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L'AGENZIA DELLE ENTRATE AVEVA ERRONEAMENTE NEGATO IL RIMBORSO DELL'IRPEF SUGLI EMOLUMENTI DEI DIRIGENTI DELLA RICORRENTE: IL CRITERIO INTERPRETATIVO APPLICATO DALL'UFFICIO NON SI ESTENDE ALLE HOLDING INDUSTRIALI. I GIUDICI HANNO CONFERMATO LA SE

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L'AGENZIA DELLE ENTRATE AVEVA ERRONEAMENTE NEGATO  IL RIMBORSO DELL'IRPEF SUGLI EMOLUMENTI DEI DIRIGENTI DELLA  RICORRENTE:  IL CRITERIO INTERPRETATIVO APPLICATO DALL'UFFICIO NON SI ESTENDE  ALLE HOLDING  INDUSTRIALI. I GIUDICI HANNO CONFERMATO LA SENTENZA DI PRIMO GRADO.

Estratti: “Ad avviso della CTR, la tesi dell'Ufficio non può condividersi in quanto, muovendo da un quadro normativo, relativo ad un differente ramo dell'ordinamento -che disciplina le attività finanziarie-, assume che nell'ambito del settore finanziario vadano ricomprese le holding industriali. La mancata tassazione delle holding industriali non può, quindi, essere considerata una lacuna della legge e non autorizza l'interprete ad aggiungere alle fattispecie previste casi di imponibilità non previsti.

Conclusivamente va, pertanto, respinto il criterio interpretativo proposto dall'Ufficio, in quanto l'estensione di tale disposizione alle società holding industriali deve ritenersi del tutto contraria alle finalità della norma”.

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Sentenza del 14/10/2019 n. 3949 - Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 18

Testo:

Con ricorso depositato in data 11 gennaio 2017, L. G. S.p.A. ha impugnato il diniego di rimborso dell'imposta addizionale IRPEF sugli emolumenti dei dirigenti, prevista dall'art. 33 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, relativa al periodo di imposta 2011, emesso in data 21 ottobre 2016.

Dopo aver messo in luce che l'art. 33 del d.l. n. 78 del 2010 aveva previsto l'assoggettamento delle forme di retribuzione variabile degli amministratori di società ad un'addizionale IRPEF pari al 10%, al ricorrere di specifiche condizioni, la ricorrente ha asserito che in relazione all'esercizio 2011 aveva trattenuto e versato l'importo di euro 149.040,60 riferito alla retribuzione del proprio amministratore R. C.. Peraltro, a seguito di successiva verifica, ritenendo che le somme non fossero dovute, la L. G. s.p.a. ha chiesto il rimborso di quanto versato e, a fronte del provvedimento di rigetto, ha proposto ricorso deducendo l'errata individuazione del presupposto dell'imposizione addizionale IRPEF sugli elementi variabili, poiché la stessa avrebbe dovuto applicarsi solo ai soggetti operanti nel settore finanziario e non a quelli che svolgono la loro attività nelle holding industriali, quale doveva essere considerata la ricorrente.

Ha concluso, chiedendo che venisse dichiarato illegittimo l'atto impugnato, con conseguente condanna dell'Agenzia delle Entrate al rimborso dell'importo di euro 149.040,60, oltre ad interessi.

Con memoria depositata in data 7 febbraio 2017 si costituiva l'Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale della Lombardia contestando l'interpretazione delle condizioni di applicazione dell'art. 33 del d.l. n. 78 del 2010 effettuata dalla ricorrente e ribadendo che nel settore finanziario dovevano essere comprese anche le società che avessero fra le loro attività quelle di assunzione di partecipazione, vale a dire le società holding.

La CTP di Milano accoglieva il ricorso e disponeva il rimborso dell'importo richiesto.

Rilevavano i primi giudici come l'ufficio avesse opposto il diniego di rimborso dell'imposta addizionale IRPEF sugli emolumenti dei dirigenti della società ricorrente, prevista dall'art. 33 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, relativa al periodo di imposta 2011, emesso in data 21 ottobre 2016. La richiesta di rimborso era fondata sulla ritenuta inapplicabilità della norma alle holding industriali, quale era da considerare la ricorrente.

