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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 7995 del 21 marzo 2019
rilevato che:
1) la Commissione tributaria regionale della Lombardia, decidendo in sede di rinvio dalla Cassazione, ha accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle Dogane avverso la sentenza della CTP che, su ricorso di C. s.p.a., aveva annullato il provvedimento di tacito diniego opposto dall' amministrazione all'istanza presentata dalla società in data 29 ottobre 2004, di rimborso dell'imposta di consumo su oli minerali lubrificanti non destinati ad uso carburante o combustibile assolta il 31 ottobre 2002 in relazione ai prodotti importati nel periodo settembre 2002/dicembre 2003;
2) il giudice del rinvio ha rilevato che, pur essendo indubitabile che, per il periodo in esame, l'art. 62 del T.U. sulle accise era in contrasto con le direttive comunitarie che esentavano dall'imposizione gli oli minerali non utilizzati come carburante o combustibile, come affermato dalla Corte di giustizia con la pronuncia 25 settembre 2003 (causa C-431/07), tuttavia il quadro normativo complessivo era successivamente mutato a seguito della emanazione della Direttiva 2003/96/Ce, che aveva legittimato gli Stati membri a continuare a imporre una propria tassazione su quei prodotti energetici; con la conseguenza che l'art. 62, cit., che non era stato abrogato, non aveva mai cessato di avere concreta applicazione e non poteva più ritenersi incompatibile con il diritto unionale;
3) avverso la sentenza, depositata il 25.5.012, C. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito l'Agenzia delle dogane con controricorso;
considerato che:
1) con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per insufficiente e contraddittoria motivazione, con riferimento alla circostanza, decisiva per il giudizio, relativa al contrasto tra la normativa interna e quella comunitaria in materia di tassazione degli oli lubrificanti non utilizzati come carburanti o come combustibile;
2) con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 8, n. 1, lett. a), della Direttiva comunitaria n. 92/81 e dell'art. 2 della Direttiva comunitaria n. 92/82, con riferimento agli artt. 10 e 249 del Trattato istitutivo della Comunità europea, per non avere il giudice a quo considerato che, secondo gli articoli sopra citati, sussisteva l'obbligo per gli Stati membri di esentare da accisa gli oli lubrificanti non utilizzati come carburante o combustibile e che l'art. 62 del T.U. Accise era stato dichiarato in contrasto con la normativa comunitaria dalla Corte di giustizia, con la pronuncia 25 settembre 2003 (Causa C-437/01);
3) con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto applicabile alla fattispecie la Direttiva comunitaria 27 ottobre 2003, n. 2003/96, che trova invece applicazione solo a partire dal 10 gennaio 2004;
4) i motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati;
4.1) come già affermato da questa Corte (Cass. civ., 31 maggio 2018, n. 13883) la pretesa al rimborso delle imposte di consumo sugli oli lubrificanti versate dalla ricorrente nel periodo 2000-2003 trova fondamento nel fatto che la previsione di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, art. 62, comma 1, è stata ritenuta, dalla pronuncia del 25 settembre 2003 (resa nella causa C-437/01) della Corte di Giustizia, contraria all'ordinamento comunitario;
4.2) in particolare, si è precisato che non rileva la circostanza che, a seguito dell'adozione della Direttiva 2003/96/Ce, come modificata dalla Direttiva 2004/75/Ce, la normativa nazionale di cui al n. 504 del 1995, art. 62, non si ponga più in contrasto con il diritto comunitario (vd. Cass. Civ., sez. 5, 29 dicembre 2011, n. 29571); è vero che la direttiva 27 ottobre 2003 n. 2003/96/Ce, che ha escluso dal campo di applicazione del sistema fiscale da essa stabilito i prodotti energetici destinati a usi diversi dalla carburazione e combustione, lasciando liberi gli stati membri liberi di imporre una propria tassazione sui prodotti energetici destinati ad usi diversi dalla combustione o carburazione, senza porre alcun vincolo normativo, ha abrogato esplicitamente le direttive n. 1992/81/CE e n. 1992/82/CE a partire dal 31 dicembre 2003 (art. 30); tuttavia, la vicenda in esame, relativa alla richiesta di rimborso delle imposte versate da C., è da inquadrarsi, temporalmente, nell'ambito del periodo di vigore delle sopra citate Direttive n. 1992/81/CE e n. 1992/82/CE, periodo in cui la previsione del decreto legislativo n. 504 del 1995, art. 62 era indubitabilmente in contrasto con la normativa europea, come sancito dalla Corte di giustizia con la sentenza del 25 settembre 2003 (in causa C437/01);
