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Controlli fiscali presso studi legali: quando viene contestata al professionista l’irregolarità

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Controlli fiscali presso studi legali: quando viene contestata al professionista l’irregolarità

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Prestazioni non fatturate, prestazioni fatturate per importi inferiori o con causali generiche sono alla base degli accertamenti fiscali condotti nei confronti degli studi legali.

Agli avvocati, in qualità di liberi professionisti, si contesta in particolare la mancata dichiarazione di un presunto maggior volume d’affari generato dallo studio. La presunzione è che una parte dei proventi prodotti dallo studio sia stata sottratta a tassazione.

In realtà, vi è da dire che l’informatizzazione del sistema processuale italiano ha di fatto sottoposto gli avvocati a controlli impliciti inerenti la loro attività professionale. Ed infatti, grazie all'utilizzo del processo civile telematico ed all’analisi degli altri archivi informatici, l’Amministrazione Finanziaria può risalire in maniera agevole a tutte le cause patrocinate da un legale. Avere un’idea delle controversie patrocinate da un avvocato significa anche arrivare ad un calcolo, che non è detto sia effettivo, del suo fatturato e quindi del volume d’affari dello studio.

D’altronde, se il cliente non ha pagato o ha pagato meno dei parametri è veramente giusto presumere guadagni che non vi sono stati?

Ecco allora che per l’avvocato è molto difficile dimostrare di aver affrontato una causa o un processo senza aver percepito compensi congrui.

Ma se i proventi dell’attività giudiziale sono così accertati, pensiamo a che livello di presunzioni si potrebbe arrivare quando si parla di calcolare i ricavi generati dall’attività stragiudiziale, dalle consulenze o dalle altre attività presuntivamente non dichiarate al fisco, ecc.

Per tali motivi gli avvocati sono sottoposti a non infrequenti accertamenti fiscali che partono dalla verifica della regolarità delle scritture contabili.

Generalmente le attività di controllo condotte dall’Agenzia delle Entrate, spesso previo accesso nello studio professionale dell’avvocato (si spera, almeno informato della verifica aio sensi delle disposizioni statutarie), si fondano sull’esame della documentazione contabile e extracontabile quali agende, email, corrispondenza, fascicoli relativi ai propri clienti, schede o archivi dei patrocinati, ecc.

L’obiettivo è ricercare eventuali dati ed indizi che si ritengono porsi in contrasto con le dichiarazioni dei redditi e con le scritture contabili.

Attraverso questi dati, in sostanza, l’Amministrazione tenta di risalire al volume d’affari dello studio (che magari si presume fatturi molto più di quanto dichiarato al Fisco).

I dati acquisiti dall’esame dalla contabilità vengono non di rado rapportati con quelli derivanti dallo studio di settore ed un eventuale scostamento può essere considerato quale forte sospetto.

L’accertamento generalmente può anche partire dalla verifica dei conti correnti bancari intestati all’avvocato, e si potrebbe derivare un teorema accusatorio sulla base dei dati derivanti da tali acquisizioni. Per contrastare queste presunzioni si richiede all’avvocato spesso di fornire una prova analitica in cui specifica la riferibilità di ogni singolo versamento bancario.

Ed ancora, ulteriori contestazione potrebbero derivare dalle modalità di esercizio concreto della sua attività che, nella maggior parte dei casi, viene svolta in studi professionali condivisi con altri colleghi, anche per dividere i costi da sostenere (es. affitto, dotazioni strumentali, fax, telefono, internet, ecc.).

Infine, ad essere scandagliati anche tutti gli elementi da cui l’Amministrazione Finanziaria desume l'esistenza in capo all’avvocato di una struttura, si dice, autonomamente organizzata: tra cui spese per gli immobili, per lavoratori dipendenti, per compensi a terzi (prestazioni professionali).

In particolare, sotto questo profilo, un reddito da lavoro autonomo significativo viene a volte – nonostante prese di posizione giurisprudenziali di segno inverso – ritenuto prova dell’esistenza di un'autonoma organizzazione in quanto, si dice, indice di un’attività professionale che necessita dell'apporto di più collaboratori, non essendo possibile che un avvocato da solo possa produrre tali volumi d' affari (ciò nonostante in molti casi l’apporto personale dell’avvocato sia indispensabile, il che dovrebbe escludere sul nascere l’autonoma organizzazione che, in teoria, presuppone che togliendo il professionista dai “giochi” la struttura funzioni egualmente).

L'attività accertativa degli Uffici Finanziari, che dovrebbe assicurare il rispetto di determinate cautele, esaminando la giurisprudenza, sembra che a volte sia attuata senza garantire un adeguato contraddittorio.