Rilevavano ancora che l'art. 33 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, prevedeva che "1. In dipendenza delle decisioni assunte in sede di G20 e in considerazione degli effetti economici potenzialmente distorsivi propri delle forme di remunerazione operate sotto forma di bonus e stock options, sui compensi a questo titolo, che eccedono il triplo della parte fissa della retribuzione, attribuiti ai dipendenti che rivestono la qualifica di dirigenti nel settore finanziario nonché ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nello stesso settore è applicata una aliquota addizionale del 10 per cento. 2. L'addizionale è trattenuta dal sostituto d'imposta al momento di erogazione dei suddetti emolumenti e, per l'accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso, è disciplinata dalle ordinarie disposizioni in materia di imposte sul reddito. 2-bis. Per i compensi di cui al comma 1, le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano sull'ammontare che eccede l'importo corrispondente alla parte fissa della retribuzione".

La disposizione era stata dettata, in relazione ad accordi internazionali, per omogeneizzare il trattamento fiscale delle retribuzioni e dei compensi nell'ambito del settore finanziario. Trattandosi di norma di deroga al regime ordinario l'applicazione doveva essere riferita al solo settore che il legislatore aveva inteso disciplinare in modo speciale.

Al fine di fornire criteri applicativi omogenei, l'Agenzia delle Entrate aveva emanato una circolare con la quale aveva asserito che nel settore finanziario rientravano le banche, gli intermediari finanziari e le società la cui attività consistesse in via principale o esclusiva nell'assunzione di partecipazioni in base alla previsione dell'art. 59, co. 1, lett. b del D. Lgs. n. 385 del 1993 (Circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011).

Sempre secondo la CTP la Circolare dell'Amministrazione finanziaria era elemento utile ai fini dell'interpretazione delle norme e, sicuramente, vincolante per gli uffici finanziari, anche per evitare difformità comportamentali. Tuttavia non poteva considerarsi fonte del diritto e non era idonea a vincolare il giudice, trattandosi di atto privo di valenza normativa.

Nel caso di specie, l'interpretazione della norma fornita dalla Circolare non era condivisibile poiché ampliava in modo indebito la nozione di settore finanziario, come, peraltro, era stato sottolineato dalla Corte costituzionale che aveva ritenuto la norma non in contrasto con la Costituzione poiché la "ragione che ha indotto il legislatore a prevedere il prelievo addizionale di cui alla disposizione censurata, ossia l'intento - coerente con il coevo atteggiamento manifestatosi a livello internazionale - di scoraggiare modalità remunerative variabili considerate pericolose per la stabilita finanziaria" (Corte Cost. 16 luglio 2014, n. 201). Il riferimento al mercato finanziario e la finalità della norma escludevano, pertanto, che l'obbligo fosse applicabile a soggetti diversi da quelli individuati dalla disposizione e, in particolare per quanto di interesse in questa sede, ai dipendenti ed amministratori delle holding che operano nel settore industriale.

Fondata era quindi la richiesta di rimborso di L. G. S.p.A. per l'importo di euro 149.040,00.

La sentenza veniva impugnata dall'Agenzia delle entrate che con un unico motivo censurava la decisione per non aver ricompreso nell'ambito del settore finanziario anche le holding industriali, quale è la società L. G. spa.

In particolare, secondo l'Ufficio appellante, che richiamava la Circolare n. 4/E del 15 febbraio 2011, in mancanza di una espressa definizione di "settore finanziario", il citato art. 33 DL. 78/2010 andava interpretato facendo "necessariamente riferimento alle norme in vigore al momento in cui l'addizionale .. è stata introdotta" (cioè 31 maggio 2010), con l'effetto che dovevano ritenersi assoggettate all'addizionale Irpef del 10% anche le holding industriali:

-in base al D.lgs. 87/1992 (Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE, relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari) che, all'art. 1, vigente alla data del 30 maggio 2010, dispone "Ai fini del presente decreto, l'attività di assunzione di partecipazioni al fine di successivi smobilizzi è in ogni caso considerata attività finanziaria";

- in quanto da ricomprendere tra i soggetti elencati nel citato art. 1 D.lgs. 87/1992, nella versione vigente al 31 maggio 2010 (vedi pag. 4 atto di appello);

- in forza del richiamo al "settore finanziario" dell'art. 155 D.lgs 385/1993 (Testo Unico Bancario), vigente al 31 maggio 2010, che, nell'individuare "i soggetti operanti nel settore finanziario citati al comma 1 le attività previste dall'art. 106, comma 1 ... laddove si parla di esercizio nei confronti del pubblico delle attività di assunzione di partecipazioni; al comma 4 i confidi".

