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Se l’Agenzia non ha contestato per tempo l’elusione (ed il costo dell’operazione) non può neanche rettificarne i riflessi (contestando l’ammortamento) negli anni successivi. La Cassazione respinge la tesi dell’Erario e conferma la decadenza. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “è legittima l'emissione di un provvedimento di accertamento anche quando lo stesso non importi la pretesa di esazione di maggiori tributi, ma non comporta affatto, come vorrebbe la ricorrente, l'affermazione che, a tutela di futuri accertamenti, sia possibile contestare sine die le elusioni, o altra forma di irregolarità, presente nella dichiarazione dei redditi. Il termine per la contestazione, infatti, è fissato dall'art. 43 (Termine per l'accertamento), del Dpr n. 600 del 1973”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 2899 del 31 gennaio 2019

Fatti di causa

la società H. a r.l. riceveva notifica, il 12.12.2008, dell'Avviso di accertamento n. 85603T100942 del 2008, mediante il quale l'Agenzia delle Entrate riprendeva a tassazione l'importo di Euro 723.040,00 in relazione all'anno 2003, e successivamente riceveva notifica, il 27.8.2009, dell'avviso di accertamento n. T9P03T100130, con il quale l'Ente impositore recuperava a tassazione il medesimo importo in relazione all'anno 2004. Gli avvisi erano emessi in conseguenza della riduzione, in sede di rettifica, della quota di ammortamento dell'avviamento, conseguendone l'incremento di Irpeg, Irap ed Ires. In particolare, l'Agenzia delle Entrate, mediante gli avvisi di accertamento, contestava alla società l'effettuazione di una operazione elusiva, preordinata ad incrementare il valore dell'avviamento. Al proposito occorre ricordare come risulti incontestato che la società odierna ricorrente aveva ricevuto, nell'anno 2000, l'assegnazione di dividendi per l'importo di Euro 7.320.400,00, da parte di società controllate. Aveva, quindi, proceduto alla fusione con le stesse società mediante incorporazione. Le modalità operative prescelte erano destinate, secondo l'Agenzia delle Entrate, ad incrementare il valore dell'avviamento, successivamente iscritto a bilancio ad imputazione del disavanzo emerso dalla fusione. In conseguenza l'Ente impositore disconosceva il valore di ammortamento oggetto di accertamento, calcolato dalla società in Euro 723.040,00 per ciascun anno, ed iscritto a bilancio nei successivi anni 2003 e 2004, La società proponeva separati ricorsi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecco che li accoglieva. Secondo la ricostruzione che si legge nella sentenza oggi impugnata, la CTP escludeva la ricorrenza di alcun intento elusivo nell'agire della società, e comunque preliminarmente rilevava che apparivano inammissibili le contestazioni proposte dall'Agenzia in relazione ad operazioni societarie effettuate ed iscritte in bilancio negli anni 2000 e 2001, perché ormai tardive. Gli avvisi di accertamento erano pertanto annullati. L'Agenzia delle Entrate impugnava le decisioni innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Milano che, riuniti i ricorsi, confermava quanto deciso dai giudici di primo grado. Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Milano ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, affidandosi ad un unico motivo di ricorso. Resiste con controricorso la H. a r.I., che ha pure depositato memoria.

Ragioni della decisione

1.1. - Con il suo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., l'impugnante Agenzia delle Entrate contesta la violazione o falsa applicazione dell'art. 43 del Dpr n. 600 del 1973, per avere la Commissione Regionale impugnata ritenuto che, in conseguenza della mancata tempestiva rettifica delle operazioni elusive poste in essere dalla controricorrente in occasione della fusione societaria, negli anni 2000 e 2001, non possano essere contestate le loro conseguenze elusive, protrattesi negli anni oggetto degli avvisi di accertamento, il 2003 ed il 2004.

