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In questo articolo ci occuperemo di un concetto inerente il diritto tributario, ovvero la pianificazione fiscale aggressiva. Innanzitutto, sarà necessario cercare di concretizzare tale categoria concettuale, cercando di darne una definizione ed evidenziarne, altresì, le caratteristiche al fine di distinguerla da simili fenomeni, come quello dell’abuso di diritto e dell’elusione fiscale.
L’abuso di diritto è un concetto che è sorto nel settore civilistico per poi subentrare nell’ambito tributario. Nel nostro ordinamento, non era inizialmente prevista una norma ad hoc a sanzione dell’abuso del diritto (oggi esiste ed è nella Legge n. 212 del 2000, art. 10-bis), anche se tale principio (di matrice comunitaria) è stato applicato a lungo, sia in ambito tributario, ma anche in materia bancaria e societaria (è adoperato per esaminare i rapporti negoziali che nascono da atti di autonomia privata).
In ambito civilistico, con la nozione di abuso di diritto si fa riferimento, anche grazie ad interpretazioni giurisprudenziali, ad un esercizio del diritto che seppur formalmente rispetta il quadro normativo crea un’ingiustificata sproporzione fra colui che è il beneficio del titolare del diritto e il sacrificio che è imposto alla controparte.
La giurisprudenza ha sostenuto (Cass. 11 maggio 2012, n. 7393) che: ”in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici”.
Inoltre, si richiama l’articolo 10-bis della L. 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto del contribuente”), riguardante tutti i tipi di tributi, che riporta due nozioni assimilabili: elusione fiscale, che si può ricondurre all’aggiramento della disposizione fiscale, e abuso del diritto, che invece si ricollega alla manipolazione e all’uso distorto dello strumento negoziale. In particolar modo il comma 1 dell’articolo citato, dispone che: “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. Gli elementi costitutivi della condotta elusiva posso così enuclearsi: – condotta priva di sostanza economica; – conseguimento di indebito vantaggio fiscale; – essenzialità del vantaggio fiscale indebito.
Corte di Cassazione, Sentenza 05 dicembre 2019, n. 31772 : In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione normativa, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, la cui ricorrenza deve essere provata dal contribuente.
Per quanto concerne la pianificazione fiscale aggressiva, o nota come aggressive tax planning (ATP) è un’espressione che è stata usata, all’interno del progetto Base Erosion and Profit Shifting (BEPS) per far riferimento a tutti quei comportamenti dei contribuenti che seppur leciti, in realtà cercano di “aggirare” la normativa fiscale al fine di ridurre il carico tributario. A tal proposito, la Commissione europea ha individuato dei “canali” per accertare una pianificazione aggressiva, che sono:
- trasferimento del debito, ovvero questo è il mezzo attraverso il quale si trasferiscono gli utili ad un’altra giurisdizione con una bassa imposizione fiscale;
- collocazione strategica dei diritti di proprietà intellettuale e dei beni immateriali, ossia sistemati in paesi con una bassa imposizione;
- abuso dei prezzi di trasferimento: basi imponibili dei paesi a bassa imposizione fiscale vengono aumentate artificiosamente a spese di quelle dei paesi in cui l’imposizione fiscale è alta.
Inoltre, la mancanza di norme anti-abuso e da alcune norme fiscali è stato possibile individuare degli indicatori della pianificazione fiscale aggressiva. All’interno delle norme anti-abuso si possono ricondurre le disposizioni relative ai limiti sugli interessi, quelle sulla sottocapitalizzazione ed anche le norme relative alle società controllate estere.
Tuttavia, occorre anche richiamare gli indicatori “passivi”, i quali non promuovono la citata pianificazione, ma possono, però, rappresentare un aiuto al suo concretizzarsi. In tale categoria di indicatori, ad esempio, vi può rientrare la ritenuta alla fonte, in quanto anche se la sua assenza è finalizzata ad evitare doppie imposizioni, a volte però, proprio la sua mancanza, può far sorgere fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva. Inoltre, sussistono anche gli indicatori c.d. attivi, rientrandovi fenomeni per i quali sono gli stessi regimi fiscali che finiscono per agevolare tale tipologia di pianificazione e, di conseguenza, si reputa necessario analizzare ogni singolo caso per verificare le varie norme fiscali.
Gli elementi caratterizzanti queste pianificazioni possono individuarsi nei seguenti: - sfruttamento delle diverse disparità esistenti tra sistemi diversi, per cercare di ottenere un indebito vantaggio fiscale; - disallineamento tra luogo di produzione e quello di tassazione della ricchezza; - una doppia non imposizione a livello internazionale non concessa dagli Stati interessati, ovvero un certo reddito non viene tassato né nello stato della fonte né in quello di residenza.
Come combattono tale fenomeno gli Stati? Tutti gli ordinamenti, stanno cercando di predisporre delle norme per contrastare questi fenomeni, contestando che lo stesso determina: danni economico-finanziari (si sottrae al fisco un'entrata tributaria, pregiudicando, il raggiungimento degli obiettivi di politica economica); danni sociali (si altera la distribuzione del carico tributario tra i cittadini, in quanto l'imposta evasa ricade su contribuenti e non su altri, e determinerebbe ciò che è stato definito dall’Ocse: “disconnessione tra i Paesi in cui si svolgono le attività economiche effettive e i Paesi in cui vengono riportati i profitti ai fini fiscali”.
Il Pacchetto BEPS “comprende misure relative alle convenzioni fiscali per neutralizzare gli effetti di disallineamento derivanti da alcuni strumenti e strategie ibride (hybrid mismatch arrangements), prevenire l'abuso dei trattati, far fronte all'elusione artificiosa dello status di stabile organizzazione e migliorare i meccanismi di risoluzione delle controversie”. La Commissione, infatti, mediante due direttive ha cercato di predisporre delle misure volte a contrastare la pianificazione fiscale aggressiva ed evitando soprattutto la possibilità di trasferire base imponibile da paesi con un’alta fiscalità verso altri caratterizzati da una bassa fiscalità.
Precisamente, queste misure sono previste nella direttiva ATAD11 (Anti Tax Avoidance Directive) e ATAD 212 (Direttiva 2016/1164/UE e Direttiva 2017/952/UE). Ad esempio, la direttiva del 2016 si è posta l’obiettivo, in linea con quanto delineato nel Pacchetto BEPS, di fissare un minimo livello di protezione per il mercato interno intervenendo sulle seguenti aree: -limite alla deducibilità degli interessi passivi; - tassazione in uscita; -clausola generale antiabuso; -norme sulle società controllate estere; -disallineamenti da ibridi.
Infine, molti Stati si auspicano un coordinamento fiscale internazionale per cercare di creare delle categorie giuridiche concettuali che siano comuni ai vari sistemi tributari al fine di fare opposizione alla pianificazione fiscale aggressiva.
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