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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 28334 del 5 novembre 2019
Rilevato che:
La B. s.a.s. ed i soci BM e BF -quest'ultimo con i suoi eredi- hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 658/09/10, depositata il 26.03.2012 dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, che, in accoglimento dell'appello della Agenzia delle Entrate, rigettava integralmente il ricorso originario della contribuente avverso gli avvisi di accertamento notificati alla società ed ai soci per gli anni d'imposta 2005 e 2006, con rideterminazione dei ricavi e conseguentemente delle imposte ai fini Iva ed Irap per la società, e ai fini Irpef per i singoli soci. Hanno riferito che gli atti impositivi, preceduti da una verifica della GdF, erano fondati su un accertamento analitico-induttivo ex art. 39 co. 1 lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, basato sui riscontri dei movimenti di magazzino e sulle affermazioni del legale rappresentante BM. L'Agenzia aveva così preteso di ricostruire sia il numero di stufe vendute "a nero" dalla società, sia i prezzi di vendita. La contribuente, che contestava gli esiti dell'accertamento, aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Udine, che con sentenza n. 17/05/10 aveva ridotto le maggiori imposte accertate, così accogliendo in parte il ricorso. L'appello proposto dall'Ufficio era stato invece accolto dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia con la sentenza ora al vaglio della Corte. I contribuenti censurano la decisione con quattro motivi: con il primo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per non aver avvertito la carenza dei presupposti per procedere all'accertamento con metodo analitico-induttivo; con il secondo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c, perché fondata su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; con il terzo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per essere prive di valore confessorio le dichiarazioni rilasciate dal contribuente (il legale rappresentante della società); con il quarto per nullità della sentenza e per omessa o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., per aver omesso l'indicazione degli elementi desunti dalla dichiarazione del legale rappresentante. Ha chiesto in conclusione la cassazione della sentenza con rinvio o con decisione nel merito della controversia.
Si è costituita l'Agenzia, denunciando l'inammissibilità del ricorso sia per difetto di autosufficienza, sia perché diretta a criticare la decisione in fatto. Nel merito ha contestato la sua fondatezza, chiedendo il rigetto del ricorso.
Comunicata l'udienza in camera di consiglio, la parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c., allegando documentazione attestante l'adesione alla definizione agevolata ai sensi dell'ad 6 del d.l. n. 193 del 2016, chiedendo la declaratoria di cessazione della materia del contendere. Il Collegio si riuniva per la decisione il 26 febbraio 2019 e poi, con nuova convocazione, il giorno 17 settembre 2019.
Considerato che
Pregiudizialmente deve esaminarsi la documentazione allegata con la memoria illustrativa dai contribuenti, che hanno invocato la cessazione della materia del contendere. Tale documentazione è inidonea e insufficiente a definire la controversia. Essa innanzitutto non consente di collegare la richiesta di definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione, cd. rottamazione delle cartelle, agli atti impositivi oggetto del presente giudizio, ossia agli avvisi di accertamento impugnati, a cui si relazionerebbero le cartelle -evidentemente provvisorie- emesse e notificate dall'Agente della Riscossione ai debitori. La documentazione allegata non riproduce le cartelle che i debitori affermano di aver definito in forza del d.l. n. 193 cit., e per l'effetto mancano riscontri del rapporto tra le suddette cartelle e gli avvisi di accertamento oggetto della presente controversia. Ancora più dirimente, in ordine alla ininfluenza della asserita definizione della controversia, è la circostanza che negli atti allegati con la memoria illustrativa non vi è traccia della dichiarazione con la quale i ricorrenti abbiano denunciato la pendenza di giudizi e, soprattutto, abbiano assunto l'impegno espresso alla loro rinuncia (art. 6 co. 2 d.l. n. 193 cit.). Né, infine, risulta che tale documentazione sia stata notificata alla Agenzia delle Entrate e comunque che questa ne abbia avuto conoscenza. In conclusione la documentazione allegata con la memoria è del tutto inidonea alla declaratoria di cessazione della materia del contendere. In via preliminare occorre ora esaminare l'eccezione sollevata dalla Agenzia in riferimento alla inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, per mancata trascrizione «delle parti degli atti di causa dai quali risulterebbero le circostanze in fatto da essi addotte e non valutate o erroneamente valutate dalla CTR.>>. L'eccezione è infondata perché nel ricorso sono riportati integralmente gli atti di causa essenziali a supportare i motivi di censura. Né tale integrale trasposizione di atti da luogo a nullità del ricorso, come pure richiesto dall'Ufficio, per violazione dell'art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., perché, quando la loro riproduzione può essere facilmente isolata ed espunta dall'atto processuale, senza con ciò sacrificare la conformità del contenuto del ricorso al principio di sinteticità, essa supera il filtro dell'autosufficienza in base agli ordinari criteri ed in relazione ai singoli motivi (Cass., Sez. 5, sent. n. 18363 del 2015; ord. n. 12641 del 2017). Non risulta fondato neppure il secondo rilievo di inammissibilità del ricorso sollevato dalla Agenzia, perché i contribuenti non hanno chiesto alla Corte una decisione in merito, ma hanno denunciato violazioni di legge e vizi motivazionali.
