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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Ordinanza n. 5493 del 28 febbraio 2020
Rilevato che:
1. il C. (cui è succeduta l'U.) impugnò innanzi alla CTP di Catania il silenzio opposto dall'Amministrazione finanziaria all'istanza di rimborso di IRES e IRAP, versata per le annualità 2004-2005, sostenendo trattarsi di un indebito per la natura non commerciale dell'ente che, perciò, era esente da imposta, ai sensi dell'art. 8, comma 3, del d.l. n. 90/1990, convertito dalla legge n. 165/1990;
la CTP, con sentenza n. 138/2007, accolse il ricorso e tale decisione venne confermata dalla CTR della Sicilia, con sentenza n. 345/2009, annullata con rinvio giusta ordinanza di questa Corte di legittimità n. 21034/2012;
2. riassunto il giudizio dinanzi al giudice d'appello, da parte dell'U.(nel frattempo subentrata al detto C.), la CTR ha (nuovamente) respinto il gravame dell'Agenzia rilevando, da un lato, la natura non commerciale del C., attestata dall'assenza della capacità di produrre (attraverso l'organizzazione del capitale e del lavoro altrui) un reddito tassabile, come desumibile dal suo statuto e dalla circostanza che l'Ente era finanziato da contributi statali; dall'altro, l'inammissibilità dell'eccezione in senso stretto, sollevata dall'Agenzia, circa l'irrepetibilità delle somme versate, dedotta per la prima volta in appello;
3. l'Agenzia ricorre per la cassazione di questa sentenza della CTR sulla base di tre motivi, ai quali l'U. resiste con controricorso; Considerato che: 1. con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2195 cod. civ., 73, comma 1, lett. b), TUIR, l'Agenzia censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il C. avesse la natura di ente non commerciale, mentre, come attestato dallo statuto dell'Ente, esso svolgeva attività di formazione e didattica, rientrante tra quelle commerciali ai sensi dell'art. 2195 cod. civ.;
2. con il secondo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 8, del d.l. n. 90/1990, l'Agenzia censura la sentenza impugnata per avere violato tale norma che prevede un regime fiscale agevolato a favore dei collegi universitari legalmente riconosciuti, che sono assoggettati alla vigilanza del ministero per le loro finalità, tra i quali non rientrava il detto C., come attestato dall'elenco dei collegi riconosciuti consultabile nel sito web "CO.";
2.1. il primo e il secondo motivo, da esaminare congiuntamente perché pongono un'identica questione giuridica, sono inammissibili; la ricorrente, in realtà, propone la propria ricostruzione della vicenda sostanziale, sovrapponendola al quadro fattuale composto dalla CTR.
Tali rilievi critici, però, superano il limite del vizio della violazione di legge e sono diretti, in modo non consentito, a sollecitare la Corte, cui è demandato esclusivamente il controllo sulla legalità e sulla logicità della decisione (Cass. 24/11/2016, n. 24012), ad un accertamento di fatto - e cioè se il C. avesse o meno i caratteri dell'ente commerciale - già compiuto dal giudice di merito;
3. con il terzo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 8, del d.l. n. 90/1990, l'Agenzia premette che il terzo comma di tale articolo prevede che "non si fa luogo a rimborso di imposte già pagate" e censura la CTR per aveva erroneamente affermato l'inammissibilità dell'eccezione d'irripetibilità delle imposte versate, in quanto, in realtà, la stessa Agenzia aveva tempestivamente fatto valere tale eccezione nell'atto di appello;
3.1. il motivo è infondato; posto che la dedotta irripetibilità delle imposte versate costituisce un fatto impeditivo del diritto al rimborso azionato dalla contribuente, la CTR, nel rilevare l'inammissibilità della doglianza proposta per la prima volta in appello, ha fatto buon governo delle norme (artt. 57, comma 2, 63, comma 4, proc. trib.), per le quali, in appello, non possono essere proposte nuove eccezioni in senso stretto;
4. ne consegue il rigetto del ricorso;
5. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna l'Agenzia delle entrate a corrispondere all'U. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.800,00, a titolo di compenso, oltre a euro 200,00, per esborsi, al 15% sul compenso, a titolo rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori come per legge. Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019
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