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Error iuris in procedendo. La sentenza viene cassata in accoglimento del ricorso dei contribuenti.

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Estratto: “L'unico atto cui era tenuto a quel punto il giudice regionale era la declaratoria di interruzione del giudizio. Invece, al contrario ed erroneamente, la Commissione Tributaria Regionale dichiarò l'estinzione del giudizio e, altrettanto inspiegabilmente, annullò la decisione di primo grado. L'error iuris in procedendo comporta in conclusione la declaratoria di nullità della sentenza impugnata”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Ordinanza n. 426 del 14 gennaio 2020

Considerato che:

SG e SS, quali ex soci della "DM s.r.l." hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 222/16/12, depositata il 30.07.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, Sez. Staccata di Siracusa.

Hanno riferito che l'Agenzia delle Entrate aveva notificato alla società l'atto impositivo con il quale, sulla base di accertamento induttivo, era rideterminato il reddito imponibile dell'anno 2006 nella misura di euro 44.955,00, a fronte della dichiarata perdita di euro 1.181,00, con conseguente rideterminazione delle imposte ai fini Ires, Irap ed Iva, nonché applicazione di sanzioni.

Nel contenzioso seguitone la Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa aveva accolto il ricorso della contribuente con sentenza n. 77/02/11, annullando l'atto impositivo.

Nel giudizio d'appello proposto dalla Agenzia la difesa della società aveva dichiarato la cancellazione e l'estinzione della società.

Nonostante ciò, con la sentenza ora al vaglio della Corte il giudice regionale aveva pronunciato l'estinzione del giudizio e annullato la decisione di primo grado.

Con unico motivo i ricorrenti si dolgono della pronuncia per violazione degli artt. 101, 110, 300, 305, 307, 310 co. 2 c.p.c., e dell'art. 2495 co. 2 c.c., in relazione all'art. 360 co. 1 n. 4, in subordine n. 3 c.p.c., perché erroneamente è stata dichiarata l'estinzione del giudizio anziché la sua interruzione, nonché, quale effetto della estinzione, l'annullamento della decisione di primo grado.

Hanno chiesto pertanto la cassazione della sentenza con ogni consequenziale statuizione.

L'Agenzia, cui pur risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi. Ritenuto che: il ricorso trova accoglimento.

La questione della cancellazione, anche volontaria, della società dal registro delle imprese e della sua estinzione ha ricevuto attenzione dalla giurisprudenza come dalla dottrina, ed è regolamentata dall'art. 2495 c.c., trovando tale ultima disciplina applicazione, ai soli fini della validità ed efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, con effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, secondo quanto previsto dall'art. 28 co. 4, del d.lgs. n. 175 del 2014.

Peraltro la responsabilità di amministratori, liquidatori e soci delle società trova disciplina nell'art. 36 del d.P.R. n. 602 del 1973.

Ebbene, pacifica ed incontestata l'estinzione della società, questa Corte ha già chiarito che agli ex soci può riconoscersi una posizione assimilabile a quella di successori della compagine sociale (cfr. Sez. U, sent. 6072/2013), sebbene gli stessi non rispondono incondizionatamente dei debiti sociali, richiedendosi invece, per quanto qui interessa e dunque ai fini dei rapporti tributari e della soggettività passiva rispetto alle imposte dovute dalla società estinta, ex art. 36 co. 3, del d.P.R. n. 602 cit., che abbiano ricevuto beni sociali dagli amministratori nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione o dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, e nei limiti del valore di detti beni.

Ciò chiarito, poiché la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (salva l'ipotesi eccezionale di fictio iuris contemplata dall'art. 10 legge fall.), qualora l'estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell'art. 110 c.p.c. (Sez. U, sent. n. 6070/2013).

Né il caso di specie può essere sussunto nella ipotesi di ultrattività del mandato (con applicazione del fenomeno processuale ricostruito da Sez. U, sent. n. 15295/2014; in materia tributaria cfr. anche sent. n. 26495/2014), poiché dalla stessa sentenza ora impugnata risulta che il difensore della società ebbe a dichiarare, con memorie difensive, la conclusione delle operazioni di liquidazione e la cancellazione della società dal registro delle imprese il 14.03.2012.

L'unico atto cui era tenuto a quel punto il giudice regionale era la declaratoria di interruzione del giudizio.

Invece, al contrario ed erroneamente, la Commissione Tributaria Regionale dichiarò l'estinzione del giudizio e, altrettanto inspiegabilmente, annullò la decisione di primo grado.

L'error iuris in procedendo comporta in conclusione la declaratoria di nullità della sentenza impugnata.

Ritenuto che L'accoglimento del ricorso comporta la cassazione della sentenza ed il rinvio del giudizio alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez staccata di Siracusa, che, oltre che sulle spese, provvederà a decidere la causa tenendo conto della legittimazione processuale degli ex soci, a seguito dell'intervenuta causa interruttiva del processo.

P.Q.M.

La Corte dichiara la nullità della sentenza. Cassa e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. staccata di Siracusa, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il giorno 14 maggio 2019

 

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