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SUL PRINCIPIO COMUNITARIO DELLA NEUTRALITÀ DELL'IVA. UN CASO IN CUI I GIUDICI HANNO DATO RAGIONE AI CONTRIBUENTI

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SUL PRINCIPIO COMUNITARIO DELLA NEUTRALITÀ DELL'IVA. UN CASO IN CUI I GIUDICI HANNO DATO RAGIONE AI CONTRIBUENTI.

Estratto: “Il quadro normativo complessivo, concernente il regime fiscale connesso alla emissione di fattura per operazione in tutto od in parte inesistente, può dunque compendiarsi nello schema seguente, che dà luogo alla formulazione del principio di diritto: - il destinatario della fattura non è legittimato a portare in detrazione l'IVA indebitamente fatturata, laddove non sussista - o non venga ripristinato con procedura di variazione o ancora non sia possibile ripristinare - la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, fatta salva in ogni caso la "buona fede" del destinatario (qualora lo stesso risulti estraneo alla eventuale frode, e dimostri di avere adempiuto a tutti gli obblighi formali e di diligenza richiesti all'operatore del settore ex art. 1176 c.c., comma 2 - in base alle concrete circostanze del rapporto intrattenuto con l'emittente -, e di essere stato nella oggettiva impossibilità di avere consapevolezza della frode), non potendo farsi gravare sul contribuente che ha adempiuto correttamente agli obblighi di legge le conseguenze pregiudizievoli della condotta illecita imputabile in via esclusiva ad altri soggetti”.

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Civile, Sez. 5, ordinanza Num. 7080 del 12 marzo 2020.

                                            FATTI DI CAUSA

Con istanza del 11.7.2014,  PCMA s.p.a. presentò all'Agenzia delle Entrate, Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale del Piemonte, richiesta di rimborso della somma di euro 1.200.000,00, concernente l'IVA esposta nella fattura n. 1173/2018, dalla stessa emessa nei confronti di  FGA s.p.a., per l'importo imponibile di euro 6.000.000,00.

Era infatti emerso, a seguito di apposita attività di indagine dell'Ufficio, che la descrizione del servizio riportata nella fattura stessa costituiva, in realtà, una falsa giustificazione della effettiva operazione sottostante, consistente nell'adempimento di un credito risarcitorio vantato da PCMA nei confronti di FGA.

Quest'ultima, dopo aver indebitamente portato in detrazione l'IVA di rivalsa, e a seguito dell'attività di recupero frattanto disposta dall'Ufficio con l'emissione di un avviso di accertamento, aveva finalmente versato al Fisco l'intero importo dell'imposta (euro 1.200.000,00), oltre le sanzioni di legge, chiedendo a PCMA la restituzione dell'importo a suo tempo pagato per l'IVA di rivalsa; la cedente, quindi, avanzò l'istanza di rimborso di cui sopra.

Con provvedimento del 21.1.2015, l'Ufficio respinse la predetta istanza, in forza del c.d. principio di cartolarità di cui all'art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972, ritenendo trattarsi di operazione oggettivamente inesistente. Proposto ricorso da PCMA dinanzi alla C.T.P. di Torino, questa lo accolse con sentenza n. 85/08/2016, sulla base del c.d. principio di neutralità dell'IVA.

La C.T.R. del Piemonte, però, con sentenza del 3.11.2017, accolse l'appello dell'Ufficio,respingendo il ricorso della contribuente.

Osservò il giudice d'appello che l'operazione indicata nella fattura in discorso doveva ritenersi assolutamente inesistente, quantomeno sotto il profilo giuridico, perché recante una giustificazione del tutto diversa da quella effettiva, così risultando pienamente applicabile il principio di cartolarità di cui all'art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972.

Ciò tanto più che, nella specie, si era concretamente verificato il rischio di danno per l'Erario, a seguito della detrazione dell'IVA in discorso da parte di FGA, che l'aveva inserita nella liquidazione IVA di gruppo nel mese di maggio 2008, così determinando un maggior credito d'imposta trasferito alla controllante F. s.p.a.

Rischio nient'affatto eliso - secondo la stessa C.T.R. sabauda - dal successivo versamento, da parte di FGA, dell'IVA indebitamente detratta, perché conseguente alla legittima attività di controllo e di repressione degli illeciti fiscali da parte dell'Ufficio, e non frutto di spontanea decisione. P.C.M.A. s.p.a. ricorre ora per cassazione, sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

                                    RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 - Con l'unico motivo, si denuncia violazione dell'art. 21, punto 1, lett. c, della sesta Direttiva del Consiglio 17.5.1977, n. 77/388 CEE, e specificamente del principio comunitario della neutralità dell'IVA, nonché falsa applicazione dell'art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.

