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Negozi di arredamento: scorretto l’accertamento induttivo basato sul ricarico e sull’equità

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Negozi di arredamento: scorretto l’accertamento induttivo basato sul ricarico e sull’equità

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Le attività di commercio al dettaglio o all’ingrosso di mobili fanno riferimento a tutte quelle imprese dedite alla vendita di articoli in legno, sughero, vimini ed in plastica per uso domestico, dedite all’arredamento di una casa.

Si tratta di aziende che hanno subito grandi cambiamenti nel corso del tempo, sia per quanto riguarda il dettagliante di piccole e medie dimensioni, sia per quanto riguarda il grossista. Ormai non esiste più il commerciante al minuto che ha in esposizione i mobili in pronta consegna da mostrare alla clientela all’interno di grandi magazzini e grandi spazi espositivi. La prassi è quella di sottoporre proposte su catalogo, acquisire gli ordini e trasmetterli direttamente alla casa produttrice. Insomma, il classico venditore di mobili è diventato in sostanza un mediatore della casa produttrice.

La principale differenza tra un negozio di mobili ed un altro è dato dalle marche trattate. Esistono, infatti, marchi diversi a seconda della fascia di prezzo e dalle differenze qualitative. È questo il primo e fondamentale discrimine che fa un cliente nel momento in cui si rivolge ad un venditore per l’acquisto del mobilio.

Il settore dell’arredamento è molto variegato ed è tornato nuovamente in auge anche grazie all’importanza e alla centralità del salone del Mobile che ogni anno si tiene a Milano, quale fiera di riferimento per tutta l’Europa.

I diversi esercenti si distinguono tra di loro, innanzitutto, per la tipologia di articoli trattati. Ormai, infatti, esistono rivenditori sempre più specializzati per esempio solo nella vendita di cucine, di salotti e divani, armadi e librerie, tavoli e sedie, camere da letto e camerette, mobili da ufficio e studio. Accanto ai mobili, inoltre, nei negozi si trovano anche accessori quali materassi e reti, elettrodomestici da incasso, oggettistica, vasi, tendaggi, ecc.

Operano in questo settore imprese diverse non solo per le marche e gli articoli trattati, ma anche per dimensione. Esistono, infatti, punti vendita di medie dimensioni, a conduzione prevalentemente familiare che lavorano con le vendite su catalogo. Gli spazi espositivi non sono molto grandi, con pochi pezzi in mostra. I mobili ordinati vengono poi consegnati al domicilio del cliente e montati da personale proprio.

Accanto a questi rivenditori si collocano poi i negozi di dimensioni medio-grandi che generalmente sono collocati in periferia. Si tratta, diversamente dai primi, di vere e proprie aziende, con spazi espositivi anche molto grandi che offrono anche diversi servizi, diversi dalla vendita vera e propria. Molti di questi esercenti, infatti, offrono anche servizi di progettazione e interior design. Analogamente ai primi, i mobili vengono ugualmente consegnati al domicilio e montati da personale interno all’azienda. Esistono, infine, le grandi catene che operano per lo più in forma di franchising.

Gli accertamenti fiscali nei mobilifici

I rivenditori di mobili, a prescindere dalle dimensioni, sono sottoposti a verifiche e controlli fiscali che prendono avvio dall’acquisizione di tutti i documenti contabili ed extracontabili rilevanti per l’azienda, tra questi vengono in considerazione gli schedari dei clienti, corrispondenza, appunti in agende, preventivi di spesa, ordini di acquisto, progetti e disegni relativi a mobili su misura e soprattutto i preventivi formulati a clienti, dai quali potrebbe risultare la annotazione di acconti percepiti senza che venga rilasciata la relativa documentazione fiscale in quel momento.

Non è infatti inusuale che si contesti l’acconto come percezione in nero anche se poi fatturato insieme al momento del saldo rivendicando la violazione della normativa relativa all’emissione temporale dei documenti fiscali. In questi casi non parliamo dunque di evasione reale, ma di un accertamento che usa come strumento presuntivo l’annotazione degli acconti per contestare l’esistenza di elargizioni in nero (senza però considerare che gli stessi sono stati conteggiati al saldo).

Altro problema degli accertamenti condotti nei confronti dei mobilifici riguarda inoltre (e soprattutto) quelli induttivi, condotti sulla base degli studi di settore, ora ISA. Attraverso queste metodologie, infatti, viene rideterminato un maggior ricavo conseguito dal rivenditore senza, tuttavia, considerare i diversi elementi che hanno influenzato l’attività quali la concorrenza.

Per tali ragioni, gli studi di settore o comunque gli studi basati su parametri dovrebbero essere utilizzati in maniera rigorosa prendendo in considerazione diversi elementi. Innanzitutto, per i mobilifici è indispensabile valutare i prezzi di vendita degli articoli esposti al pubblico, i listini prezzi dei cataloghi e dalle fatture di vendita emesse, rilevare anche i beni strumentali, le attrezzature e gli automezzi dell’azienda. È indispensabile poi che i verificatori procedano in contraddittorio con il rivenditore il quale potrà indicare le merci vendute più significative, le modalità di consegna dei mobili, le modalità di pagamento, lo svolgimento di servizi di consulenza o creazione; ogni mobilificio, infatti, riesce a trattare un margine di sconto dai propri fornitori, diverso da rivenditore a rivenditore. Si tratta di informazioni preziose per ricostruire in maniera dettagliata e veritiera il volume d’affari generato da un negozio di arredamento.

Gli accertatori, inoltre, dovrebbero considerare diversi parametri prima di calcolare la capacità reddituale dell’esercizio esaminato. Tra questi assumono grande importanza l’anno di apertura dell’attività, tutti i costi e gli investimenti fatti per l’allestimento del punto vendita, la dimensione del locale e la sua collocazione territoriale, se situato in una zona centrale o periferica.