Esaminando ora i motivi di ricorso, che possono essere trattati unitariamente perché tra di loro connessi, essi trovano accoglimento nei termini appresso chiariti. Deve intanto escludersi che le modalità di formulazione dei primi tre motivi, con cui si denunciano errores iuris in iudicando, siano inammissibili per omessa indicazione della norma di diritto violata. Questa Corte ha infatti chiarito che ai fini del ricorso per cassazione non è affetta da inammissibilità l'impugnazione che ometta di indicare le norme di legge che si assumono violate, la cui presenza non costituisce requisito autonomo ed imprescindibile del ricorso, ma è solo funzionale a chiarirne il contenuto e a identificare i limiti della censura, sicché la relativa omissione può comportare l'inammissibilità della singola doglianza solo se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme e i principi di diritto asseritamente trasgrediti, precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (cfr. Cass., ord. n. 21819/2017; 25044/2013). Nel caso di specie è palese che la norma di cui si lamenta la violazione è l'art. 2729 c.c., relativa alla disciplina sulle presunzioni. Va del pari chiarito che, al di là della formale invocazione della nullità della sentenza„ il quarto motivo fa riferimento al solo vizio motivazionale. Riconosciuta la regolarità formale dei motivi, con i primi tre i contribuenti si dolgono della inadeguata valutazione degli indizi acquisiti al giudizio, lamentando il malgoverno dei principi sulla prova presuntiva, con il quarto l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. In ordine alla corretta applicazione delle regole sulla prova presuntiva, compete alla Corte di cassazione, nell'esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell'art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (cfr. Cass., ord. n. 10973/2017, Cass., sent. n. 1715/2007). Peraltro, ai fini dell'utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche quando unica, può essere sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertarti dalla amministrazione (Cass., sent. n. 1575/2007), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova. Questa Corte ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico del giudice di merito nella valutazione degli indizi, affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall'altro in vicendevole completamento (ex multis cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l'ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria. Infine, per l'ipotesi dell'unico indizio nell'accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi dell'art. 39 co. 1, lett. d), d.P.P.. n. 600 del 1973, anche di recente si è affermato che il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di maggiori ricavi non dichiarati da un'impresa commerciale può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa (Sez. 5, ord. n. 30803 del 2017; cfr. anche 3276/2018). Quanto al vizio di motivazione la sua deduzione non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno e a l'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., ord. n. 12967/2018; 19547/2017; 17477/2007). Questi in sintesi gli approdi interpretativi in tema di vizio motivazionale ed errore di diritto in ragione del governo delle prove presuntive, la sentenza, non condividendo le motivazioni con le quali il giudice di primo grado aveva confermato la correttezza dell'impianto fondante l'accertamento analitico-induttivo, ma aveva ridotto i ricavi addebitati dall'Ufficio alla società, ha ritenuto corrette le conclusioni della Agenzia, riconoscendo integralmente gli esiti degli atti impositivi. Vi è anche da evidenziare che i contribuenti non proposero alcun appello incidentale avverso la sentenza del giudice provinciale, ma anzi la conferma della sentenza di primo grado, sicché, come peraltro sottolineato dalla Agenzia, su quella pronuncia si è formato il giudicato sia in ordine ai corretto