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Avviare un’attività di riparazione sostituzione e vendita di pneumatici per autoveicoli è un’idea vincente atteso l’elevato uso di veicoli che ogni giorno circola sulle strade. L’auto, si sa, è il principale mezzo di trasporto e necessita di sovente di piccoli interventi e sostituzioni delle gomme, soggette ad usura dopo poco tempo dal loro utilizzo.
Per gommista si intende quindi un’impresa che effettua riparazioni e sostituzioni di pneumatici. Ma non solo. Queste attività svolgono in concomitanza anche altri servizi connessi quali la convergenza, l’equilibratura, l’incrocio delle gomme.
L’attività prevalente resta però quella di sostituzione di pneumatici che può essere equiparata ad una prestazione di servizi, dove l’intervento della manodopera è fondamentale, già a partire dalla scelta del pneumatico da montare al veicolo.
A questa si aggiungono poi gli interventi di convergenza che consistono nell’allineamento delle ruote, l’equilibratura, che riguarda l’applicazione di piccole lamine di piombo per ripianare le differenze di massa delle ruote. Mentre la sostituzione dei pneumatici è prevalentemente un’attività manuale, queste ultime due avvengono per mezzo di strumenti elettronici collegati ad un ponte elevatore. Si tratta di tecnologie sempre più sofisticate, pressoché automatizzate che funzionano con l’ausilio di un software capace di vedere anche lo storico del veicolo, ovvero il numero di utilizzi che ha avuto nel tempo.
Dal gommista, inoltre, si effettuano piccoli interventi di riparazione foratura dove viene adoperato scarso materiale di consumo difficilmente quantificabile.
In ogni caso, in tutti gli interventi praticati dal gommista una delle componenti di differenziazione è il costo della manodopera. È questa che determina il successo di un’attività rispetto ad un’altra, sbaragliando la concorrenza.
Oltre al costo della manodopera, a decretare il successo di un rivenditore rispetto ad un altro, è anche la varietà dei servizi offerti agli automobilisti, sempre più attenti all’eccellenza delle prestazioni.
Dai rivenditori più forniti, infatti, vengono svolti dei servizi più evoluti svolti con materiali o attrezzature particolari quali il gonfiaggio gomme con azoto oppure la variazione di assetto del veicolo. Si parla, in questi casi, di operazioni quasi simili alle piccole riparazioni meccaniche, dove il costo della manodopera è l’elemento più significativo dell’intervento.
Nella realtà italiana i rivenditori di pneumatici sono costituiti prevalentemente da piccole imprese artigiane/commerciali dove è possibile trovare il titolare coadiuvato, al massimo da un familiare o da pochi dipendenti. L’attività viene svolta all’interno di una piccola officina senza molti altri spazi da destinare all’accoglienza dei clienti. Sono presenti pochi beni strumentali, necessari per le riparazioni più comuni, mentre mancano apparecchiature più sofisticare ed automatizzate come quelle per controllare elettronicamente l’assetto e la convergenza.
Nel panorama italiano, però, non mancano strutture complesse costituite sotto forma di imprese di media-grande dimensione. In queste strutture, molto più organizzate delle prime, è presente personale dipendente specializzato, anche di tipo amministrativo. L’attività viene svolta all’interno di magazzini più grandi, dotati di apparecchiatura sofisticata ed aggiornata in grado di operare sia su veicoli comuni che su veicoli industriali. I servizi offerti, a differenza dei primi, sono più variegati e l’utente, in genere, è un cliente che richiede e si attende un alto livello delle prestazioni.
Da questo dato emerge come l’ammontare dei ricavi tra i rivenditori del primo tipo sia notevolmente diverso da quelli più grandi e organizzati.
In entrambi i casi, sia che si tratti di un piccolo gommista di periferia che di un grande centro ricambi, vige l’obbligo per il gommista di tenere il registro di smaltimento dei rifiuti tossici, dove vengono annotate tutte le operazioni inerenti ai pneumatici scartati. Molte volte, però, le gomme sostituite non vengono buttate e smaltite ma, se ancora in buone condizioni, vengono rigenerate e nuovamente messe in commercio.
Quali rischi fiscali per il gommista
Al di là dell’acquisizione di tutti i documenti contabili ed extracontabili indispensabili per l’accertamento fiscale quali schedari dei clienti, quietanze, appunti in agenda, preventivi di spesa, contratti ecc., i verificatori della Guardia di Finanza, in sede di controllo partono in primis dall’inventariare tutti gli impianti, le attrezzature e la strumentazione utilizzata, specie quella di tipo tecnologico.
Proprio nel possesso di queste attrezzature, infatti, dipende la capacità di fatturato di un gommista. È ovvio, infatti, che un gommista sprovvisto di strumentazione desueta avrà meno possibilità di ricavo rispetto ad uno dotato di tecnologie e preposto ad offrire più servizi. Si tratta, perciò di una verifica indispensabile che va fatta con grande cautela e perizia.
Al di là di questi accertamenti gli organi accertatori tendono a ricostruire, partendo dai dati e dalle notizie acquisite, il volume d’affari ritenuto effettivamente conseguito dal gommista. Il dubbio è che il contribuente abbia dichiarato al fisco di meno rispetto a quanto effettivamente guadagnato.
