Estratto: “il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c., anche nella previgente formulazione applicabile al caso in esame, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione “.
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Civile, Sez. 5, ordinanza Num. 6042 del 4 marzo 2020.
RILEVATO CHE:
- il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata il 2 novembre
2011, di reiezione dell'appello proposto dall'Ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l'avviso di rettifica dell'i.v.a. dichiarata dalla B & G s.r.l. per l'anno 1994; - dall'esame della sentenza impugnata si evince che con l'atto impugnato era stata contestata l'omessa regolarizzazione di fatture ricevute con aliquota agevolata al 4%, anziché con aliquota ordinaria, e l'indebita detrazione dell'i.v.a. in quanto relativa ad operazioni inesistenti; - la Commissione regionale, dopo aver dato atto che il giudizio proveniva da cassazione, con rinvio, di precedente sentenza di appello, ha disatteso il gravame erariale, evidenziando, da un lato, che le fatture recanti aliquota dell'imposta non corretta erano state rettificate ai sensi dell'art. 26, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e, dall'altro, che dalla documentazione prodotta emergeva l'esistenza delle operazioni contestate; - il ricorso è affidato a quattro motivi; - la B & G s.r.l. non spiega alcuna attività difensiva; CONSIDERATO CHE:
- con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 41, quarto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, per aver la sentenza impugnata ritenuto che sussistessero i presupposti per la rettifica delle fatture, richiesta dall'indicazione di un'aliquota dell'imposta errata, benché gli emittenti delle fatture in oggetto non avessero proceduto alla registrazione delle variazioni;
- evidenzia, in proposito, che, non ricorrendo i presupposti di cui all'art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972, la contribuente doveva provvedere alla regolarizzazione delle fatture nei tempi e nei modi previsti dal previgente art. 41, quarto comma, del medesimo decreto;
- il motivo è infondato;
- l'art. 41, quinto comma, lett. b), d.P.R. n. 633 del 1972 (riformulato dal d.P.R. 29 gennaio 1979, n. 24, e dal d.l. 2 marzo 1989, n. 69, conv. in I. 27 aprile 1989, n. 154, poi abrogato dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 e sostituito dalle disposizioni dell'art. 6 di quest'ultimo), in base al quale il cessionario di un bene o il committente di un servizio è tenuto a «regolarizzare» l'operazione imponibile posta in essere dal cedente o dal prestatore senza emissione di fattura o con fattura irregolare, implica il solo obbligo di verificarne la regolarità formale, con riferimento al dato cronologico della ricezione della fattura «nei termini di legge» ed alla sussistenza dei suoi requisiti essenziali, individuati dall'art. 21, d.P.R. n. 633 del 1972, e non esige invece il controllo sostanziale della corretta qualificazione fiscale dell'operazione, come si desume dalla circostanza che l'esenzione del cessionario/committente dall'irrogazione della sanzione pecuniaria è subordinata al pagamento della «maggiore imposta eventualmente dovuta» proprio in base ai dati risultanti dallo stesso documento (aliquota, ammontare dell'imposta e dell'imponibile) e non a quello dell'intera imposta dovuta in base alla corretta valutazione della qualificazione fiscale dell'operazione (cfr. Cass. 12 dicembre 2014, n. 26183; Cass. 11 settembre 2009, n. 19624);
- pertanto, la Commissione regionale, nel ritenere corretto l'operato della contribuente per il fatto che quest'ultima avesse versato la maggiore i.v.a. dovuta, benché a seguito della variazione dell'imposta effettuata dagli emittenti in epoca antecedente a contestazioni da parte di organi accertatori, si sottrae alla censura formulata;
- con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6, 19 e 21, d.P.R. n. 633 del 1972, e 2697 e 2729 c.c., per aver il giudice di appello ritenuto, con riferimento alla ripresa relativa indetraibilità dell'i.v.a. per operazioni oggettivamente inesistenti, che gli indizi evidenziati dall'Ufficio fossero del tutto generici e privi dei requisiti di gravità precisione e concordanza e che quest'ultimo, cui gravava il relativo onere probatorio, non avesse offerto dimostrazione dell'inesistenza delle operazioni rilevate;
il motivo è inammissibile;
- la Commissione regionale, dopo aver affermato che l'Ufficio fosse onerato della dimostrazione della falsità delle fatture relative alle operazioni in oggetto e che gli elementi dallo stesso addotti fossero privi del carattere della gravità, precisione e concordanza, ha aggiunto che «la società ha dimostrato l'esistenza dei fatti dai quali è scaturita l'effettività del suo diritto, depositando contratti sottostanti le prestazioni fatturati, ricevute dei pagamenti, le fatture indicante acquisti di materiali occorrenti per la realizzazione dell'ufficio e certificati di verifica avanzamento dei lavori», offrendo in tal modo prova «non solo di essere stata reale controparte rapporti riguardanti le operazioni fatturate ma anche che il manufatto oggetto di accertamento è stato realmente costruito giusta foto allegati in copia»;
- lungi dal limitarsi a sostenere che l'Amministrazione finanziaria non avesse provato l'inesistenza delle operazioni, ha accertato l'effettività delle stesse desumendola dalla documentazione, contabile, contrattuale e fotografica, prodotta in giudizio dalla contribuente, ritenuta attendibile e concludente; - la censura, dunque, non coglie la ratio decidendi, nel suo nucleo essenziale;
-con il terzo motivo la parte si duole dell'omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione alla mancata considerazione della valenza probatoria rappresentate dalle schede extracontabili reperite in azienda;
- con l'ultimo motivo di ricorso si critica la sentenza di appello per insufficiente motivazione in ordine a tale circostanza;
- i motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili, in quanto la sentenza ha preso in esame fatto dedotto dall'Ufficio, ma ha ritenuto, all'esito di una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, maggiormente attendibili gli elementi probatori che militavano nel senso dell'effettività delle operazioni contestate;
come noto, infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c., anche nella previgente formulazione applicabile al caso in esame, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (così, Cass. 18 marzo 2011, n. 6288);
- per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
- nulla deve disporsi quanto al governo delle spese del giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale dell'11 dicembre 2019.
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