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SECONDO I GIUDICI DI SECONDO GRADO LA PROVA OFFERTA DAL CONTRIBUENTE DI DISPORRE DI RISORSE FINANZIARIE ULTERIORI È LEGITTIMA. CONFERMATA LA NULLITÀ DELL'ACCERTAMENTO.

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SECONDO I GIUDICI DI SECONDO GRADO LA PROVA OFFERTA DAL CONTRIBUENTE DI DISPORRE DI RISORSE FINANZIARIE ULTERIORI È LEGITTIMA. CONFERMATA LA NULLITÀ DELL'ACCERTAMENTO.

Estratto: “(...)resta documentato che il ricorrente, in concreto, oltre al modesto reddito agrario, ha le suddette ulteriori disponibilità finanziarie - pure queste di provenienza da attività agraria - sicuramente sufficienti a giustificare gli acquisti ed il mantenimento dei beni individuati dall'Ufficio, come correttamente evidenziato dai primi giudici”. 

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Massima: Il Collegio conferma, rigettando l'appello dell'Ufficio, l'illegittimità dell'accertamento fondato esclusivamente sui parametrici redditometrici, nel caso in cui il reddito dichiarato dal contribuente sia esclusivamente reddito agrario, disciplinato dall'articolo 32 del TUIR, determinato forfettariamente in base agli indici catastali, la cui caratteristica è di comprimere, spesso eccessivamente, il reddito effettivo. Più correttamente, il reddito accertato sinteticamente va confrontato con l'intero reddito finanziario a disposizione del contribuente. Idonea e sufficiente la prova offerta dal contribuente, in sede di contraddittorio, di disporre di risorse finanziarie ulteriori rispetto al reddito agrario, che gli consentivano di sostenere gli acquisti (di due autovetture e di un garage) contestati dall'Ufficio.

Sentenza del 24/01/2020 n. 20 - Comm. Trib. Reg. per le Marche Sezione/Collegio 3

Con ricorso depositato in data 28 dicembre 2012 l'Agenzia delle Entrate di Ancona ha proposto appello avverso la sentenza n. 180/2/12 depositata il 7 maggio 2012, con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Ancona ha accolto il ricorso proposto da C. P. avverso l'avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2007.

L'Ufficio aveva determinato sinteticamente, ai sensi dell'art. 38 DPR 600/1973, un maggior reddito di euro 113.663,00, in luogo del reddito agrario dichiarato di euro 4.123,00.

Assume l'appellante che, non avendo il contribuente comprovato la distribuzione degli utili della società agraria, erroneamente la CTP ha ritenuto che il predetto avesse dato dimostrazione di avere disponibilità finanziarie tali da giustificare gli acquisti ed il mantenimento dei beni individuati dall'Ufficio.

Pertanto ha concluso come in epigrafe.

Si è costituito il contribuente, con motivata memoria di controdeduzioni, eccependo l'illegittimità dell'accertamento, in quanto fondato esclusivamente sui parametrici redditometrici, mentre dagli estratti dei conto correnti personali, depositati in sede di accertamento con adesione, aveva documentato il passaggio di risorse finanziarie dalla società agricola. Pertanto ha concluso per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza di primo grado. Alla pubblica udienza odierna le parti hanno illustrato oralmente i motivi a sostegno delle proprie richieste, come in epigrafe trascritte ed all'esito la Commissione ha deciso la causa come di seguito esposto.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello è infondato per le ragioni che seguono.

Va premesso che la doglianza dell'appellante (di violazione, da parte dei primi giudici, dell'art 115 cod. proc. civ.) è del tutto infondata, atteso che in sentenza non si afferma affatto che gli utili della società agricola sono stati distribuiti bensì che il ricorrente aveva dato dimostrazione di ulteriori disponibilità finanziarie rispetto al solo reddito agrario, riveniente, appunto dalla partecipazione nella società agricola.

Peraltro tale è stata la tesi del ricorrente nonché la prova documentale offerta, che la CTP ha condiviso.

Ciò premesso va rilevato, per un corretto inquadramento della fattispecie in esame, che la materia del contendere è incentrata proprio sulla circostanza suddetta, cioè, sulla idoneità della prova offerta dal contribuente di disporre di risorse finanziarie ulteriori rispetto al reddito agrario, che gli consentivano di sostenere gli acquisti (di due autovetture e di un garage) contestati dall'Ufficio.

Va premesso, attese le rinnovate eccezioni della difesa di parte appellata circa la legittimità dell'accertamento ex art. 38 DPR 600/73, che la Corte di Cassazione ha affermato che l'Amministrazione delle finanze può legittimamente procedere, ai sensi dell'delD.P.R.n.600/73,alla rettifica, con metodo sintetico,della dichiarazione dei redditi di un coltivatore diretto - comprensiva soltanto del reddito agrario e dominicale, determinati in base agli estimi catastali del fondo da lui condotto – quando da elementi estranei alla configurazione reddituale prospettata si possa fondatamente presumere che ulteriori redditi concorrano a formare l'imponibile complessivo; resta, però, salva la facoltà del contribuente di dimostrare che il reddito accertato, maggiore del reddito fondiario dichiarato, deriva dallo sfruttamento del fondo e non è, pertanto, soggetto ad ulteriore imposizione (ex multis Cass. Sez. Trib. sentenze nn.6962/2006, 14948/2006, 7005/2003, 12192/2002). 

