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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Ordinanza n. 33963 del 19 dicembre 2019
Rilevato che
- con la sentenza n. 24/52/2013, depositata il 4 febbraio 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di U. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Benevento n. 34/01/11, che aveva accolto il ricorso proposto dalla suddetta società, avverso il provvedimento n. TFM030500357/XXXX di recupero Iva, per l'anno 2002, ad avviso dell'Ufficio, indebitamente rimborsata a quest'ultima ai sensi dell'art. 38bis, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in combinato con l'art. 30, comma 2, lett. c) del medesimo decreto; - in punto di fatto, il giudice di appello ha premesso che:1) con avviso di accertamento n. TFM030500357/XXXX l'Agenzia delle entrate aveva recuperato nei confronti di U. s.r.l. l'Iva, secondo l'Amministrazione, indebitamente rimborsata in relazione all'acquisto, nel 2002, di un complesso industriale dalla V. s.p.a. (poi M. s.r.I.), stipulato tra società collegate (con quote di partecipazione dell'amministratore di U. s.r.l. e dei suoi familiari nel capitale sociale della venditrice) e, in assenza di ragioni economiche giustificative diverse dall'abusiva precostituzione della detraibilità del credito Iva in questione, essendo stato l'opificio acquistato utilizzato da altre aziende, monetarizzato il credito Iva da parte del rappresentante di U. in vista della cessione delle quote detenute nella V. s.p.a. e non essendo stata versata l'Iva da parte della società venditrice, poi fallita; 2) avverso il suddetto avviso di accertamento in recupero Iva, la U. s.r.l. aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Benevento che, con sentenza n. 34/01/201, l'aveva accolto, rigettando previamente l'eccezione di preclusione dell'accertamento del diritto di credito in presenza di condono tombale e ritenendo, nel merito, insussistenti gli estremi di una condotta fraudolenta della società acquirente;3) avverso la sentenza della CTP, l'Agenzia aveva proposto appello riportandosi alle argomentazioni poste a fondamento dell'avviso e dedotte in primo grado; 4) era rimasta contumace la società contribuente; - in punto di diritto, la CTR, come già osservato dal primo giudice, ha ritenuto, per quanto di interesse, che il rimborso Iva era avvenuto secondo i presupposti di legge non potendo il trasferimento immobiliare in questione considerarsi fittizio, in quanto, in disparte la non sufficiente, a tal fine, partecipazione in entrambe le compagini sociali delle medesime persone fisiche: a) il prezzo di vendita era stato effettivamente corrisposto; b) la società V.s.p.a (poi M. s.r.I.) era stata dichiarata fallita sei anni dopo la vendita; c) le avvenute dismissioni, nell'ambito delle ristrutturazioni aziendali, non erano indicative di uno stato di insolvenza; d) nel 2003, la V. aveva riportato ricavi per euro 2.552.007,00, e aveva venduto la propria merce (patatine fritte) per avere cessato l'attività e trasferito la sede in Roma;
- avverso la sentenza della CTR, l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la società contribuente; - il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, secondo comma, e dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall'art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.
Considerato che - preliminarmente va disattesa l'eccezione della società contribuente di inammissibilità per tardività della notifica del ricorso per cassazione; - questa Corte, a sezioni unite, già con la sentenza n. 17352 del 2009, ripercorrendo le posizioni emerse progressivamente nella giurisprudenza negli anni precedenti, aveva affermato esplicitamente il principio secondo il quale "In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell'atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l'onere - anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio - di richiedere all'ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l'esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie"; -sul concetto di "termine ragionevolmente contenuto" entro il quale dovesse essere ripresa la procedura notificatoria, sono nuovamente intervenute, con un recente arresto, le Sezioni Unite (n. 14594 del 2016), secondo le quali "In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa"; - l'attività del richiedente, quindi, da "onere" passa a "dovere", così chiarendo definitivamente il contenuto dei compiti del notificante; inoltre viene quantificato il termine "ragionevolmente contenuto", che viene determinato - in una prospettiva ordinaria (tenuto conto che, in fondo, si tratta di rinnovare una sola delle attività per le quali il termine complessivo è riconosciuto) - nella metà dei termini ex art. 325 c.p.c., ossia, per quanto concerne il ricorso per cassazione, in trenta giorni.