Gli accertamenti potrebbero essere parziali, non completi, sulla base di elementi rinvenuti ma che non trovano riscontro in altri indici.

Di seguito alcune pronunce in cui l’avvocato sottoposto ad accertamento fiscale ha finito con l’ottenere ragione dopo la proposizione di impugnazione.

Sentenza del 09/07/2018 n. 370 - Comm. Trib. Reg. per la Basilicata

La vicenda esaminata in questa pronuncia prende avvio dal ricorso presentato da un contribuente esercente la professione di avvocato, che impugnava gli avvisi di accertamento relativi a presunti maggiori ricavi non dichiarati desunti da presunte verifiche sulla contabilità e indagini sui conti correnti intestati anche al coniuge. In particolare, nel corso delle verifiche sarebbe emerso che l’avvocato aveva effettuato movimenti finanziari di centinaia di migliaia di euro - si asseriva - privi di giustificazione.

L’avvocato ha avuto modo di dimostrare che i flussi finanziari contestati in realtà non costituivano materia imponibile in quanto rappresentavano gli importi risarcitori ottenuti dai clienti nell’esercizio dell’attività legale, diretta appunto al disbrigo di pratiche auto. Sicché tali importi, momentaneamente accreditati sul conto corrente dell’avvocato delegato, erano poi stati adeguatamente versati ai suoi clienti risarciti.

La CTR ha ritenuto provata la tesi dell’avvocato ed ha dichiarato illegittimi gli avvisi di accertamento dal momento che l’Amministrazione Finanziaria non può operare in maniera automatica la presunzione che i prelievi corrispondono a ricavi. A parere dei giudici il recupero a tassazione deve riguardare solo gli imponibili ottenuti con la percentuale di redditività indicata negli avvisi ai soli versamenti e non anche ai prelievi indicati nelle indagini finanziarie.

Sentenza del 17/01/2018 n. 58 - Comm. Trib. Reg. per la Liguria Sezione

Anche questa vicenda ha preso origine dal ricorso promosso da un contribuente esercente l’attività di avvocato avverso l'avviso, emesso dall'Agenzia delle Entrate con cui veniva contestato un atteggiamento antieconomico in quanto sarebbe stato accertato un presunto esiguo reddito di lavoro autonomo a fronte di una perdita.

Il contribuente aveva dimostrato, producendo idonea documentazione che l'accertamento era illegittimo dal momento che l'attività svolta, anche se contraria ai canoni dell'economia, trovava la sua giustificazione nell’importante patrimonio familiare dell’avvocato, di sua moglie e del suo genitore. Inoltre, l’avvocato aveva dimostrato di tenere in vita l’attività soltanto ai fini pensionistici, ormai prossimi.

I giudici hanno dato ragione al contribuente dichiarando così illegittimo l’avviso di accertamento in quanto un reddito esiguo derivante dall'esercizio dell'attività professionale può essere giustificato da una florida e documentata situazione patrimoniale familiare, in attesa di concludere la carriera lavorativa professionale e maturare il diritto alla pensione. Per questi motivi non può dirsi sussistere una condizione di antieconomicità dell’attività svolta.

Sentenza del 30/07/2019 n. 20470 - Corte di Cassazione

Anche questa terza vicenda ha preso avvio da un avviso di accertamento notificato dall'Agenzia delle Entrate ad un contribuente esercente la professione di avvocato, in cui, richiamando movimentazioni bancarie, veniva determinato un maggior reddito e quindi un maggiore imponibile.

Il contribuente ha però prodotto documentazione fiscale a giustificazione dei movimenti in entrata ed uscita ovvero versamenti e prelevamenti risultanti dal conto corrente, quali dichiarazioni di terzi, fatture e ricevute, a giustificazione delle movimentazioni bancarie.

La Suprema Corte ha anche fatto riferimento alla sentenza della Corte Cost. n. 228 del 2014, la quale ha chiarito che, relativamente ai soli lavoratori autonomi e professionisti, deve superarsi la presunzione legale per cui anche i prelievi, oltre ai versamenti, sono imputati al titolare del conto quali compensi dell'attività svolta.

Le informazioni sopra riportate sono state scritte da un avvocato che collabora con professionisti del nostro studio ma la loro rispondenza al sistema vigente non è garantita da DLP Studio Tributario, né nessuno dei suoi avvocati, né nessun altro, non rispecchia la professionalità media di DLP Studio Tributario e non sono state sottoposte ad ulteriori controlli da parte del nostro studio.

Ulteriori approfondimenti sono comunque dovuti in dipendenza delle specificità dei singoli casi concreti, anche (ma non solo) per verificare che le informazioni siano aggiornate al momento in cui servono.

 

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