La ricorrente - dopo aver evidenziato essere pacifico che l'operazione in discorso era da ritenersi esente ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a, d.P.R. n. 633/1972, perché concernente il trasferimento di somma di denaro, seppur simulata da operazione imponibile - lamenta l'erroneità della decisione, per aver negato il diritto al rimborso, in violazione del principio, nazionale e comunitario, della neutralità dell'IVA, nonostante nella specie fosse da escludere (a seguito del pagamento dell'importo di euro 1.200.000,00, e delle sanzioni, da parte di FGA, in conformità all'avviso di accertamento notificatole) il rischio di perdita di entrate fiscali.

La ricorrente nega poi che, nella specie, contrariamente a quanto affermato dal giudice d'appello, si sia al cospetto di operazione oggettivamente inesistente, potendo nel caso discutersi, tutt'al più, di operazione giuridicamente inesistente, ossia di una diversa qualificazione giuridica dell'operazione economica che, effettivamente e realmente, è intercorsa tra PCMA e FGA.

Infine, la ricorrente invoca, a sostegno della correttezza della propria tesi, il disposto dell'art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 471/1997, in tema di sanzioni amministrative IVA, come modificato dall'art. 1, comma 935, della legge n. 205/2017, che proprio in applicazione del principio di neutralità, ha confermato il diritto al rimborso dell'imposta versata in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente, negandolo solo nel caso in cui il versamento sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.

Nella memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., la società ha poi evidenziato che, ai sensi dell'art. 6, comma 3 -bis, del d.l. n. 34/2019, conv. in legge n. 58/2019, il nuovo testo del già citato art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 471/1997 deve intendersi applicabile anche ai casi verificatisi prima dell'entrata in vigore della legge stessa, con conseguente definitivo acclaramento del proprio diritto al rimborso.

2.1 - Il ricorso è fondato. Risulta pacificamente che l'operazione descritta nella fattura n. 1173 del 27.5.2008 come prestazione di servizi, e quindi imponibile ai fini IVA, in realtà mascherasse un trasferimento di denaro da FGA a PCMA (all'epoca, E.A. s.p.a.), per l'importo di euro 6.000.000,00, ad estinzione di un credito di natura risarcitoria vantato da quest'ultima.

Si tratta, dunque, di un'inesistente operazione simulata, imponibile ex art. 1 d.P.R. n. 633/1972, a fronte di una effettiva operazione dissimulata, ma esente IVA ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a, dello stesso d.P.R. n. 633/1972.

Il giudice d'appello, riformando la prima decisione, ha ritenuto di dover attribuire carattere decisivo a due argomenti: a) nella specie, ricorre l'ipotesi di operazione (almeno giuridicamente) inesistente, perché recante l'indicazione di una causa giustificativa del passaggio di denaro, effettuato da FGA, del tutto diversa da quella effettiva, sicché deve trovare applicazione l'art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, che esprime il c.d. principio di cartolarità, a mente del quale "Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura"; b) sebbene il principio di neutralità dell'IVA, espresso dalla VI Direttiva n. 77/388 CEE, richieda che l'imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata - a prescindere dalla buona fede dell'emittente e dovendo escludersi, sul punto, la discrezionalità dell'A.F. - ciò è tuttavia possibile soltanto quando venga "eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali" per l'Erario (così, Corte Giustizia CE, causa C-98/454, del 19.9.2000). Ne deriva che nella specie, avendo FGA detratto l'IVA in discorso, a nulla rileva che successivamente, in forza dell'azione di controllo e contrasto dell'Ufficio e dopo l'emissione di apposito avviso di accertamento, la stessa FGA abbia versato l'importo di euro 1.200.000,00, oltre sanzioni. Infatti, secondo la C.T.R., anche se ciò ha determinato il ristoro del pregiudizio erariale, non può tuttavia ritenersi sufficiente ad escludere il rischio di perdite fiscali, perché nella sostanza il presupposto del principio cartolare s'è cristallizzato prima che FGA ricevesse l'avviso di accertamento: il versamento delle somme pretese dal Fisco rappresenta, dunque, l'adempimento di un'obbligazione tributaria derivante dall'indebita detrazione, rilevante meramente sul piano dell'esecuzione della prestazione fiscalmente dovuta a seguito dell'azione di accertamento e recupero dell'Ufficio.

