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La professione medico veterinaria svolge un ruolo importante sotto il profilo della tutela della salute pubblica e dell’ambiente circostante.
Gli ambulatori veterinari dislocati sul territorio costituiscono, infatti, presidi di sanità mirati ad assicurare anche la protezione dell’uomo dai pericoli e danni generati dall’ambiente animale ma anche a prevenire, diagnosticare e curare le malattie degli animali, comprese quelle facilmente trasmissibili.
Mantenere e creare, ove manchi, un sistema di promozione ed educazione igienico-sanitaria nell’ambito del rapporto esseri umani ed animali è d’altronde un obiettivo importante.
I medici veterinari svolgono quindi a pieno titolo la professione sanitaria cd. principale, così chiamata per differenziarla da quelle ausiliarie esercitate da infermieri professionali, ostetriche, odontotecnici, ottici, ecc.
Per esercitare la professione il veterinario, acquisito il titolo di studio, deve iscriversi obbligatoriamente all’albo dei medici veterinari sempre dopo aver superato, previo tirocinio, l’esame di Stato abilitante all’esercizio della professione. La professione può essere esercitata in maniera autonoma o sotto forma di lavoro subordinato svolto presso il Servizio Sanitario Nazionale, (SSN) anche in regime convenzionato, ovvero con Istituti zooprofilattici e in aziende zootecniche private di diverso tipo. Dopo di che il veterinario, prima di esercitare la professione, deve iscriversi obbligatoriamente all’ENPAV, l’'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei veterinari ed aprire la partita Iva.
Da qui inizia ha inizio la carriera che, se esercitata in regime di libera professione, comporta anche il sostenimento dei costi di avvio dell’ambulatorio.
Oltre al lungo iter, il medico veterinario avviato alla professione, indipendentemente dal regime fiscale seguito, è non di rado soggetto ad accertamenti fiscali mirati alla ricostruzione del suo reddito o meglio alla verifica del suo reale volume di affari da sottoporre a tassazione.
Il controllo fiscale non può ovviamente prescindere dal controllo della documentazione contabile mirato a verificare se vi è corrispondenza tra quanto contenuto nelle scritture ed i fatti relativi all’attività professionale svolta, ad esempio analizzando le prestazioni eseguite in ambulatorio, il numero di visite svolte, quelle eseguite presso terzi o erogate sotto forma di consulenza.
Ad essere passati al setaccio al fine di una eventuale ricostruzione analitico – induttiva del reddito del veterinario anche anestetici, vaccini, materiali igienici e disinfettanti ed in particolare dei guanti da chirurgia, nonché ricettari medici, ecc.
La verifica è finalizzata principalmente all’individuazione e quantificazione delle prestazioni erogate dal veterinario e non fatturate o fatturare per importi non veritieri. Si passa, poi, ai controlli incrociati tra i pagamenti effettuati mediante carte di credito e/o bancomat ed i documenti fiscali attraverso cui si valuta la tra i corrispettivi entrati e quelli registrati.
Ed ancora, ulteriori informazioni da cui ricavare il volume d’affari del veterinario vengono ricavate dalle A.S.L., le farmacie, altre strutture sanitarie e presso gli stessi clienti, incrociando, ad esempio le informazioni con i dati relativi ai microchip applicati ai cani.
Inoltre, diversi problemi si verificano con riferimento alla ricostruzione dei redditi percepiti dai veterinari che svolgono l’attività professionale in forma associata o mediante una società tra professionisti.
Ma le questioni più nodose riguardano quelle verifiche che tentano di ricostruire il volume d’affari del medico veterinario basandosi sugli studi di settore, ormai comunque superati dai ISA, gli Indici di Affidabilità Fiscale.
Studi di settore che però hanno visto i veterinari collocarsi all’ultimo posto in classifica con un reddito medio di 19.300 euro, contrariamente agli oltre 200 mila euro previsto per i notai. Nel mezzo, medici, dentisti, laboratori di analisi, psicologi, e per ultimo, appunto i veterinari che non godono di ricavi ingenti.
