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Applicazione della presunzione di distribuzione degli utili ai soci. Cassazione si è espressa a favore dei contribuenti. Ricorso dell’Agenzia viene dichiarato inammissibile.

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Estratto: “la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che la presunzione di distribuzione degli utili ai soci di società a ristretta base sociale opera non solo quando sia accertata tale ristretta base sociale, ma anche quando sia validamente accertata, a carico della società, la sussistenza di ricavi non contabilizzati, che costituisce il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai relativi dividendi (Cass. n. 7174/2002; n. 4695/2002; n. 3254/2000; n. 2390/2000; n. 14006/2003; n. 9519/2009); il motivo d'impugnazione non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che, diversamente da quanto prospetta l'Agenzia, senza per nulla incorrere nell'errore di sovvertire le regole sulla ripartizione dell'onere della prova, conformandosi ai suaccennati principi di diritto, si è limitata a affermare, con estrema chiarezza, che, in difetto dell'accertamento di utili extracontabili realizzati dalla società, a ristretta base partecipativa, non è consentito presumere la distribuzione ai soci dei medesimi (eventuali, ma indimostrati) ricavi occulti”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Ordinanza n. 33044 del 16 dicembre 2019

Rilevato che:

l'Agenzia delle entrate ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza della CTR della Sicilia, menzionata in epigrafe, che, in accoglimento dell'appello della F. Srl, ha riformato la sentenza n. 344/5/13, della CTP di Agrigento che, a sua volta, aveva respinto il ricorso della contribuente avverso l'avviso di accertamento con il quale, da un lato, in seguito alla rideterminazione del reddito di impresa della società, a ristretta base partecipativa, relativo al 2008, in euro 880.315,00, era stato quantificato in euro 44.015,75 l'utile distribuito alla socia A. R. (titolare del 5% del capitale sociale, l'altro socio essendo titolare del residuo 95%), e, dall'altro, previa rettifica della dichiarazione della società, quale sostituto d'imposta, le erano contestate l'omessa applicazione della ritenuta del 12,5% sull'utile distribuito (di euro 44.015,75), per un ammontare di euro 5.501,97, e l'omessa ritenuta del 23%, per un ammontare di euro 878,24, sulle retribuzioni corrisposte (euro 3.818,46); in particolare, il giudice d'appello ha premesso che, nelle società di capitali, gli utili non debbono necessariamente essere ripartiti tra i soci sotto forma di dividendi, ben potendo essere destinati a riserva; nella specie la presunzione (applicata dall'ufficio) di distribuzione degli utili extracontabili tra i soci di una società a ristretta base partecipativa non poteva operare, essendo controverso e contestato che la società avesse conseguito utili non contabilizzati, con la precisazione che, dagli atti di causa, non risultava alcun elemento idoneo a confermare l'affermazione della sentenza di primo grado, secondo cui l'accertamento del reddito di impresa era già stato oggetto di altra pronuncia di primo grado, favorevole all'Amministrazione finanziaria; la contribuente resiste con controricorso;

considerato che:

1. con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 38, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, l'Agenzia censura la sentenza impugnata per avere erroneamente posto a carico dell'Amministrazione finanziaria una prova già desumibile dai riscontri contabili, ferma la considerazione che, nella specie, si è in presenza di una società a ristretta base partecipativa (composta da due soci, titolari, rispettivamente, del 5% e del 95% del capitale sociale) e, ancora, che, in tale evenienza, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, grava sui soci l'onere di dimostrare che gli utili extracontabili non sono stati ripartiti tra di loro; 2. con il secondo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., l'Agenzia censura la sentenza impugnata per avere affermato contra legem che gravi sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare la distribuzione degli utili, con ciò invertendo il principio dell'onere della prova e vanificando la presunzione per la quale l'esistenza di tali utili e la ristretta base partecipativa dell'ente collettivo sono elementi di per sé sufficienti a provare la distribuzione degli utili ai soci;

3. il primo e il secondo motivo del ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili; in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione "pro quota" ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti (Cass. n. 24534/2017; conf.: n. 29412/2017, n. 32959/2018); la Corte (Cass. 11/04/2011, 8207; conf.: n. 2409/2003) ha precisato che: «la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extrabilancio della società, non viola il cd. "divieto di doppia presunzione" in quanto il reddito della società, "una volta giudizialmente definito diviene poi non una presunzione bensì un dato certo, su cui si innesca la diversa presunzione che non riguarda la società bensì altri soggetti, i soci".

Nello stesso senso, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che la presunzione di distribuzione degli utili ai soci di società a ristretta base sociale opera non solo quando sia accertata tale ristretta base sociale, ma anche quando sia validamente accertata, a carico della società, la sussistenza di ricavi non contabilizzati, che costituisce il presupposto per l'accertamento a carico dei soci in ordine ai relativi dividendi (Cass. n. 7174/2002; n. 4695/2002; n. 3254/2000; n. 2390/2000; n. 14006/2003; n. 9519/2009);

nella fattispecie, il motivo d'impugnazione non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata che, diversamente da quanto prospetta l'Agenzia, senza per nulla incorrere nell'errore di sovvertire le regole sulla ripartizione dell'onere della prova, conformandosi ai suaccennati princìpi di diritto, si è limitata a affermare, con estrema chiarezza, che, in difetto dell'accertamento di utili extracontabili realizzati dalla società, a ristretta base partecipativa, non è consentito presumere la distribuzione ai soci dei medesimi (eventuali, ma indimostrati) ricavi occulti;

4. ne consegue l'inammissibilità del ricorso;

5. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

6. rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere Amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l'Agenzia delle entrate a corrispondere alla contribuente le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.300,00, a titolo di compenso, oltre a euro 200,00 per esborsi, al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 24/10/2019

 

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