2.2 - Ora, sebbene la C.T.R. abbia correttamente ricostruito la fattispecie, ai fini dell'applicazione del principio di cartolarità ex art. 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972, come operazione inesistente (e tralasciando il riferimento operato dal giudice d'appello al profilo di "inesistenza giuridica", che più propriamente attiene all'ambito penalistico, ex art. 1, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 74/2000, concernente le "operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte", dovendo intendersi in tal guisa anche quelle aventi una qualificazione giuridica diversa - si veda, sul punto, Cass. Pen., n. 21996/2018, Prunecchia), nondimeno la società coglie nel segno laddove censura l'omessa valorizzazione del pagamento estintivo effettuato da FGA, mediante la restituzione dell'IVA. indebitamente detratta.

2.3 - Il tema del rapporto tra principio di cartolarità e principio di neutralità dell'IVA è già stato vagliato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, In particolare, dopo aver attentamente ricostruito la normativa nazionale ed eurounitaria sul tema, nonché i corrispondenti apporti della giurisprudenza di questa Corte di legittimità e della Corte di Giustizia UE, Cass. n. 10939/2015 ha così chiosato sul punto: "Il quadro normativo complessivo, concernente il regime fiscale connesso alla emissione di fattura per operazione in tutto od in parte inesistente, può dunque compendiarsi nello schema seguente, che dà luogo alla formulazione del principio di diritto: - il destinatario della fattura non è legittimato a portare in detrazione l'IVA indebitamente fatturata, laddove non sussista - o non venga ripristinato con procedura di variazione o ancora non sia possibile ripristinare - la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, fatta salva in ogni caso la "buona fede" del destinatario (qualora lo stesso risulti estraneo alla eventuale frode, e dimostri di avere adempiuto a tutti gli obblighi formali e di diligenza richiesti all'operatore del settore ex art. 1176 c.c., comma 2 - in base alle concrete circostanze del rapporto intrattenuto con l'emittente -, e di essere stato nella oggettiva impossibilità di avere consapevolezza della frode), non potendo farsi gravare sul contribuente che ha adempiuto correttamente agli obblighi di legge le conseguenze pregiudizievoli della condotta illecita imputabile in via esclusiva ad altri soggetti (cfr. Corte giustizia, sentenza, 11.5.2006, in causa C-384/04, Federation of Technological Industries; id. sentenza 6.7.2006, cause riunite C- 439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta Recycling sprl, punto 51; id. sentenza 31.1.2013, causa C-642/11, Stroy trans EOOD, punti 48-50. Cfr. Corte Cass. 5^ sez. 20.12.2012 n. 23560; Id. Sez. 5^, Sentenza n. 6229 de113/03/2013); - l'emittente della fattura è tenuto, quale soggetto passivo, a versare PIVA liquidata in fattura (in base al 'principio di cartolarità' di cui all'art. 21, paragr. 1, lett. e) della 6^ direttiva CEE e dell'art. 203 della direttiva CE n. 112/2006, recepito nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7), nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta dallo Stato membro (nella specie dettata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26) per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura: il ripristino della corrispondenza tra realtà economica e rappresentazione cartolare della stessa, riconduce a regolarità il funzionamento del sistema IVA, consentendo l'applicazione della esatta imposta dovuta (ed il rimborso di quella eventualmente versata in eccedenza dal soggetto passivo) ed il corretto esercizio del diritto a detrazione, da parte del destinatario della fattura emendata da errori; - la inottemperanza dell'emittente agli adempimenti richiesti dalla predetta normativa statale per provvedere alla correzione od all'annullamento della fattura erroneamente emessa, non può tuttavia ritenersi ostativa al riconoscimento del rimborso dell'IVA indebita versata in eccedenza, né può ritenersi condizione integrativa della pretesa - fatta valere dalla Amministrazione finanziaria - del pagamento della imposta erroneamente liquidata nella fattura, laddove, con accertamento in fatto riservato al Giudice di merito, risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, perdita che si verifica allorché il destinatario della fattura - erroneamente emessa o nella quale è stata indebitamente liquidata l'imposta - abbia esercitato in base a tale documento il diritto alla detrazione (o al rimborso), o comunque possa attualmente esercitare tale diritto: deve riconoscersi la definitiva eliminazione del rischio in questione, quando risulti accertato che la fattura o il documento ad essa considerato equipollente non sia stata "emessa" ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 1, ovvero quando la fattura erroneamente "emessa" sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione), o ancora quando l'Amministrazione finanziaria (anche a seguito di segnalazione dello stesso emittente, ovvero nell'esercizio dei poteri di verifica di ufficio) abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo - o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato - il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura".

