Estratto: “sia la società che i soci, in relazione agli avvisi di accertamento per IRAP e IVA per gli anni d'imposta 2006 e 2007, avevano invocato la necessità di considerare i costi sostenuti per la determinazione dei ricavi accertati, contrariamente a quanto operato dall'Agenzia delle Entrate, proponendo uno specifico motivo d'appello, ossia il sesto. In proposito, non v'è dubbio che la C.T.R. non abbia preso in minima considerazione il predetto motivo d'appello, essendosi invece soffermata sull'accertamento dell'inesistenza oggettiva delle contestate operazioni e sul mancato relativo assolvimento dell'onere della prova da parte dei ricorrenti circa l'effettività delle stesse, evidenziando anche che la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per gli anni in discorso aveva legittimato il ricorso alla determinazione induttiva dei redditi da parte dell'Agenzia delle Entrate, anche mediante ricorso alle presunzioni cc.dd. Supersemplici”.
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Civile, Sez. 5, ordinanza Num. 7077 del 12 marzo 2020.
FATTI DI CAUSA
A seguito di un p.v.c. emesso dalla G.d.F. di Bitonto in data 3.8.2007, l'Ufficio delle Dogane di Bari, con atto del 14.5.2012, notificò avviso di pagamento a V.S.B. s.n.c., di B.D. & C. (di seguito anche solo Vini San Barbato), nonché a tale M.A. (a quest'ultimo in forza di un p.v.c. del 3.2.2012), invitandoli a pagare, in solido, l'importo di euro 667.546,35, per irregolarità nella fornitura di gasolio agricolo in favore dello stesso A. (per conto di una società di cui era amministratore, A. F. s.a.s., frattanto fallita), tuttavia per uso soggetto ad imposta.
V.S.B. impugnò detto avviso con ricorso dinanzi alla C.T.P. di Bari, iscritto al N. 3375/2012 R.G.
In data 21.8.2012, poi, l'Agenzia delle Entrate notificò alla società, e ai soci D.B. e C.L., due avvisi di accertamento, inerenti agli anni 2006 e 2007 e fondati sul medesimo p.v.c. del 3.8.2007, con cui vennero recuperati a tassazione maggiori imposte ai fini IRAP e IVA.
Entrambi gli avvisi vennero impugnati dalla società e dai soci, dinanzi alla stessa C.T.P., con due autonomi ricorsi, iscritti ai NN. 760/2013 e 761/2013 R.G. L'adita C.T.P., previa riunione di tutti i predetti ricorsi, li rigettò con sentenza n. 150/12/13.
La C.T.R. della Puglia respinse l'appello proposto dai soccombenti con sentenza del 14.11.2014.
Osservò il giudice d'appello, quanto agli avvisi di accertamento, che - a fronte dei molteplici elementi indiziari forniti dall'Ufficio - gli appellanti non avevano assolto l'onere di dimostrare l'effettività delle operazioni, che accertava essere oggettivamente inesistenti; quanto all'eccepito difetto di delega di funzioni e di firma dell'avviso di liquidazione, aggiunse che può discutersi, in astratto, di nullità dell'atto impositivo solo quando il sottoscrittore non appartenga all'Ufficio o abbia usurpato i relativi poteri, del che nella specie non v'era prova.
V.S.B. s.n.c., di B. D. & C., nonché i soci D.B. e C.L. in proprio, propongono ora ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi, illustrati da memoria, cui resistono con unico controricorso l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e l'Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 — Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 21-septies e 21-nonies della legge n. 241/1990, "delle regole in tema di conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di un'amministrazione pubblica, nonché delle regole e dei principi in materia di potere di firma dei funzionari dell'Agenzia delle Dogane e di attribuzione di deleghe e funzioni ai funzionari dell'Agenzia delle Dogane, nonché violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione" in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La società ricorrente evidenzia che, in seno all'atto introduttivo del giudizio (N. 3375/2012 R.G.), essa aveva eccepito la nullità dell'avviso di pagamento emesso dall'Agenzia delle Dogane, perché a firma di un funzionario di terza area (tale L.P.) e non del direttore dell'Ufficio, peraltro in mancanza di delega.
A seguito di tale eccezione, e prima di costituirsi in giudizio, con atto del 29.11.2012 l'Agenzia delle Dogane aveva emesso, ai sensi dell'art. 21 -novies legge n. 241/1990, un atto di convalida del detto avviso, confermandone pienamente la sua efficacia ex tunc.