5) va precisato, peraltro, circa la questione degli effetti delle pronunce della Corte di giustizia, che è stato, anche di recente, ribadito da questa Corte che "nell'ordinamento interno le pronunzie del giudice di Lussemburgo definiscono la portata della norma Eurounitaria così come avrebbe dovuto essere intesa ed applicata fin dal momento della sua entrata in vigore. Per tale motivo dette pronunzie estendono i loro effetti ai rapporti sorti in epoca precedente, purché non esauriti (cfr. Corte Giust. 11 agosto 1995, cause riunite da C-367/93 a C-377/93, Roders e a., punto 42, e 3 ottobre 2002, causa C-347/00, Barreira Perez, punto 44). I superiori principi, pienamente coerenti rispetto al meccanismo del rinvio pregiudiziale - ora disciplinato dall'art. 267 TFUE - ed ai compiti nomofilattici attribuiti alla Corte di Lussemburgo dal Trattato UE, da considerare assolutamente fermi e consolidati nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo (v. ex multis, Corte Giust., 17 febbraio 2005, causa C-45302 e C-462/02, Finanzamt Gladbeck, p. 41) risultano parimenti radicati nella giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa stessa Corte. L'interpretazione di una norma di diritto UE fornita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee si limita a chiarire ed a precisare il significato e la portata della norma stessa, così come essa avrebbe dovuta essere interpretata sin dal momento della sua entrata in vigore, con la conseguenza che la norma interpretata - purché dotata di efficacia diretta (in quanto dalla stessa i soggetti operanti all'interno degli ordinamenti degli Stati membri possono trarre situazioni giuridiche direttamente tutelabili in giudizio) - può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e sviluppatisi prima della sentenza interpretativa, salvo che in via eccezionale e in applicazione del principio generale della certezza del diritto inerente all'ordinamento giuridico comunitario, la stessa Corte - e non anche invece il giudice nazionale - abbia limitato la possibilità per gli interessati di far valere una disposizione da essa interpretata onde rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede ovvero al fine di evitare gravi inconvenienti (cfr. Cass., n. 5708 del 10/03/2009, nonché Cass. civ., 3 marzo 2017, n. 5381; Cass. civ., 11 dicembre 2012, n. 22577);
6) in ordine, poi, all'efficacia diretta della previsione di cui all'art. 8, del paragrafo 1, della direttiva 92/81/Cee, inequivoca è la interpretazione della medesima fornita dalla sentenza della Corte di Giustizia in data 10.6.1999, in causa C-346/97, Braathens Sverige, resa in sede di rinvio pregiudiziale, secondo cui la disposizione di esenzione dell'art. 8, paragr.1, lett. b) - che in nulla diverge quanto a portata normativa ed a formulazione lessicale, dalla disposizione di cui alla lett. a) del medesimo articolo - contiene "un obbligo chiaro e preciso", con la conseguenza che tali disposizioni - in quanto dal punto di vista sostanziale incondizionate e sufficientemente precise - legittimano i singoli, "in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati entro i termini", ad "opporsi a qualsiasi disposizione di diritto interno non conforme alla direttiva" ovvero a far valere nei confronti dello Stato i diritti loro conferiti, atteso che "il margine di discrezionalità riservato agli Stati membri dalla formula introduttiva del detto art. 1, n. 1, secondo la quale le esenzioni sono concesse dagli Stati membri alle condizioni da esse stabilite, allo scopo di garantire un'agevole e corretta applicazione di tali esenzioni ed evitare, frodi, evasioni ed abusi non può mettere in discussione il carattere incondizionato dell'obbligo di esenzione previsto da tale disposizione" (sentenza cit., punti 29 - 31);
7) la pronuncia in esame, quindi, nell'avere ritenuto non rilevante - alla luce delle modifiche intervenute con la direttiva 27 ottobre 2003 n. 2003/96/CE - quanto stabilito dalla Corte di giustizia in ordine alla non compatibilità della previsione di cui all'art. 62 cit. con l'ordinamento comunitario, relativamente al periodo di vigenza delle direttive n. 1992/81/CE e n. 1992/82/CE, è in contrasto con i principi affermati da questa Corte, come sopra delineati;
8) non risulta, infine, che l'Agenzia abbia eccepito la decadenza della ricorrente dal diritto al rimborso, che, peraltro, secondo quanto accertato in sentenza, è stato correttamente esercitato entro il termine biennale di cui all'art. all'art. 14, comma 2 del T.U. Accise;
9) il ricorso va perciò accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata;
10) non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., con l'accoglimento del ricorso introduttivo e l'annullamento del provvedimento di silenzio- rifiuto impugnato; le spese dei giudizi di merito si compensano, con condanna della controricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità;
P.Q.M.
La Corte: accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo di C. s.p.a. ed annulla il provvedimento da questa impugnato; compensa le spese dei giudizi di merito e condanna l'Agenzia delle Dogane al pagamento in favore della ricorrente delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano in complessive euro 17.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento e accessori di legge. Così deciso in Roma, addì 6 febbraio 2019.
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