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I GIUDICI DI SECONDO GRADO HANNO ERRATO NEL RITENERE LEGITTIMO L'ACCERTAMENTO DELL'UFFICIO NON CONSIDERANDO L'ADEGUAMENTO DELLA DISCIPLINA AL DIRITTO COMUNITARIO SECONDO CUI È INAPPLICABILE LA PRESUNZIONE LEGALE DI CORRISPONDENZA DEL CORRISPETTIVO---

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I GIUDICI DI SECONDO GRADO HANNO ERRATO NEL RITENERE LEGITTIMO L'ACCERTAMENTO DELL'UFFICIO NON CONSIDERANDO L'ADEGUAMENTO DELLA DISCIPLINA AL DIRITTO COMUNITARIO SECONDO CUI È INAPPLICABILE LA PRESUNZIONE LEGALE DI CORRISPONDENZA DEL CORRISPETTIVO DELLA CESSIONE DI BENI IMMOBILI AL VALORE NORMALE DEGLI STESSI. ACCOLTO IL RICORSO DEL CONTRIBUENTE PER VIOLAZIONE DI LEGGE.

Estratto: “Nella fattispecie in esame la Commissione tributaria regionale non pare si sia adeguata alla normativa vigente ed ai principi sopra enunciati, avendo affermato che, anche in seguito ai predetti interventi normativi, l'utilizzo dei valori O.M.I. è comunque consentito in quanto tale valore sarebbe «pur sempre suscettibile di poter esaurire la prova logica dell'infedeltà della dichiarazione secondo le disposizioni di carattere generale» (v. motivazione della sentenza impugnata); da tale assunto, la Commissione regionale ha poi tratto la conseguenza che «la legittimità dell'accertamento (...) poggia sul fatto che la società non ha mai scalfito il presupposto d'imposta ed in particolare l'attendibilità dei valori di mercato degli immobili ceduti secondo le quotazioni OMI»”.

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Civile,  Sez. 5, ordinanza Num. 7373  del 17 marzo 2020.

Rilevato che:

La società L.4. s.r.l. a socio unico, impugnava l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle entrate, per l'annualità 2003, ai sensi dell'art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. 29/09/1973 n. 600, ai fini Irpef ed Irap, ed ai sensi dell'art. 54, comma 3, d.P.R. 26/10/1972 n. 633 con il quale venivano rilevati maggiori ricavi del reddito d'impresa.

In particolare, in ragione dell'antieconomicità del risultato di esercizio indicato nella dichiarazione annuale, l'Agenzia delle entrate inviava alla società un questionario in risposta al quale veniva comunicato che nel corso dell'esercizio 2003 era stato venduto un immobile sito in Roma alla via Caroncini n. 539, per un importo (euro 585.000) notevolmente inferiore a quello normale (euro 722.400,00).

La Commissione tributaria provinciale di Milano, rigettava il ricorso della società contribuente, la quale, proponeva appello innanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia che, a sua volta, respingeva l'appello della contribuente confermando integralmente la sentenza di primo grado.

La società ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione regionale di cui in epigrafe, affidandosi a cinque motivi d'impugnazione.

Resiste con controricorso l'Amministrazione erariale, deducendo l'inammissibilità e comunque l'infondatezza del ricorso.

La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380-bis 1 cod. proc. civ.

Considerato che:

Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce la violazione di legge e, segnatamente, dell'art. 24, commi 4, lett. f), e 5, I. 07/07/2009, n. 88 (cd. legge comunitaria 2008) dell'art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 29/09/1973, n. 600, e dell'art. 54, comma 3, d.P.R. 26/10/1972, n. 633, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto legittimo l'accertamento benché fondato sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato negli atti di compravendita e il valore normale presunto sulla base delle quotazioni dell'O.M.I., queste ultime essendo inidonee, a seguito della modifica delle disposizioni citate operata dalla legge comunitaria 2008, a giustificare la presunzione di "sotto fatturazione" utilizzata dall'Ufficio per l'emissione dell'avviso di accertamento; deduce altresì, il vizio di legge per non aver i secondi giudici considerato le risultanze della perizia di stima, ritualmente prodotta in giudizio, da cui risultava l'effettivo valore del bene compravenduto e l'inattendibilità delle cd, stime O.M.I.

Il motivo è fondato e va accolto per quanto di seguito esposto.