Disattesa dal primo giudice, dunque, l'eccezione, la C.T.R. ha respinto il gravame proposto sul punto dalla stessa società, evidenziando che, ai sensi dell'art. 42 d.P.R. n. 600/1973, l'avviso di accertamento è nullo se non reca la firma del capo dell'ufficio o di funzionario da lui delegato e che comunque la provenienza di un atto dall'Agenzia e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono finché non venga provata la non appartenenza del firmatario alla stessa Agenzia, ovvero che egli abbia usurpato i relativi poteri. La ricorrente assume l'illegittimità di tale decisione, perché non rispettosa, anzitutto, delle norme dettate per il conferimento degli incarichi dirigenziali e delle modalità con cui colmare, all'occorrenza, le vacanze dei dirigenti; in secondo luogo, perché l'atto, in quanto privo di un elemento essenziale, per essere stato emesso e sottoscritto da chi non ne aveva il potere (come implicitamente riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Dogane, nel momento in cui ha emesso l'atto di convalida) è nullo e non meramente annullabile, sicché esso non poteva essere convalidato.
1.2 - Con il secondo motivo, si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La società ricorrente evidenzia che la C.T.R. ha considerato circostanza non contestata quella inerente alla usurpazione di potere da parte del funzionario sottoscrittore. In realtà, si assume, la questione del difetto o eccesso di potere del funzionario stesso era stata oggetto di discussione, e neanche contestata dall'Agenzia delle Dogane, sicché essa non è stata neanche esaminata.
1.3 - Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2 del d.lgs. n. 504/1995 (TUA), in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Sempre in relazione all'avviso di liquidazione, osserva la società che la C.T.R. ha ritenuto le operazioni di fornitura del gasolio agricolo in favore di A.F. s.a.s. come oggettivamente inesistenti.
Ne consegue che, poiché l'esigibilità dell'accisa sorge all'atto dell'immissione in consumo del prodotto, l'imposta non può considerarsi dovuta - contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d'appello - ove l'immissione stessa non sia mai avvenuta.
1.4 - Con il quarto motivo, si lamenta la nullità della sentenza, per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.
In relazione agli avvisi di accertamento IVA, i ricorrenti rilevano di averne eccepito l'illegittimità, nella parte in cui non si era tenuto conto dei costi finalizzati alla determinazione dei ricavi.
Sul punto, la C.T.R. non ha statuito alcunché.
1.5 - Con il quinto motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 41 del d.P.R. n. 600/1973 e 55 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Sempre in relazione alla questione dei costi e delle modalità con cui procedere all'accertamento induttivo, i ricorrenti evidenziano che la C.T.R. non ha comunque esaminato la documentazione offerta, che avrebbe certamente consentito di determinare i ricavi, al netto dei costi effettivamente sostenuti.
1.6 - Con il sesto motivo, infine, proposto in subordine, si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
I ricorrenti ripropongono la medesima questione dei costi anche sotto il profilo della mancata loro considerazione, ai fini della decisione.
2.1 - Il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Infatti, va rilevato che - circa l'avviso di pagamento per le contestate violazioni sulle accise - la questione agitata sin dal ricorso introduttivo è quella della carenza del potere di firma in capo al funzionario L.P. , in assenza di delega, così richiamandosi in via analogica il disposto dell'art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, in tema di imposte dirette, nonché dell'art. 57 d. P.R. n. 633/1972 in tema di IVA.
Al riguardo, pendente il giudizio, l'Agenzia delle Dogane ritenne di emettere un atto di convalida, ai sensi dell'art. 21-novies della legge n. 241/1990, onde sanare comunque il denunciato vizio, peraltro avvertendo la contribuente della possibilità di proporre ricorso per motivi aggiunti, ai sensi dell'art. 24 d.lgs. n. 546/1992.
La società contestò la legittimità di tale atto solo con la memoria illustrativa depositata per l'udienza del 10.7.2013, senza proporre ricorso per motivi aggiunti. Le medesime questioni vennero riproposte con l'atto d'appello (v. sentenza impugnata, p. 5).
Così stando le cose, risulta anzitutto che le questioni concernenti gli incarichi dirigenziali e la reggenza (con le connesse valutazioni sulla temporaneità e la straordinarietà della stessa) sono da considerare inammissibili per novità, perché mai prima sollevate, neanche in appello.
E' noto, infatti, che nel giudizio di cassazione "i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel 'thema decidendum' del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio" (ex plurimis, Cass. n. 20694/2018).
Del pari, sono inammissibili le questioni attinenti a pretesi vizi dell'atto di convalida del 29.11.2012, perché non tempestivamente impugnato ai sensi dell'art. 24 d.lgs. n. 546/1992.
Infatti, non risultando essersi formato alcun giudicato interno sulla pretesa violazione dell'art. 21-novies legge n. 241/1990 (la C.T.P., infatti, s'è limitata a prendere atto dell'intervenuta convalida - v. ricorso, p. 17 -, mentre la C.T.R. non ha minimamente affrontato l'argomento), non può che rilevarsi d'ufficio l'inammissibilità delle relative censure, anche qui per novità, irrilevante essendo l'eventuale accettazione del contraddittorio da parte dell'Amministrazione (v. Cass. n. 16803/2017; Cass. n. 12442/2011).