Con la conseguenza che l'inclusione, tra i soggetti operanti nel settore finanziario, dei confidi ("che operano in via prevalente nei confronti delle imprese consorziate socie") escludeva che "la norma consideri l'esercizio nei confronti del pubblico quale requisito essenziale per l'inclusione ..... nel novero ...... del settore finanziario" dovevano comprendere anche le holding industriali (vedi pag. 4- 5 atto di appello).

Dovevano, poi, ritenersi ininfluenti e "non possono essere considerate utili ai fini interpretativi" "le modifiche apportate al Testo Unico Bancario dal D.Lgs. n. 141 del 13/08/2010, in quanto successive all'introduzione dell'art. 33 del D.L. n. 78/2010(vedi pag. 5 atto di appello).

Ad avviso della CTR, la tesi dell'Ufficio non può condividersi in quanto, muovendo da un quadro normativo, relativo ad un differente ramo dell'ordinamento -che disciplina le attività finanziarie-, assume che nell'ambito del settore finanziario vadano ricomprese le holding industriali.

Sul punto vanno fatte alcune osservazioni. Già prima dell'abrogazione del Dlgs. 87/1992, ad opera del Dlgs. 136/2015, il legislatore aveva ridimensionato l'area dei soggetti finanziari tenuti all'iscrizione nell'elenco di cui all'art. 113 D.lgs. 383/1993 (Testo Unico Bancario - T.U.B.). In particolare il DM 29/2009, art. 12aveva eliminato l'obbligo di iscrizione nell'apposita sezione del su detto elenco per quei soggetti esercenti attività di assunzione di partecipazioni non svolta congiuntamente ad altra attività finanziaria nei confronti delle partecipate ed aveva precisato che i finanziamenti esercitati nei confronti del gruppo non configuravano attività nei confronti del pubblico.

Nello stesso senso, il successivo Dlgs. 141/2010, ha definitivamente abrogato l'art. 113 e modificato l'art. 106 del D.lgs. 385/1993 (T.U.B.), così da riservare l'attività finanziaria agli intermediari autorizzati ed escludere dall'ambito delle attività finanziarie tutte le attività di concessione di finanziamento non svolte nei confronti del pubblico.

Con l'emanazione del regolamento del Ministero dell'Economia e delle Finanze n. 53/2015, che ha sostituto il DM 29/2009, è stato chiarito che l'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività finanziaria sussiste quando tale attività sia svolta nei confronti di terzi con carattere di professionalità (art. 3 c. 1), ma che va esclusa l'attività svolta esclusivamente nei confronti del gruppo di appartenenza. Infine, il Dlgs. 87/1992 (Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE, relativa ai conti annuali ed ai conti consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari) è stato abrogato dal D.lgs. 136/2015 che, in attuazione della Direttiva 2013/34/UE, ha riformulato la disciplina dei bilanci delle imprese creditizie e finanziarie, in modo che fosse coerente con i principi informatori del D.lgs. 141/2010.

Dalla descritta evoluzione normativa è possibile distinguere le seguenti categorie di soggetti del "settore finanziario":

-soggetti autorizzati a erogare finanziamenti nei confronti del pubblico iscritti nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. e sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, le società capogruppo di gruppi bancari di cui all'art. 59 c. 1 lett. b), b-bis) del T.U.B., che redigono il bilancio secondo i principi IAS/IFRS (Principi contabili internazionali);

-i confidi di cui all'art. 113 del T.U.B. e gli operatori del micro credito di cui all'art. 111 T.U.B., sottoposti al controllo di organismi di categoria e vigilanza della Banca d'Italia, che redigono il bilancio secondo la disciplina del D.lgs. 136/2015;

-gli altri soggetti, quali le holding di partecipazione finanziaria, gli intermediari finanziari che non operano nei confronti del pubblico, altri operatori finanziari (ad esempio le merchant bank) che non sono iscritti in nessun albo o elenco e non sono sottoposti ad alcuna forma di controllo, che redigono il bilancio in base alle ordinarie disposizioni di cui al D.lgs. 127/1991. Pertanto, la specifica disciplina circoscrive il "settore finanziario" agli "operatori" finanziari, restandone estranee le holding industriali (e le società che concedono finanziamenti esclusivamente nell'ambito del gruppo di appartenenza).