ricorso al modello accertativo analitico-induttivo, sia in riferimento alla quantificazione dei reddito relativo agli anni 2005 e 2006, come determinato dalla CTP. Perimetrati i limiti entro i quali è possibile esaminare i vizi di cui i contribuenti si dolgono, la sentenza impugnata riconosce che l'accertamento si fonda su elementi oggettivi dati dalla consistenza di magazzino «dal loro flusso e dal loro acquisto, per cui riscontrando tali dati con i prezzi indicati nei listino prezzi esposti al pubblico i verificatori non hanno avuto particolare difficoltà a pervenire ad una determinazione senz'altro corretta». Prosegue poi affermando che si è tenuto conto che sui prezzi esposti al pubblico si sia quasi sempre operato uno sconto, «prassi usuale in quel tipo di commercio», sebbene subito dopo ha ritenuto esagerata la considerazione di uno sconto del 50%, valutato come non credibile. A questo punto ha valorizzato le dichiarazioni rese dal legale rappresentante «in modo tale da offrire un riscontro il più aderente possibile alla realtà economica della società, dichiarazioni che però non sono state tenute in considerazione alcuna dai primi giudici, che le hanno ritenute alla stregua di una semplice testimonianza», ignorandone la provenienza dal rappresentante dalla compagine sociale. Le argomentazioni, apparentemente logiche nella loro consequenzialità, sono in realtà contraddittorie, così incidendo tanto sulla ponderata valutazione delle prove presuntive, quanto sulla sufficienza e linearità della motivazione. Intanto costituisce un salto logico incomprensibile affermare prima che l'applicazione di uno sconto sul prezzo di listino della merce sia una "prassi usuale", e poi, dubitando di una scontistica pari al 50%, tornare al prezzo di listino. Ma soprattutto la sentenza mostra suoi limiti argomentativi quando, a fronte della rilevanza attribuita agli indizi desumibili dai flussi di magazzino, ha ritenuto che il quadro indiziario potesse assumere i requisiti della certezza, gravità e concordanza solo in combinazione con le dichiarazioni del legale rappresentante, alle quali fa tuttavia un richiamo del tutto generico. In particolare, corretta la veste giuridica e la forza probatoria di tali dichiarazioni, che non possono porsi sullo stesso piano di una testimonianza (cfr. Cass., 22616/2014; 22122/2010; 13482/2008), il giudice regionale non ha tuttavia fatto alcuno specifico riferimento a quali e quale parte delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società durante le operazioni di verifica siano state valorizzate per definire il quadro indiziario. Nella sentenza manca dunque ogni riscontro del percorso logico e dello sviluppo motivazionale posto a supporto della decisione cui perviene il giudice d'appello. Ciò si traduce nella impossibilità di controllo, da parte del giudice di legittimità, sia delle modalità con le quali abbiano trovato applicazione i principi contenuti nell'art. 2729 c.c. alla fattispecie concreta, ai fini della formazione della prova critica e del buon uso del materiale indiziario, sia del processo logico che assiste la motivazione, sotto il profilo della correttezza giuridica e della sua coerenza logico-formale. In conclusione, nei termini specificati, i motivi di ricorso sono fondati e trovano accoglimento. Considerato che La sentenza va cassata ed il processo va rinviato alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, che in diversa composizione, oltre che sulle spese, provvederà a decidere la controversia nei limiti dell'oggetto dell'appello e in considerazione dei principi affermati.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia ala Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia-Giulia, che in diversa composizione provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il giorno 26 febbraio 2019 e, in seconda convocazione, il giorno 17 settembre 2019.
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