Fatte tali premesse in diritto osserva la Commissione, in fatto, che la particolarità della fattispecie in esame risiede nella circostanza che quello dichiarato dal C. è esclusivamente reddito agrario, disciplinato dall'articolo 32 del TUIR, determinato forfettariamente in base agli indici catastali, la cui caratteristica è di comprimere, spesso eccessivamente, il reddito effettivo del contribuente; pertanto, più correttamente, il reddito accertato sinteticamente va confrontato con l'intero reddito finanziario a disposizione del medesimo. 

Di tale disomogeneità si è resa conto la stessa Agenzia delle Entrate, che nella circolare n. 25/E del 19 giugno 2012, proprio in tema di adeguamento ex art. 38, comma 4 del D.P.R. n. 600/1973, ha precisato che se l'unica fonte reddituale di un soggetto è data dal reddito d'impresa tale reddito va adeguato, nel corso del contraddittorio, alla reale capacità di spesa del soggetto, con riferimento al reddito reale finanziario disponibile, che in molti casi può divergere dal reddito dichiarato ai fini fiscali… (così a pag. 29). Analogamente, nella circolare n. 49/E del 9 agosto 2007 gli Uffici sono invitati a valutare attentamente la posizione delle persone fisiche che, nei periodi d'imposta d'interesse, hanno dichiarato di svolgere attività agricole; in particolare, se il soggetto ha dichiarato redditi agrari, tassati non in base al reddito effettivo prodotto bensì in base alla rendita catastale, il volume di affari IVA eventualmente dichiarato può rappresentare un termine di valutazione del potenziale reddito ricavabile dall'attività ai fini della proficuità dell'azione accertatrice e, di conseguenza, della selezione (così a pag. 4). 

Orbene osserva al riguardo la Commissione che il C., sia in sede amministrativa che contenziosa, ha documentato di disporre degli utili rivenienti dalla società (semplice) agricola "S di S. & C.", di cui egli e la moglie possiedono il 100% del capitale (50% ciascuno), come documentato dai bilanci sociali e dagli estratti del conto corrente personale intestato ai medesimi, nel quale sono confluiti parte degli utili prodotti dalla società (legg. allegati da 1 a 7 al ricorso di primo grado).

 In particolare dalle movimentazioni in accredito (bonifici ed assegni) sui conto correnti intestati a C. P. e S. D. (in essere presso Banca Marche e Banca Popolare Adriatica) emerge, in modo incontrovertibile, che l'utile prodotto dalla società - di cui, ripetesi, i predetti sono gli unici soci - è stato utilizzato dai medesimi per sostenere spese personali (utenze, spese correnti, spese personale e rate leasing); ciò significa che detti utili sociali sono nella piena disponibilità della famiglia fiscale del ricorrente, che ne ha disposto all'occorrenza, ben a prescindere dalla formale distribuzione di essi ai soci, come, invece, preteso dall'Ufficio. Infatti nell'anno 2004 risultano confluiti dalla società agricola nei conto-correnti personali, euro 250.000,00 tra bonifici ed assegni, euro 40.500 nell'anno 2005, euro 145.000,00 nell'anno 2006, euro 87.100,00 nell'anno 2007 ed euro 35.328,00 nell'anno 2008 (v. all. 10). 

L'Ufficio ha disconosciuto tali importi (pag. 2 e segg. del verbale di contraddittorio del 12/4/2011) in quanto le somme riversate dalla società avrebbero compensato talune uscite;

ma osserva la Commissione che, comunque, resta documentato che il ricorrente, in concreto, oltre al modesto reddito agrario, ha le suddette ulteriori disponibilità finanziarie - pure queste di provenienza da attività agraria - sicuramente sufficienti a giustificare gli acquisti ed il mantenimento dei beni individuati dall'Ufficio, come correttamente evidenziato dai primi giudici. 

Aggiungasi che dalle dichiarazioni IVA prodotti in atti emerge che la società semplice "S di S. & C.", operante nel settore vitivinicolo, ha dichiarato, negli anni dal 2005 al 2007, fatturati ed utili notevoli, come espressamente indicato nella sentenza impugnata. 

Ed in realtà l'Ufficio, nell'ottica di verificare la complessiva disponibilità finanziaria dichiarata dal ricorrente, ha preso in esame i suddetti volumi d'affari, ma riducendo il valore del reddito agrario tassato convenzionalmente, a causa dei vari costi sostenuti, omettendo, però, di considerare che per effetto degli ammortamenti la società contribuente, di fatto, è venuta a beneficiare di una maggiore liquidità.

Infine va rammentato che, ai sensi dell'art. 2249 cod. civ. le società semplici non producono reddito d'impresa, che viene imputato direttamente ai soci, sicchè il rilievo dell'Ufficio di non documentata distribuzione degli utili dalla società ai soci appare inconferente e pretestuoso, atteso il contesto probatorio offerto dal contribuente.

In conclusione, come premesso, l'appello dell'Ufficio è infondato e la sentenza appellata merita di essere confermata, avendo correttamente affermato, sulla base delle documentate risultanze processuali, che il contribuente aveva disponibilità finanziarie sufficienti a giustificare gli acquisti ed il mantenimento dei beni individuati dall'Ufficio.

La soccombenza dell'appellante ne comporta, ai sensi dell'art. 91 cod.proc.civ., la condanna alla rifusione delle spese processuali di questo grado di giudizio, non del primo, come richiesto da parte appellata, in difetto di appello in punto di compensazione delle stesse; dette spese sono liquidate come in parte dispositiva.

                                                      P. Q. M.

la Commissione rigetta l'appello dell'Ufficio, che condanna alla rifusione delle spese, liquidate in Euro 2.400,00, oltre oneri accessori, come per legge.

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