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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 2589 del 30 gennaio 2019
FATTI DI CAUSA
F. e c. s.n.c. e i suoi soci F1 e F2 impugnarono separatamente i distinti avvisi di accertamento notificati dall'Agenzia delle Entrate, in relazione alle maggiori imposte IRPEF, IVA e IRAP dovute per l'anno 2001. Accolte tutte le impugnazioni in primo grado, l'Agenzia delle Entrate propose separati appelli avverso tutte le sentenze di primo grado innanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, che previa riunione dei giudizi, li respinse integralmente con sentenza depositata il 18 novembre 2010. Avverso la detta sentenza, Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono con controricorso F. s.n.c., F1 e F2. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare va respinta l'eccezione sollevata dai controricorrenti di inammissibilità del ricorso avanzato da Agenzia delle Entrate, atteso che tenuto conto della sospensione feriale dei termini all'epoca vigente - dal primo agosto al quindici settembre (id est per 46 giorni) -, il termine lungo per impugnare la sentenza depositata in data 18.11.2010 scadeva il giorno 3.1.2012, esattamente nella medesima giornata in cui risulta consegnato all'ufficio postale il plico contenente l'odierno ricorso.
2. Con il primo motivo deduce la ricorrente vizio di motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., in quanto il giudice di merito non ha correttamente motivato sulle ragioni che inducevano a ritenere illegittima la ripresa a tassazione fondata sui c.d. studi di settore.
2.1. Il motivo è infondato. Com'è noto, l'accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei c.d. studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. L'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa (Cass. 20/09/2017, n. 21754; Cass. 16/05/2016, n. 10047; Cass. 06/08/2014, n. 17646; Cass. 15/05/2013, n. 11633). Nella caso in esame la commissione tributaria regionale ha ritenuto, con motivazione sufficiente che si sottrae a censure di sorta, che la ripresa a tassazione fondata sui c.d. studi di settore fosse illegittima, valorizzando la circostanza che uno dei soci - a causa dell'età avanzata - non aveva più ottenuto il rinnovo della licenza di guida per autoveicoli pesanti, mentre l'altro socio si dedicava ad altra attività commerciale; circostanze queste che concorrevano a giustificare la riduzione del fatturato subita dalla società rispetto agli esercizi precedenti.
Ancora, il ragionamento del giudice di merito si mostra logico laddove valorizza la circostanza che l'amministrazione, pure in condizione di effettuare agevolmente le verifiche del caso, non ha segnalato alcun scostamento tra le fatture emesse dalla società per i trasporti eseguiti e le risultanze dei cronotachigrafi in dotazione ad ogni automezzo.
3. Con il secondo motivo lamenta la ricorrente violazione dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, avendo la commissione tributaria regionale posto a fondamento della decisione, una eccezione formulata dalla società appellata solo in sede di gravame.
3.1. Il motivo non ha fondamento. È noto che nel giudizio tributario il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame, di cui all'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, concerne tutte le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d'invalidità dell'atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese e, cioè, alla contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario o delle censure del contribuente, che restano sempre deducibili (Cass. 29/12/2017, n. 31224, Cass. 22/09/2017, n. 22105; Cass. 31/05/2016, n. 11223). Nella vicenda all'esame è evidente come la commissione tributaria regionale, prendendo in considerazione la circostanza che il socio della contribuente fosse privo di una licenza di guida per autoveicoli pesanti, ha soltanto valorizzato una ulteriore difesa articolata dalla medesima società, tesa a dimostrare l'eccepita illegittimità della ripresa a tassazione fondata sui c.d. studi di settore.
P.Q.M.
Respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese generali al 15% ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il giorno 12 settembre 2018.
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