Altro elemento spesso oggetto di contrasto è quello che riguarda le percentuali di ricarico. Nel settore dell’arredo, infatti, esiste una grande diversità, anche qualitativa, costruttiva e tecnica, dei beni trattati che determinano significative differenze nei prezzi di vendita e quindi nelle percentuali di ricavo. Si tratta, inoltre, di un settore che risente molto delle tendenze, così come la moda. È chiaro, infatti, che lo stesso bene, con le stesse caratteristiche e dimensioni, quale può essere per esempio un divano, può avere una diversità di prezzo anche quadruplicata tra le varie case produttrici. Inoltre, i prezzi praticati al pubblico sono diversi anche in relazione alla dimensione dell’esercizio commerciale, alla tipologia di consumatore finale, alla quantità di merci vendute sia al dettaglio che all’ingrosso.

Si tratta, in sostanza, di evenienze che devono essere considerate in fase di accertamento.

Anche perché, mentre nei negozi di medie o piccole dimensioni è più facile ricostruire analiticamente, articolo per articolo, le quantità di arredi venduti, in quelli di grandi dimensioni questa operazione è infattibile. In questi casi ci si basa spesso sull’analisi di campioni di merci che possono essere correttamente individuati solo con l’ausilio del rivenditore il quale conosce, meglio di altri, l’andamento del suo negozio.

Ulteriori questioni che danno origine a contenzioso sono poi quelle che riguardano il pagamento della tassa sui rifiuti, producendo il mobilificio ordinariamente e abitualmente sia rifiuti solidi urbani che rifiuti speciali per imballaggi. In questi casi accade i calcoli effettuati sulla base dell’area destinata al commercio di mobili potrebbero essere errati.

Ecco allora che il rivenditore deve agire in giudizio per far valere le sue ragioni ed ottenere l’annullamento di un avviso di accertamento che considera sbagliato. Ecco alcuni casi in cui il rivenditore ha agito in giudizio e vinto.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 30242 del 22/11/2018

Questo caso ha avuto inizio da un avviso di accertamento notificato, a seguito di un’indagine condotta dalla G.d.F, ad un esercente attività di commercio all'ingrosso di mobili di qualsiasi materiale, con cui venivano richiamato a tassazione un maggiore reddito d’impresa. Quest’ultimo era stato ricostruito mediante metodo induttivo in quanto, dalle risultanze dell’Agenzia delle Entrate, erano state riscontrate delle omissioni di contabilizzazione relativamente ad operazioni imponibili.

L’impresa contribuente ha sin da subito contestato l’errore in cui era incorso l’Ufficio tributario circa la ricostruzione induttiva del reddito di impresa. La contabilità, infatti, risultata regolarmente tenuta ed i mobili di cui si contestava la contabilizzazione riguardavano pezzi da mostra, esposizione, campionario, soggetti a rapida usura e deprezzamento. Inoltre, l’Ufficio non aveva considerato che si trattava di pezzi destinati a passare facilmente di moda e quindi a perdere valore in tempi molto rapidi.

La Cassazione ha condiviso la tesi della contribuente ritenendo che l’Amministrazione Finanziaria avesse commesso un errore procedendo con l’accertamento induttivo del reddito in assenza di presunzioni gravi, precise e concordanti per invalidare la contabilità aziendale.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 14636 del 29/05/2019

La vicenda in esame ha sempre avuto origine da un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate rideterminava, ai fini IRES, IRAP e I.V.A., un maggior reddito d'impresa nei riguardi di un negozio di arredamento.

Gli accertatori avevano accertato i maggiori ricavi applicando una percentuale di ricarico diversa rispetto a quella dichiarata dal contribuente. Il calcolo si basava sulla media aritmetica semplice.

La contribuente ha contestato l’accertamento lamentando un’errata ricostruzione dei ricavi la quale era stata fatta applicando una percentuale media di ricarico al posto della media ponderata. Inoltre, il metodo di calcolo aveva preso in esame i prezzi di vendita relativi solo ad alcuni prodotti e con riferimento ad un anno diverso rispetto a quello oggetto di accertamento. 

La Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente ritenendo che i giudici di merito non avessero motivato adeguatamente la loro decisione di rigetto. Non risultava, infatti, un esame approfondito del ricorso né delle ragioni del contribuente. Inoltre, non emergevano gli elementi che giustificavano la decisione dei giudici della commissione tributaria regionale.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 27862 del 31/10/2018

Anche questa terza ed ultima vicenda ha preso avvio da un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate aveva chiamato a tassazione maggiori ricavi conseguiti da un negozio di mobili per la casa. In particolare, l’Ufficio tributario aveva determinato induttivamente un maggior reddito imponibile ai fini IRPEG ed ILOR applicando una maggiore percentuale media di ricarico su tutti i beni venduti dalla contribuente.

La contribuente ha proposto ricorso per cassazione lamentando, tra gli altri, il calcolo errato della percentuale di ricarico quantificata nel 50% sul costo del venduto e l’inadeguatezza del campione individuato sulla base di un parametro meramente numerico. Infine, il commerciante lamentava la determinazione della percentuale di ricarico che era stata fatta dai giudici di merito secondo equità.

La Cassazione ha accolto il ricorso della contribuente ritenendo che il Giudice tributario non ha alcun potere di equità sostitutiva. Egli deve sempre motivare i suoi giudizi estimativi sulla base delle prove che sono state fornite in giudizio.

Per tali ragioni, secondo gli ermellini, la CTR avrebbe sbagliato nel determinare la percentuale di ricarico sul costo del venduto quantificandolo nella misura equitativa del 50%.

 

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