Tanto basterebbe, a ben vedere, per esaurire la disamina del motivo in discorso. Esso, però, è comunque infondato, nella parte in cui si censura la decisione per non aver fatto discendere dalla mancanza della delega la nullità dell'avviso di pagamento, benché la motivazione della sentenza impugnata necessiti di essere corretta e/o integrata, sul punto, ai sensi dell'art. 384, comma 3, c.p.c.
Infatti, è consolidato l'orientamento secondo cui l'art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, nonché l'art. 57 d.P.R. n. 633/1972, sono norme di stretta interpretazione (v. Cass. n. 14942/2013), sicché la nullità dell'accertamento ivi contemplata non può sussistere - nel caso in cui l'atto impositivo non sia firmato dal capo dell'ufficio, ovvero da un funzionario all'uopo delegato - qualora non si verta in tema di II.DD. o di IVA.
Ha dunque errato, la C.T.R., nel disquisire sulla portata del citato art. 42 (peraltro riferendosi genericamente agli atti di accertamento e non già al solo avviso di pagamento emesso dall'Agenzia delle Dogane, oggetto della censura), anziché ragionare sulla norma concernente i poteri di accertamento dell'Ufficio in subiecta materia, ossia sull'art. 14 TUA, che nulla prevede in proposito.
Pertanto - anche al di là di quanto sostenuto dalla società col secondo motivo (su cui v. infra) - non potendo considerarsi che la contestazione sulla assenza della delega di firma equivalga a sostenere l'usurpazione del potere da parte del funzionario firmatario dell'atto, senza contestualmente almeno allegare che lo stesso non appartiene ai ranghi dell'Agenzia delle Dogane (allegazione mai avvenuta, da quanto risulta), ne deriva che nella specie ben può applicarsi il principio, dettato per l'Agenzia delle Entrate, ma senz'altro estensibile alla stessa Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, secondo cui "La provenienza di un atto ... dall'Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono finché non venga provata la non appartenenza del sottoscrittore all'Ufficio o, comunque, l'usurpazione dei relativi poteri" (Cass. n. 220/2014).
E' evidente che la mancata allegazione del fatto costitutivo da parte della società, nei termini prima riportati, non consente la relativa formazione della prova mediante il principio di non contestazione, ex art. 115 c.p.c.
3.1 - Il secondo motivo è infondato. Come già detto, la società non ha mai invocato l'usurpazione del potere da parte del funzionario, ma solo l'eccesso di potere, e ciò non già in senso
amministrativistico, bensì per sottolineare che, in tesi, egli aveva formato un atto non rientrante nella sua sfera di attribuzioni.
Correttamente, dunque, la C.T.R. (fatto salvo l'erroneo riferimento agli avvisi di accertamento tout court, come poc'anzi evidenziato) ha ritenuto che sulla appartenenza del funzionario in parola all'Ufficio e sulla conseguente mancanza di usurpazione stessa dei relativi poteri non vi fosse contestazione alcuna da parte della società.
4.1 - Il terzo motivo è inammissibile. Anche in tal caso, infatti, come correttamente eccepito dall'Agenzia delle Dogane, non risulta che la questione della pretesa violazione dell'art. 2 TUA sia stata mai sollevata nel corso del giudizio di merito.
5.1 - Il quarto motivo è invece fondato.
In effetti, sia la società che i soci, in relazione agli avvisi di accertamento per IRAP e IVA per gli anni d'imposta 2006 e 2007, avevano invocato la necessità di considerare i costi sostenuti per la determinazione dei ricavi accertati, contrariamente a quanto operato dall'Agenzia delle Entrate, proponendo uno specifico motivo d'appello, ossia il sesto. In proposito, non v'è dubbio che la C.T.R. non abbia preso in minima considerazione il predetto motivo d'appello, essendosi invece soffermata sull'accertamento dell'inesistenza oggettiva delle contestate operazioni e sul mancato relativo assolvimento dell'onere della prova da parte dei ricorrenti circa l'effettività delle stesse, evidenziando anche che la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi per gli anni in discorso aveva legittimato il ricorso alla determinazione induttiva dei redditi da parte dell'Agenzia delle Entrate, anche mediante ricorso alle presunzioni cc.dd. supersemplici.
La sentenza impugnata è dunque nulla in parte qua, per violazione dell'art. 112 c.p.c.
6.1 - Il quinto e sesto motivo restano conseguentemente assorbiti.
7.1 - In definitiva, è accolto il quarto motivo, assorbiti il quinto e sesto, rigettati i restanti.
La sentenza impugnata è quindi cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, che esaminerà il motivo d'appello pretermesso e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quarto motivo, dichiara assorbiti il quinto e il sesto e rigetta nel resto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia alla C.T.R. della Puglia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 3.10.2019.
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