È conservata invero, né poteva essere diversamente, la facoltà per l'interessato di dimostrare che tale dilazione è insufficiente in ragione di circostanze eccezionali, della cui prova resta onerato (Cass. n. 5974 del 2017); -in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della sua notificazione, la disciplina dettata dall'art. 330 c.p.c.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell'indicazione della residenza o della sede e dell'elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dall'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330, comma 1, seconda ipotesi, c.p.c., ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione (Sez. un., n. 14916 del 20/07/2016); - nella concreta vicenda, a fronte della sentenza impugnata depositata in data 4 febbraio 2013 e non notificata - risulta dagli atti: a) che il ricorso per cassazione era stato inoltrato tempestivamente per la notifica a mezzo posta, in data 13 settembre 2013, a U. s.r.I., contumace in appello, presso l'originaria sede legale in Este (PD), Via Ateste n. 36/G; b) che il plico non era stato ivi consegnato per irreperibilità del destinatario;c) che l'Agenzia delle entrate aveva ripreso il processo notificatorio con spedizione, a mezzo posta, del ricorso, in data 10ottobre 2013, a U.s.r.I., presso la sede legale in Ponte (BN) Via Piana; - invero, benché il mancato esito positivo del primo tentativo di notifica, dunque, non sia dipeso da una causa imputabile alla parte richiedente, quest'ultima, tuttavia, ha dimostrato di avere riattivato la procedura notificatoria entro il trentesimo giorno dalla conoscenza - che costituisce circostanza pur sempre a carico probatorio del notificante e che, dunque, in mancanza di diversa prova deve farsi coincidere con la data di attestata irreperibilità del destinatario (19/9/203)-dell'esito negativo del primo tentativo di notifica; -con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 30, 38bis, 54, 55 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, in combinato disposto con l'art. 2697 c.c., per avere la CTR ritenuto valido l'acquisto del complesso industriale in questione - e, dunque, sussistenti i presupposti di legge per il rimborso Iva - senza, da un lato, valutare complessivamente gli elementi presuntivi addotti dall'Ufficio a sostegno dell'elusività dell'operazione commerciale (partecipazione societaria del legale rappresentante di U. nella società venditrice; parziale utilizzo dell'opificio acquistato; assenza di operai dipendenti della società acquirente, ma di una sola impiegata e di un'autista; contabilizzazione della società venditrice di minusvalenze da alienazione; mancato versamento dell'Iva da parte della società venditrice) e, dall'altro, senza fare ricadere, a fronte di tali attendibili riscontri indiziari, sulla contribuente l'onere di provare lo scopo economico reale dell'atto negoziale posto in essere; -premesso che, in realtà, la questione in esame riguarda la insussistenza o meno dei presupposti per la legittima richiesta del rimborso del credito Iva, ai sensi dell'art. 38 bis, comma secondo, del d.P.R. n. 633/1972, profilo, quindi, da inquadrarsi nell'ambito della violazione della norma sopra indicata, piuttosto che in una vicenda di "elusione" che consiste, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte (da ultimo, Cass. sez. V, 18 gennaio 2017, n. 1104) nella preclusione al contribuente di conseguire vantaggi fiscali mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere in un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici materia (v. Cass. n. 24002 del 2018), il motivo si profila inammissibile per difetto di specificità e di autosufficienza; - in base all'art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l'esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l'esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il "decisum" della sentenza gravata (così ad es. sez. 5 n. 17125 del 2007 e sez. 1 n. 4036 del 2011).
In altri termini, l'esercizio del diritto d'impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.
In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un "non motivo", è espressamente sanzionata con l'inammissibilità ai sensi della citata disposizione (così Cass., sez. 5, n. 21296 del 2016; Sez. 6 - 5, n. 187 del 08/01/2014; Sez. 5, n. 17125 del 03/08/2007; sez. 3, n. 359 del 2005 e altre); nella specie, il motivo non menziona alcun passaggio della sentenza impugnata richiamando uno stralcio di altra pronuncia non attinente al "decisum"; -peraltro, "i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall'art. 366, comma 1, c.p.c., nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l'atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza". (Cass. Sez. 5, n. 29093 del 13/11/2018); nella specie, l'Agenzia non riporta in ricorso nemmeno sinteticamente il contenuto dell'avviso di recupero Iva né del richiamato p.v.c. del 23 ottobre 2008 impedendo a questa Corte di verificare il fondamento della proposta censura; - in ogni caso, la censura si profila, altresì, inammissibile in quanto la ricorrente pur denunciando, apparentemente, violazione di legge della sentenza di secondo grado, chiede in realtà a questa Corte di interpretare questioni di mero fatto non censurabili in questa sede mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (Cass. n. 8758/2017; n. 21381/2006); -con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 30,38bis, 54, 55 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, in combinato con l'art. 2697 c.c. per avere la CTR ritenuto che l'erogazione in favore della contribuente del rimborso Iva ai sensi dell'art. 38b1s cit., non consentisse, successivamente, all'Amministrazione finanziaria di procedere al controllo sostanziale della sussistenza del credito d'imposta detraibile; -il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi, avendo la CTR - lungi dal considerare preclusa all'Amministrazione, dopo il rimborso, la verifica sostanziale della sussistenza del credito Iva detraibile - ritenuto- con un accertamento in fatto circa la effettività dell'acquisto del bene ammortizzabile- correttamente disposto il detto rimborso, ai sensi dell'art. 38bis, comma secondo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in combinato con l'art. 30, comma 2, lett. c) del medesimo decreto, in assenza di elementi indiziari sufficienti a concretare una "elusione" della detta normativa; -con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di un punto decisivo e controverso della controversia, per avere la CTR ritenuto sussistenti i presupposti di legge per il rimborso Iva in relazione all'acquisto dell'opificio industriale, senza argomentare in ordine ai fatti specifici allegati dall'Ufficio a sostegno della ritenuta anomalia/elusività dell'operazione economica (partecipazione societaria del legale rappresentante di U. nella società venditrice; parziale utilizzo dell'opificio acquistato; assenza di operai dipendenti della società acquirente; contabilizzazione della società venditrice di minusvalenze da alienazione nelle annualità successive; mancato versamento dell'Iva da parte della società venditrice); - va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 4 febbraio 2013) concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); - nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo, in difetto di principio di autosufficienza, riprodotto in ricorso né il contenuto dell'avviso di recupero Iva in questione né tantomeno del richiamato p.v.c. del 23 ottobre 2008, posto alla base dell'accertamento, dai quali evincere le circostanze specifiche da cui l'Ufficio finanziario aveva desunto l'anomalia dell'operazione negoziale e verificare la loro corrispondenza con quanto denunciato dal medesimo; peraltro, risulta dedotto l'omesso esame non già di un "fatto storico", ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte. - in conclusione, il ricorso va rigettato; - le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo; - non sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell'art. 1,comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Infatti nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l'obbligo di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna l'Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, al pagamento in favore di U. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 7000,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge. Così deciso il 19 settembre 2019.
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