Il rigetto dell'appello impone ulteriori riflessioni sul percorso interpretativo seguito dall'Agenzia delle Entrate, in quanto si ritiene che l'interpretazione offerta dall'appellante risulti contraria ai canoni ermeneutici offerti dall'ordinamento per l'interpretazione delle leggi, anche tributarie.

Se l'art. 33 DL. 78/2018, quale norma impositiva, dispone una tassazione aggiuntiva per i soggetti che "rivestono la qualifica di dirigenti nel settore finanziario", tale disposizione non può essere integrata ricorrendo ad interpretazioni estensive che prendono a prestito definizioni presenti in altri rami dell'ordinamento, quale quella di settore finanziario, propria degli istituti di credito e degli intermediari finanziari, richiamata nell'atto di appello. Definizione, tra l'altro, chiara nel limitare l'ambito di· applicazione del "settore finanziario" alle imprese creditizie e finanziarie o, comunque, agli "operatori" soggetti a controllo e vigilanza della Banca d'Italia.

E ciò per ragioni attinenti la ratio della norma, il sistema internazionale e dell'Unione Europea e gli accordi e le convenzioni internazionali di riferimento.

Dal punto di vista sistematico, considerato che il legislatore, nella fattispecie, ha elevato a presupposto del tributo una misura di contrasto all'adozione di sistemi retributivi, con l'intento "di scoraggiare modalità remunerative variabili considerate pericolose per la stabilità finanziaria" (cfr. Corte Costituzionale 16 luglio 2014, n. 201), l'interpretazione dell'Ufficio appellante non risulta condivisibile in quanto finisce con estendere un determinato regime fiscale, destinato a soggetti che operano nel "settore finanziario'', a soggetti che sono del tutto estranei all'ambito finanziario, violando la stessa ratio dell'art. 33 DL 78/2010.

Sul punto, la Consulta, chiamata a decidere se fosse irragionevole e discriminatoria la limitazione del prelievo al solo "settore finanziario", ha spiegato che intento del legislatore era quello "di scoraggiare modalità remunerative variabili considerate pericolose per la stabilità finanziaria", precisando che la mancata estensione ad altri settori è giustificata in quanto un "rischio di questo genere non ricorre per l'attività di altri contribuenti che vengono retribuiti in modo analogo ma non hanno la stessa possibilità di incidere, con il loro operato, sulla stabilità dei mercati finanziari" (cfr. Corte Costituzionale n. 201 cit.)

Sotto altro profilo, ad avviso di questa CTR, la norma nazionale deve essere inquadrata anche nell'ambito del sistema internazionale e dell'Unione Europea e deve essere interpretata in modo da risultare conforme agli accordi e alle convenzioni internazionali.

In particolare, va rilevato che l'addizionale su bonus stock option, attribuiti ai dirigenti delle società operanti nel settore finanziario, come risulta anche dalla Relazione illustrativa al DL. 78/2010 (pag. 42), è stata introdotta "In considerazione degli effetti distorsivi prodotti sul sistema finanziario sull'economia mondiale dal riconoscimento di bonus stock options collegati agli andamenti del mercato ai manager e agli amministratori di banche ed istituti finanziari, evidenziati nel corso delle riunioni del G20" e che, anche il richiamo alla Direttiva 26 giugno 2013, n. 2013/36/UE operato dalla citata sentenza della Corte Costituzionale che ricorda come l'art. 33 DL. 78/2010, si inserisce in un contesto in cui anche le istituzioni comunitarie intendevano disincentivare politiche remunerative che incoraggiavano l'assunzione di rischi eccessivi, in quanto suscettibili di compromettere una sana ed efficace gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento.

La mancata tassazione delle holding industriali non può, quindi, essere considerata una lacuna della legge e non autorizza l'interprete ad aggiungere alle fattispecie previste casi di imponibilità non previsti.

Conclusivamente va, pertanto, respinto il criterio interpretativo proposto dall'Ufficio, in quanto l'estensione di tale disposizione alle società holding industriali deve ritenersi del tutto contraria alle finalità della norma.

La particolarità delle questioni giuridiche esaminate giustifica la compensazione delle spese anche in grado di appello.

                                                              P.Q.M.

La Commissione conferma la sentenza di primo grado. Compensa le spese.

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