Come è stato osservato, l'art. 24, comma 5, I. n. 88 del 2009 (cd. legge comunitaria 2008), ha modificato l'art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 (così come l'omologo art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dall'art. 35 d.l. 04/07/2006 n. 223, convertito dalla legge 04/08/n. 248 a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell'ambito del procedimento d'infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l'incompatibilità - in relazione, specificamente, all'IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette - di tali disposizioni con il diritto comunitario. È stato così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, sopprimendo la presunzione legale (ovviamente relativa) di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che tutto è tornato ad essere rimesso alla valutazione del giudice, il quale può, in generale, desumere l'esistenza di attività non dichiarate «anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti»;

e ciò - deve intendersi - con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto comunitario che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire in materia (cfr., Sez. 5, Ordinanza n. 2155 del 25/01/2019, Rv. 652213-01; Sez. 5, Sentenza n. 9474 del 12/04/2017, Rv. 643928-01; Sez. 5, Sentenza n. 26487 del 21/12/2016; Sez. 5, Sentenza n. 20419 del 26/09/2014; in termini, v. circ. Agenzia delle entrate del 14 aprile 2010, n. 18).

Nella fattispecie in esame la Commissione tributaria regionale non pare si sia adeguata alla normativa vigente ed ai principi sopra enunciati, avendo affermato che, anche in seguito ai predetti interventi normativi, l'utilizzo dei valori O.M.I. è comunque consentito in quanto tale valore sarebbe «pur sempre suscettibile di poter esaurire la prova logica dell'infedeltà della dichiarazione secondo le disposizioni di carattere generale» (v. motivazione della sentenza impugnata); da tale assunto, la Commissione regionale ha poi tratto la conseguenza che «la legittimità dell'accertamento (...) poggia sul fatto che la società non ha mai scalfito il presupposto d'imposta ed in particolare l'attendibilità dei valori di mercato degli immobili ceduti secondo le quotazioni OMI» (v. motivazione della sentenza impugnata).

Una tale motivazione non può, dunque, sottrarsi alla censura di violazione di legge atteso che i secondi giudici non hanno affatto considerato l'adeguamento al diritto comunitario e la conseguente eliminazione della presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi e, quindi, non hanno compiuto alcun l'apprezzamento, in termini di onere probatorio, di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.

Il secondo motivo di ricorso con il quale la società deduce la violazione e/o falsa applicazione, in relazione all'articolo 360 primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell'art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per aver la Commissione tributaria regionale erroneamente addossato alla società l'onere di provare il reale valore del bene, è assorbito dall'accoglimento del primo motivo; in ogni caso si rileva che la società contribuente aveva allegato perizia di stima che, per quanto costituente semplice allegazione difensiva, era volta proprio a contestare che il valore normale dell'immobile era diverso da quello calcolato dall'ufficio sulla base delle stime OMI.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., nonché dell'art. 2909 cod. civ. e dell'art. 324 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per non aver la Commissione regionale motivato sull'errore di calcolo in cui è incorso l'ufficio nonché per essere incorsa nel vizio di ultra petizione nella parte in cui ha ritenuto l'esistenza del giudicato interno sulla debenza delle sanzioni.

Tale motivo è parzialmente fondato.

Ed infatti, la censura di violazione di legge per non aver la Commissione tributaria regionale motivato sull'errore di calcolo, risulta infondata, essendo principio consolidato di questa Corte che non sussiste il vizio di omessa pronuncia quando, pure in assenza di specifica statuizione del giudice, la pretesa avanzata col capo di domanda che si assume non esaminato risulti - come nel caso di specie - incompatibile con l'impostazione logico -giuridica della pronuncia, si da potersi ravvisare il rigetto implicito.

In altri termini, la conferma da parte del giudice di appello dell'accertamento dell'ufficio, esclude la configurabilità dell'error in procedendo prospettato dalla ricorrente.

Quanto alla questione del giudicato interno favorevole all'ufficio sull'applicabilità delle sanzioni, ha ragione la ricorrente di dolersi posto che l'annullamento delle relative sanzioni ha costituito oggetto di conclusione specifica della società nel giudizio di appello - così come risulta dalle relative conclusioni in appello riportate e trascritte a pagina 37 del ricorso in cassazione e non contestate dall'Agenzia delle entrate - il che confuta la decisione dei secondi giudici secondo cui la mancata contestazione da parte della società contribuente circa l'applicabilità delle sanzioni, avrebbe determinato il formarsi del giudicato interno favorevole all'ufficio.

Il quarto ed il quinto motivo di ricorso (con i quali la ricorrente società censura il vizio di motivazione sulle quotazioni 0.M.I., ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sia nella formulazione anteriore alla novella di cui all'art. 54 del d.l. 22/06/2012 n. 83, conv. in I. 07/08/2012 n. 134, che nella formulazione posteriore all'intervento di tale novella) rimangono assorbiti dall'accoglimento dei motivi primo e terzo.

L'accoglimento del primo e del terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, comporta la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, affinché proceda ad un nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra esposti nonché provveda anche in ordine alle spese del presente giudizio.

                                                      P.Q.M.

Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 dicembre 2019

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