I principi sopra esposti sono stati successivamente ribaditi da Cass. n. 10974/2019, così massimata: "In tema di IVA, nel caso in cui sia erroneamente emessa fattura per operazioni oggettivamente inesistenti, il contribuente non può avvalersi della procedura di cui all'art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, che consente la regolarizzazione solo ove si tratti di operazioni effettive e reali, anche se venute meno in tutto o in parte, ma, in base al principio di cartolarità, di cui all'art. 21, comma 7, dello stesso decreto, è tenuto a versare l'imposta per l'intero ammontare indicato, fermo restando il diritto del contribuente al rimborso dell'imposta versata qualora venga accertato dal giudice di merito che sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, derivante dall'utilizzo della fattura ai fini della detrazione da parte del destinatario, quando la fattura non possa ritenersi emessa ai sensi dell'art. 21, comma 1, dello stesso decreto, ovvero quando sia stata emessa, ma tempestivamente ritirata dal destinatario, senza che quest'ultimo abbia potuto utilizzarla per finalità fiscali, o ancora quando l'Amministrazione abbia disconosciuto il diritto alla detrazione del destinatario con provvedimento definitivo o ritenuto legittimo con sentenza passata in giudicato".

2.4 - A dette pronunce intende darsi ora continuità, perché espressione di principi pienamente condivisibili. Ha dunque errato la C.T.R. nell'escludere la rilevanza, ai fini del riconoscimento del diritto al rimborso dell'IVA versata da PCMA, non solo del comportamento tenuto da FGA, ma anche della stessa azione di contestazione e recupero dell'Ufficio. Infatti, in forza dei superiori principi, già il disconoscimento del diritto alla detrazione in capo a FGA, da parte dell'A.F. - da intendersi definitivo a causa della pacifica mancata impugnazione dell'avviso di accertamento notificatole il 10.12.2013 - comporta l'eliminazione "in tempo utile" di qualsiasi rischio di perdita di gettito fiscale. Se a ciò si aggiunge che FGA ha già a suo tempo corrisposto al Fisco, integralmente, l'importo di euro1.200.000,00 indebitamente detratto, oltre le sanzioni, risulta di tutta evidenza come, nella specie, debba escludersi la configurabilità di qualsivoglia rischio di perdita erariale, definitivamente scongiurata. Costituisce questione del tutto irrilevante, pertanto, che FGA sia stata indotta al descritto pagamento dall'azione di accertamento e di repressione operata dall'Ufficio (anziché spontaneamente decidere di non utilizzare a fini fiscali la fattura in discorso, come invece nella sostanza ritenuto dalla C.T.R.), solo occorrendo - onde riconoscere il diritto al rimborso spettante al cedente che abbia emesso fattura per operazione in tutto o in parte inesistente - che le conseguenze dell'operazione congegnata dal cedente stesso e dalla cessionaria siano state disinnescate "in tempo utile" (ossia, prima della concretizzazione del rischio di perdita di gettito), mediante riconduzione dell'operazione stessa nell'alveo della legittimità.

3.1 - In definitiva, il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione e, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c., con l'accoglimento del ricorso della contribuente.

S'è già visto, infatti, che il contegno di FGA - che da un lato non ha impugnato l'avviso di accertamento notificatole dall'Agenzia, onde contestarle la mancanza del diritto alla detrazione dell'IVA esposta nella fattura n. 1173 del 27.5.2008 (così rendendolo inoppugnabile), e dall'altro ha contestualmente versato al Fisco l'intero importo preteso, anche riguardo alle sanzioni - consente di escludere che, nella specie, possa configurarsi qualsivoglia rischio di perdita di gettito erariale, sicché non può che dichiararsi il diritto di PCMA al rimborso dell'IVA a suo tempo versata. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese di lite della fase di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

                                                        P.Q.M.

 la Corte accoglie il ricorso, cassa in relazione e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso della contribuente, dichiarando il diritto al rimborso dell'IVA versata. Compensa integralmente le spese del giudizio di merito e condanna l'Agenzia delle Entrate alla rifusione di quelle del giudizio di legittimità, che liquida in euro 17.300,00 per compensi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 3.10.2019.

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