Infine, un importante elemento di discordia si ha nell’applicazione ai fini IRAP dell’attività svolta dai medici veterinari all’interno dei propri ambulatori. L’Agenzia delle Entrate in taluni casi, infatti, ritiene che l’organizzazione autonoma si possa desumere da diversi elementi, quale la presenza di collaboratori, l’erogazione di compensi a terzi, e l’uso di particolari materiali di consumo necessari al loro esercizio e di beni strumentali eccedenti l’ordinario. Tuttavia, è bene chiarire che ormai molte prestazioni vengono svolte internamente all’ambulatorio quali analisi cliniche, esami radiologici, interventi chirurgici ecc. che in precedenza venivano svolte all’esterno.
Vediamo, quindi, tre casi in cui gli accertamenti fiscali svolti nei confronti di medici veterinari hanno in realtà portato a risultati inesatti ed il processo che ne è seguito dopo che il veterinario aveva proposto il ricorso, ha visto quest’ultimo uscire vittorioso.
Comm. Trib. Reg. per la Liguria - Sentenza n. 9 del 03/01/2019
Relativamente al presunto maggior reddito derivante dall’attività professionale esercitata in forma associata la CTR ligure è stata chiamata ad affrontare il caso di un contribuente, un medico veterinario, che impugnava l'avviso di accertamento con il quale l'Ufficio accertava un maggior reddito imponibile a i fini IRPEF di Euro 37.425,00 derivante dall'attività dell'Ambulatorio veterinaria esercitata in società con un altro professionista di cui era compartecipe per il 45%. In particolare, l’Ufficio aveva presunto questo maggior reddito dalle movimentazioni e operazioni bancarie come prelievi e versamenti effettuati dal veterinario, considerate non riscontrate nelle scritture contabili e non giustificate in alcun modo.
La CTR ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento dando ragione al veterinario in quanto il reddito di partecipazione del socio trova la sua fonte nel reddito societario e, per questi motivi, non può presumersi un maggior reddito imponibile al socio.
Comm. Trib. Reg. del Lazio n. 6/40/10, del 4 febbraio2010
Sotto il profilo della rilevanza degli studi di settore, ormai superati dagli ISA, questa vicenda ha avuto origine da un avviso di accertamento relativo all'Irpef, Irap notificato ad un medico esercente la professione di veterinario e basato sulla ricostruzione induttiva del suo reddito fondato sugli studi di settore.
A parere dell’Agenzia delle Entrate il veterinario aveva dichiarato un reddito molto basso e comunque inferiore a quello derivante dallo studio di settore applicato alla professione di veterinario, tenendo conto delle ore di lavoro svolte.
La CTR ha annullato l’avviso di accertamento ritenendo che l'atto impositivo non fosse sufficientemente motivato. Secondo i giudici, infatti, non era chiaro il metodo adoperato dall’Ufficio per la rideterminazione del reddito. In sostanza, non bastava il richiamo allo studio di settore per determinare in maniera induttiva il reddito percepito dal veterinario.
Corte di Cassazione Civile, sentenza n. 8914 del 16 aprile 2014
Infine, sotto il profilo della sussistenza dell’autonoma organizzazione indispensabile ai fini IRAP, la Suprema Corte in questa vicenda ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che ricavava il presupposto impositivo dalle spese da un medico veterinario relativamente a compensi elargiti a terzi.
Al contrario la Cassazione ha condiviso la linea dei giudici di merito secondo cui proprio il ricorso a professionisti esterni era sintomatico della carenza di un’autonoma organizzazione, non del contrario. D’altronde è spesso proprio chi non ha a disposizione un’autonoma organizzazione interna a vedersi costretto a ricercare consulenti esterni alla sua attività per portare a termine la prestazione.
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