Questa ricostruzione, come detto, deve tenere conto della differenza qualitativa e quantitativa delle prestazioni rese dal gommista nel corso dell’anno essendo le stesse molto diverse da esercizio ad esercizio. Dati poco significativi, al contrario, vengono dall’analisi delle scorte del magazzino. I pneumatici, infatti, sono soggetti a facile deterioramento se non vengono utilizzati e, per questo, i rivenditori tendono ad acquistarli al momento del montaggio.
Uno degli elementi più frequentemente oggetto di discussione in sede di accertamento che sfocia spesso in contenzioso è quello che riguarda la valutazione dei materiali di consumo. Da questi elementi, infatti, gli accertatori desumono l’impiego un certo quantitativo di manodopera e quindi di ricavi. In questi casi, infatti, è indispensabile che il calcolo delle ore di manodopera impiegate venga determinato in contraddittorio con il contribuente, che può fornire tutti i chiarimenti necessari. Cosa che nella pratica non accade sempre.
Altra questione dibattuta è quella che riguarda la percentuale di ricarico applicata sulle gomme. Questo valore, infatti, varia, travolta anche notevolmente, da modello a modello e da marca a marca. Ad influenzare questa percentuale vi è inoltre la tipologia di clienti finale. Si tratta, in sostanza, di tutti elementi che devono essere considerati in sede di accertamento.
Qualora ciò non accada ecco che il gommista è costretto ad agire in giudizio per vedere annullata la pretesa tributaria che ritiene ingiustamente vantata dall’Agenzia delle Entrate.
Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 31796 del 05/12/2019
Questo caso ha preso avvio da un avviso di accertamento relativo a maggiori IRPEF, IRAP e IVA richieste ad un esercente l’attività di vendita di pneumatici. Le maggiori imposte sono state accertate basandosi sulla percentuale di ricarico applicata al costo dei pneumatici venduti.
L’agenzia delle Entrate era arrivata a tale conclusione basandosi sulle singole fatture, dividendole per tipo specifico di pneumatico, e comparando il prezzo di acquisto con quello di vendita. Da tale calcolo l’Amministrazione finanziaria sarebbe arrivata a determinare la percentuale di ricarico applicata.
Per l’Ufficio tributario, inoltre, il campione considerato era significativo mentre non trovava giustificazione l’applicazione di una percentuale di ricarico diversa a secondo del periodo dell’anno, ovvero più bassa nel primo semestre rispetto al secondo.
Il contribuente ha immediatamente contestato la quantificazione delle percentuali di ricarico. Ed infatti a suo avviso il campione non era assolutamente significativo in quanto costituito da 33 fatture su 800 e relativo al solo primo semestre dell'anno. Non sarebbero state considerate più di 767 fatture che avrebbero dimostrato l'applicazione di una diversa percentuale di ricarico nel corso dell’anno essendo, gli pneumatici, un prodotto a ricambio stagionale (estivo e invernale).
La Suprema Corte ha condiviso questa impostazione ed ha accolto il ricorso del contribuente. Per gli ermellini, infatti, la determinazione della percentuale di ricarico deve essere coerente con la tipologia dei beni in esame, deve essere applicata su un campione rappresentativo di beni e deve fondarsi su una media aritmetica o ponderale.
Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 12135 del 08/05/2019
Questa vicenda ha riguardato sempre un avviso di accertamento emesso nei confronti di un esercente l’attività di rivendita di pneumatici relativo a maggiori ricavi calcolati in base al costo della manodopera e non considerando i costi relativi a riparazioni e sostituzioni eseguiti da terzi.
Il contribuente ha contestato l’accertamento, ritenendolo illegittimo e privo di fondamento. In particolare, i maggiori ricavi sarebbero stati conseguiti dall’attività artigianale ritenendo che il titolare ed i lavoratori avessero effettuato negli anni prestazioni di manodopera di montaggio pneumatici e quindi, presumendo che tali prestazioni di manodopera non fossero ricomprese nel prezzo di vendita degli pneumatici fatturato ai clienti. Inoltre, gli accertatori non avrebbero tenuto conto della erronea quantificazione del costo del venduto.
Il ricorso in Cassazione promosso da contribuente è stato accolto. Nello specifico, i giudici di merito non avrebbero motivato in maniera sufficiente la regolarità dell’accertamento. Questi ultimi avrebbero ritenuto perfettamente legittimo l'operato dell'Ufficio tributario, perché giusto e corretto relativamente all'accertamento delle maggiori attività senza fornire una motivazione plausibile.
Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 3758 del 08/02/2019
In questo caso, al termine di una verifica fiscale, l'Agenzia delle Entrate aveva notificato ad un esercente l'attività di sostituzione e riparazione di pneumatici un avviso di accertamento a fini Irpef, Irap, Iva e contributi previdenziali. La contestazione riguardava la vendita di beni in evasione d'imposta.
Il contribuente ha contestato l’avviso ritenendo che l’Agenzia delle Entrate si fosse limitata a recepire il verbale degli accertatori, contenente numerosi errori e senza che questi venissero corretti. Per tali motivi la pretesa erariale era da considerarsi infondata.
La Cassazione ha accolto la tesi del giudice di appello ritenendola lineare e completa. La CTR, infatti, aveva rilevato la coerenza dell'indice di rotazione del magazzino ma anche l’errore in cui erano incorsi gli accertatori nel calcolo tra rimanenze finali ed iniziali del magazzino. Questi ultimi, inoltre, avevano fatto ricorso al criterio della media aritmetica per la determinazione del prezzo medio di vendita, anziché al criterio della media ponderata. Gli ermellini hanno condiviso questa impostazione confermando l’illegittimità dell’avviso di accertamento.
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