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il carattere fittizio delle operazioni ostacola la detraibilità dell’imposta, il rispetto del principio di neutralità dell’IVA è garantito dalla possibilità, che spetta agli Stati membri prevedere, di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché l’emittente della fattura dimostri la propria buona fede o abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale (sentenza del 31 gennaio 2013, Stroy trans, C‑642/11, EU:C:2013:54, punto 43).

Nella fattispecie, dalle spiegazioni fornite alla Corte dal giudice del rinvio emerge che l’E. ha consapevolmente emesso fatture non corrispondenti ad alcuna operazione reale. In tali circostanze, tale società non può avvalersi della sua buona fede. Per contro, sempre secondo il giudice del rinvio, le vendite fittizie di energia elettrica tra le società interessate non hanno dato origine ad alcuna perdita di gettito fiscale. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle sue conclusioni, ciò deriva dal fatto che le società coinvolte hanno regolarmente assolto l’IVA gravante sulle loro vendite di energia elettrica e che, avendo poi riacquistato gli stessi quantitativi di energia elettrica al medesimo prezzo, hanno detratto un importo IVA identico a quello che avevano assolto.

In tali circostanze, dal punto 33 della presente sentenza emerge che la direttiva IVA, letta alla luce dei principi di neutralità e di proporzionalità, impone agli Stati membri di consentire all’emittente di una fattura relativa a un’operazione inesistente di richiedere il rimborso dell’imposta, indicata su tale fattura, che egli ha dovuto assolvere, qualora abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale.

Tenuto conto delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alle due prime parti della questione sollevata dichiarando che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi non hanno causato perdite di gettito fiscale, la direttiva IVA, letta alla luce dei principi di neutralità e di proporzionalità, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’IVA relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente di detta fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Sulla terza parte della questione

Con la terza parte della sua questione il giudice del rinvio chiede se il principio di proporzionalità debba essere interpretato nel senso che esso osta, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell’IVA è punita con una sanzione uguale all’importo della detrazione effettuata.

Ai sensi dell’articolo 273 della direttiva IVA gli Stati membri hanno la facoltà di adottare misure al fine di assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare le evasioni. In particolare, in assenza di disposizioni di diritto dell’Unione a tale proposito, gli Stati membri sono competenti a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate in caso di inosservanza delle condizioni previste dalla legislazione dell’Unione per l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA (v., in tal senso, sentenze del 15 settembre 2016, Senatex, C‑518/14, EU:C:2016:691, punto 41, e del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 59 nonché giurisprudenza ivi citata).

Essi sono tuttavia tenuti a esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi, segnatamente i principi di proporzionalità e di neutralità dell’IVA (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 59 e giurisprudenza ivi citata). Pertanto, le sanzioni non devono eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi indicati dall’articolo 273 della direttiva IVA né mettere in discussione la neutralità di tale imposta (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, Salomie e Oltean, C‑183/14, EU:C:2015:454, punto 62).

In primo luogo, al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a reprimere, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa (sentenza del 26 aprile 2017, Farkas, C‑564/15, EU:C:2017:302, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

A tal riguardo, occorre rilevare che, nella fattispecie, il diritto nazionale prevede, al fine di assicurare la corretta riscossione dell’IVA e di evitare la frode, una sanzione il cui importo non è calcolato in base al debito d’imposta del soggetto passivo, ma è pari all’importo dell’imposta indebitamente detratta da quest’ultimo. Infatti, poiché il debito d’imposta del soggetto passivo dell’IVA è pari alla differenza tra l’imposta dovuta per i beni e i servizi forniti a valle e l’imposta detraibile relativa ai beni e ai servizi acquisiti a monte, l’importo dell’imposta indebitamente detratta non corrisponde necessariamente a tale debito.

Ciò avviene in particolare nella controversia principale. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni, dal momento che l’E. ha acquistato e venduto fittiziamente gli stessi quantitativi di energia elettrica al medesimo prezzo, il suo debito d’imposta a titolo dell’IVA, per tali operazioni, corrispondeva a zero. In tale situazione, una sanzione pari al 100% dell’importo dell’imposta indebitamente detratta a monte, irrogata senza tener conto del fatto che un medesimo importo dell’IVA era stato regolarmente assolto a valle e che l’Erario non aveva subito, in conseguenza, nessuna perdita di gettito fiscale, costituisce una sanzione sproporzionata rispetto all’obiettivo da essa perseguito.

In secondo luogo, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, il principio di neutralità dell’IVA osta altresì all’applicazione di una sanzione come quella prevista dal diritto nazionale. Infatti, in tale situazione, come indicato al punto 33 della presente sentenza, il rispetto del principio di neutralità dell’IVA è assicurato dalla possibilità, che dev’essere prevista dagli Stati membri, di rettificare le imposte indebitamente fatturate, purché colui che ha emesso la fattura dimostri la sua buona fede o abbia completamente eliminato, in tempo utile, il rischio di perdita di gettito fiscale.

Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 57 delle sue conclusioni, l’irrogazione di una sanzione pari al 100% dell’importo dell’imposta indebitamente detratta priva di valore la facoltà di rettifica del debito d’imposta sorto a norma dell’articolo 203 della direttiva IVA. Infatti, anche se tale debito può essere rettificato in assenza di rischio di perdita di gettito fiscale, un importo pari a quello dell’imposta indebitamente detratta continua a essere dovuto a titolo di tale sanzione.

Di conseguenza, si deve rispondere alla terza parte della questione sollevata dichiarando che i principi di proporzionalità e di neutralità dell’IVA devono essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, essi ostano a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell’IVA è punita con una sanzione pari all’importo della detrazione effettuata.

Sulle spese

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

In una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi non hanno causato perdite di gettito fiscale, la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, letta alla luce dei principi di neutralità e di proporzionalità, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente della fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

I principi di proporzionalità e di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) devono essere interpretati nel senso che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, essi ostano a una norma di diritto nazionale in forza della quale la detrazione illegale dell’IVA è punita con una sanzione pari all’importo della detrazione effettuata.

 

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