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Oggi numerose operazioni di cessione immobiliare, sia quelle soggette ad Iva ove interviene ad adempio un’impresa di costruzioni, sia quelle intercorse tra privati non soggette ad Iva, sono sottoposte ad accertamenti di valore da parte dell'Agenzia delle Entrate.
Si ritiene che indicando nell’atto di compravendita un prezzo più basso rispetto al reale valore di mercato dell’immobile, l’acquirente avrà dei benefici sotto il profilo impositivo, e quindi sul pagamento dell’imposta di registro e/o Iva. A maggior ragione se la compravendita avviene con un’impresa di costruzioni interessata a sottodimensionare il valore dell’immobile venduto ai fini della dichiarazione di un minor reddito imponibile ai fini Ires.
Partendo da questo “sospetto” l’Agenzia delle Entrate effettua verifiche sui prezzi dichiarati nell’atto di compravendita accertando l’incongruità rispetto al reale valore dell’immobile.
Non basta, infatti, avere indicato nell’atto di compravendita il valore catastale dell’immobile se l’Ufficio ritiene che il prezzo sia notevolmente inferiore al valore di mercato del bene.
Se, dunque, il prezzo indicato nel rogito è ritenuto antieconomico o sottocosto scatta l’accertamento sulle dichiarazioni presuntivamente “infedeli” dei contribuenti.
Anche se con la Legge n.88 del 7 luglio 2009 è stata superata la presunzione legale relativa alla cessione di immobili, da cui era possibile desumere l’infedeltà sulla base dello scostamento tra il corrispettivo delle cessioni ed il valore normale dei beni, basati sui valori OMI, in realtà essi continuano a costituire parametri adoperati dall’Agenzia delle Entrate per operare i controlli relativi ai trasferimenti immobiliari.
Infatti, ancora oggi l’Agenzia delle Entrate considera a rischio di accertamento le cessioni che presentano uno scostamento significativo tra il valore o il corrispettivo dichiarato in atto ed il prezzo di mercato, come desumibile dall’applicazione dei valori OMI e da cui deriva l’applicazione delle relative imposte, imposta di registro o Iva.
Partendo, infatti, dalle quotazioni del mercato immobiliare (OMI), ovvero l’osservatorio a disposizione degli accertatori, l’Amministrazione Finanziaria procede alla rettifica del valore dichiarato qualora lo stesso risulti inferiore al valore venale dell’immobile.
Quello che non si dice è che i parametri OMI non indicano valori certi sempre e comunque per ogni determinato immobile ma contemplano un range, un intervallo di valore minimo e massimo per ogni metro quadro a seconda della singola categoria immobiliare (residenziale, commerciale, ecc.) e della zona di ubicazione. Dette tariffe, quindi, non tengono neanche conto delle effettive condizioni e caratteristiche dell’immobile. Da questi esami, ad esempio, non risulta se è stata effettuata una recente ristrutturazione o se, al contrario, l’immobile versa in uno stato di abbandono e degrado. Si tratta di tutte evenienze che possono cambiare notevolmente la quotazione reale dell’immobile sul mercato, sia verso l’altro sia verso il basso.
Considerato che le quotazioni OMI, indicano valori di massima, essi non possono perciò essere considerati una prova incontrovertibile del valore venale dell’immobile venduto ad un prezzo inferiore da porre alla base della maggiore imposta di registro, ipotecaria e catastale dovuta dal contribuente.
Non di rado, dunque, il contribuente, che riceve un avviso di rettifica, si vede costretto a dimostrare, in sede di contenzioso, i motivi per cui il prezzo convenuto nella compravendita era più basso di quello indicato come “di mercato” dall’Ufficio, in particolare dimostrando le effettive condizioni dell’immobile acquistato, o magari anche motivando le sue ragioni con la perizia di un professionista di fiducia.
Questo è quanto ribadito dalla sentenza n. 4079 della Corte di Cassazione del 18 febbraio 2020.
Corte di Cassazione, sentenza n. 4076 del 18 febbraio 2020
La vicenda in esame ha avuto origine da un avviso di rettifica notificato ad un contribuente relativo all’atto di compravendita di un negozio attraverso cui l’Agenzia delle Entrate, basandosi sui valori OMI, accertava un valore dell’immobile di gran lunga superiore a quello dichiarato, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale. Ciò era desunto anche dalla perizia di stima fornita dalla banca ai fini dell’iscrizione ipotecaria necessaria per la concessione del mutuo, pari al doppio del valore mutuato.
Il contribuente raggiunto dall’avviso di rettifica, nella sua veste di venditore, ha contestato l’applicabilità dei soli parametri OMI da parte dell’Agenzia delle Entrate nella determinazione del valore dell’immobile senza che vi fosse stata alcuna verifica dello stato dei luoghi.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione dell’Ufficio, ha avvalorato le ragioni del contribuente ritenendo che l’accertamento di una maggiore imposta di registro dovuta in conseguenza di una cessione di beni immobili non può fondarsi esclusivamente su uno scostamento tra il valore dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risultante dalle quotazioni OMI, ma necessita di essere supportato da altri elementi gravi, precisi e concordanti.
A parere del Collegio, infatti, il rimando alle tabelle OMI per determinare il valore di mercato di un bene immobile, non può da solo fondare l’avviso di rettifica ai fini delle imposte, in quanto il valore dello stesso è determinato da diversi fattori non catalogabili fra cui l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, lo stato delle opere di urbanizzazione, il contesto, ecc.
Per tali motivi la Cassazione ha confermato l’illegittimità dell’avviso di rettifica.
Comm. Trib. Reg. della Liguria, sentenza 87/03/2013
Dello stesso tenore della precedente, tra le tante, citiamo la presente sentenza di merito, emessa in un casi in cui l’Agenzia aveva accertato nei confronti di un contribuente un maggior reddito conseguente ad un’operazione immobiliare caratterizzata da uno significativo scostamento tra il prezzo dichiarato nell’atto di compravendita e il valore degli immobili sulla base dei parametri OMI.
Il contribuente rilevava che la valutazione operata dall’Ufficio era sbagliata, non tenendo assolutamente conto del reale stato d’uso dell’immobile, costretto ad un importante intervento di ristrutturazione, così come dimostrato da una relazione giurata di stima effettuata da un geometra di fiducia.
I giudici chiamati a pronunciarsi sulla vicenda avevano considerato esaustive le argomentazioni del contribuente ritenendo, pertanto, congrua la valutazione dell’immobile così come indicato nell'atto di compravendita, risultando lo stesso in fase arretrata di ristrutturazione. Tale circostanza trovava conferma anche nel certificato di agibilità del Comune che era stato rilasciato ben cinque anni più tardi rispetto alla stipula dell’atto, a dimostrazione della lentezza dei lavori.
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