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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 11650 del 3 maggio 2019
osserva:
D. ricorre contro l'Agenzia delle Entrate per l'annullamento della sentenza sopra indicata denunciando:
1 - «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 37, 38, 39, comma 1, lett. d) e 42 del D.P.R. 600/'73 ; art. 54 D.P.R. 633 del 1972; art. 62 - sexies, commi 3 e 4 del D.L. 317'93, conv. con modif. in L. 427/'93; art. 2729 cod. civ.; nonché per carenza e/o insufficienza della motivazione», perché la sentenza aveva confermato l'avviso di accertamento XXX - fondato su una percentuale dì ricarico del 50% sul costo del venduto e che il contribuente aveva impugnato in quanto elaborato su un campione esiguo di merce e su una media aritmetica anziché ponderata - e motivato in forza del fatto che il ricorrente aveva comunque ammesso un occultamento di ricavi calcolando un ricarico del 12 anziché del 16%;
2 - «violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36, comma 2 del d.lgvo 546/92; 112 e 113 cod. proc. civ.», perché la sentenza aveva disatteso gli studi di settore applicando una percentuale di ricarico del 56%, poi ridotta equitativamente al 50%;
3 - «omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione di legge (artt. 2727 e 2697 cod. civ.; 39 D.P.R. 600/73). Violazione dei principi regolatori del giusto processo >>, perché la sentenza non sì era espressa sulla serietà e gravità degli indizi posti a base dell'accertamento e perché non si era espressa sulla prova contraria offerta dal contribuente, costituita dai copiosi documenti prodotti;
4 - «omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione dei principi regolatori del giusto processo>>, perché la sentenza aveva valutato come atto confessorio dell'occultamento di ricavi la domanda subordinata che era stata fatta di applicazione della percentuale di ricarico del 16% stabilita dagli studi di settore. Resiste l'Agenzia delle Entrate, eccependo preliminarmente l'inammissibilità del ricorso, che di fatto punterebbe ad una rivalutazione del merito della vicenda, e nel merito comunque la sua infondatezza, alla luce dell'esauriente motivazione della sentenza e dell'erroneità della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che aveva ritenuto che l'accertamento si fosse fondato su studi di settore - non prodotti in giudizio - e non invece - come era accaduto, con metodo analitico-induttivo, basato sulla contabilità richiesta al contribuente e sul calcolo di una percentuale di ricarico del 56% sui prodotti più rappresentativi.
I FATTI DI CAUSA
In seguito all'esiguità dei redditi dichiarati nel MOD. UNICO/2005 di D., esercente in XXX il commercio di prodotti di telefonia e altri prodotti di elettronica, l'Agenzia delle Entrate di XXX richiedeva e otteneva dal contribuente i documenti contabili del 2004. In conseguenze di varie incongruenze e inesattezze, attinenti sia alla regolarità formale delle scritture che alle percentuali di ricarico applicate, emetteva, a norma dell'art. 39, 1° comma, lett. d) del D.P.R. 600/'73, avviso di accertamento con il quale, ricostruendo gli effettivi maggiori ricavi con l'applicazione dì una percentuale media di ricarico del 50% sul costo del venduto, rideterminava in € 56.399.00 il reddito d'impresa. Contro l'accertamento il contribuente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Avellino, che annullava l'accertamento, "ritenendo" - come si legge nella sentenza impugnata - "che l'accertamento era stato emesso solo sulla base di parametri senza alcuna indicazione degli elementi considerati e con assenza di produzione dello studio di settore applicato, in uno alla non condivisibilità della percentuale di ricarico applicata in quanto stabilita solo su pochissimi articoli commercializzati". Su appello dell'Agenzia, la Commissione Tributaria Regionale della Campania riformava la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale in ragione del fatto: che l'atto impositivo non era stato giustificato da incongruità agli studi settore, bensì da gravi irregolarità dei documenti contabili del ricorrente; che il riconoscimento, da parte dell'appellato, di ricavi omessi sulla base di una percentuale di ricarico del 16% "in qualche modo, attesta che l'operato dell'Ufficio, con applicazione di un indice di ricarico del 50% e non del 56%, come affermato dall'appellato, non risulta irragionevole in rapporto all'attività oggetto della vertenza; che mancava la prova, che il contribuente avrebbe dovuto fornire, sull'applicazione di percentuali dì ricarico diversa e inferiore a quella del 50% stabilita dall'Ufficio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo, il terzo e il quarto motivo possono essere trattati unitariamente perché attengono tutti alla legittimità dell'accertamento induttivo operato dall'Agenzia delle Entrate a norma dell'art. 39, 1° comma, lett. d), del D.P.R. 602/'73; legittimità che il contribuente contesta nei presupposti, nello sviluppo del ragionamento inferenziale e nella sottovalutazione degli elementi probatori contrari offerti nel corso del giudizio. In ordine ai presupposti dell'accertamento compiuto, la doglianza è infondata. La sentenza ha riportato l'accertamento nell'ambito della fattispecie regolata dall'art. 39, 1°, lett. d), del D.P.R. 602/'73, richiamando e facendo propri i rilievi formali dell'Ufficio e sgombrando il campo dall'equivoco nel quale era caduta la Commissione di primo grado, che aveva ritenuto invece che l'ente impositore avesse fondato l'accertamento su uno studio di settore. In ordine alla determinazione di maggior base imponibile sulla base di percentuale di ricarico, il motivo è fondato. Secondo una giurisprudenza da tempo consolidata, in tema di accertamento induttivo fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, il ricorso alla media aritmetica semplice è consentito quando risulti l'omogeneità della merce, dovendosi invece fare ricorso alla media ponderale quando, tra i vari tipi dì merce, esiste una notevole differenza di valore e i tipi più venduti presentano una percentuale dì ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio (cass., ord. n. 33458 del 27/12/2018). La sentenza impugnata nulla dice su questo punto. Nulla dice neppure sulla rilevanza dei campioni selezionati e sulla loro rispondenza al criterio di media aritmetica prescelto (cass. ord. n. 26589 del 22/10/2018; cass., sent. n. 7653 del 16/05/2012). Ignora, infine, gli studi di settore che erano stati prodotti dal contribuente e che avrebbero dimostrato l'adozione di percentuali di ricarico solo lievemente maggiori di quelle dichiarati. Palesemente inammissibile è il secondo motivo, che individua una pronuncia equitativa nel fatto che la Commissione Tributaria Regionale ha applicato non la media aritmetica del 56%, ma quella del 50%. Doglianza della quale il ricorrente non ha interesse per dolersi e che comunque è stata erroneamente rivolta alla sentenza impugnata, laddove la riduzione era stata già operata, in favore del contribuente, dall'Ente impositore.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo del ricorso; dichiara inammissibile il secondo; cassa per quanto di ragione la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez stacc. di Salerno, anche per la statuizione sulle spese del presente grado. Roma, 13 marzo 2019.
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