2.1. - Mediante il suo motivo di impugnazione il ricorrente Ente impositore censura la decisione adottata dalla Commissione Tributaria Regionale, per non essere entrata nel merito della controversia, accertando l'elusività della condotta della società, che era incorsa anche nell'abuso del diritto, ritenendo comunque esclusa la validità di un avviso di accertamento dipendente da irregolarità che sarebbero state commesse anni prima, e non erano state fatte oggetto di rettifica nei tempi previsti dalla legge. L'Agenzia richiama a sostegno della propria tesi la statuizione della Suprema Corte secondo cui "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è facoltà dell'Ufficio finanziario contestare anche solo i criteri utilizzati dal contribuente nella redazione del bilancio, per i loro riflessi fiscali negli esercizi futuri, senza necessariamente procedere, per il periodo considerato, alla determinazione di una maggiore pretesa impositiva, e senza che ciò comporti una preclusione al recupero d'imposta per gli anni successivi", Cass. sez. V, sent. 21.5.2008, n. 12880. La controricorrente società domanda dichiararsi la inammissibilità del ricorso, innanzitutto per violazione dell'art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la ricorrente proceduto alla richiesta esposizione sommaria dei fatti di causa. In proposito occorre rilevare che la pur sintetica esposizione dei fatti di causa proposta dalla ricorrente appare comunque sufficiente a ben comprendere i fatti di causa, in particolare in relazione all'unica critica proposta dall'Ente impositore. In secondo luogo, la società controricorrente domanda dichiararsi inammissibile il ricorso per violazione del disposto di cui all'art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., per avere omesso, la ricorrente Agenzia delle Entrate, la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda. Anche a tal proposito deve osservarsi che, sia pure nella sinteticità della trattazione dedicata in Merito dal ricorso, la ricorrente contesta specifiche statuizioni contenute nella pronuncia della Commissione Tributaria Regionale, e propone una questione di puro diritto. Il ricorso appare quindi, anche in relazione a tale profilo, ammissibile. Tanto premesso, la Commissione Tributaria Regionale ha innanzi tutto riportato le valutazioni espresse in merito dalla CTP, secondo cui le quote di ammortamento contestate dall'Agenzia trovano fondamento nel valore dell'avviamento come generato in conseguenza della fusione societaria, operazione iscritta nella dichiarazione dei redditi "che è divenuta fiscalmente definitiva e, quindi, non rettificabile", dichiarando di condividerle. Quindi ha aggiunto: "Poiché l'operazione straordinaria" di fusione societaria "è stata portata a termine in anni antecedenti a quelli in questione, il Collegio giudicante ritiene che i fatti economici e societari che hanno indotto la società ad intraprendere l'operazione straordinaria di fusione non sono oggetto dell'attuale contendere. Come già ribadito, la contestazione, per le annualità in discussione verte solo sulla deducibilità o meno della quota di ammortamento dell'avviamento" (sent. CTR, p. 4). In definitiva, secondo la Commissione Tributaria Regionale le contestazioni proposte dalla Agenzia delle Entrate avverso atti societari posti in essere negli anni 2000 e 2001, e regolarmente iscritti in bilancio, non potevano essere più fatte valere nell'anno 2008, quando l'Ente impositore ha inviato gli avvisi di accertamento. A questa valutazione l'Agenzia delle Entrate contrappone la propria tesi secondo cui, pur non essendosi proceduto a (tempestiva) rettifica delle operazioni poste in essere negli anni 2000 e 2001, l'elusività degli atti societari in questione poteva ancora essere contestata per attribuire fondamento ai rilievi proposti avverso le loro conseguenze, protrattesi nei successivi anni d'imposta. Non assicura conforto a questa interpretazione, invero, la pronuncia di questa Corte invocata dalla stessa odierna ricorrente. Nella sentenza n. 12880 del 2008, infatti, si afferma che l'Ufficio finanziario può anche contestare soltanto i criteri utilizzati dal contribuente nella redazione del bilancio, in relazione ai riflessi fiscali che possono derivarne negli esercizi futuri, senza necessariamente procedere, per il periodo considerato, alla determinazione di una maggiore pretesa impositiva. Questo vuol dire che è legittima l'emissione di un provvedimento di accertamento anche quando lo stesso non importi la pretesa di esazione di maggiori tributi, ma non comporta affatto, come vorrebbe la ricorrente, l'affermazione che, a tutela di futuri accertamenti, sia possibile contestare sine die le elusioni, o altra forma di irregolarità, presente nella dichiarazione dei redditi. Il termine per la contestazione, infatti, è fissato dall'art. 43 (Termine per l'accertamento), del Dpr n. 600 del 1973, nel 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione e, in relazione a quanto riportato nelle dichiarazioni degli anni 2000 e 2001, era ampiamente scaduto quando l'Ente impositore ha notificato gli avvisi di accertamento per cui è causa, nell'anno 2008. Questa Corte ha del resto avuto recentemente occasione di precisare, proponendo un orientamento condivisibile e che si ritiene pertanto di confermare, come "in tema di accertamento, nell'ipotesi di beni ammortizzabili, il termine di decadenza per l'esercizio del potere impositivo decorre dall'annualità nella quale è stata presentata la dichiarazione in cui i costi sono stati concretamente sostenuti e la quota di ammortamento è stata iscritta in bilancio, rispetto alla quale sorgono i presupposti del diritto alla deduzione, a ciò non ostando il principio di autonomia dei periodi di imposta, che non opera in relazione a situazioni geneticamente unitarie ma destinate a ripercuotersi su annualità successive, e non potendo il contribuente, come peraltro affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 280 del 2005, essere esposto all'azione del fisco per un periodo eccessivamente dilatato" Cass. sez. V, 24.4.2018, n. 9993. Il motivo di impugnazione deve pertanto essere dichiarato infondato, ed il ricorso deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, e le liquida in complessivi Euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, Così deciso in Roma, il 29 novembre 2018

 

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