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L'IDONEITÀ DELLA PERIZIA DI PARTE SPROVVISTA DI VALORE PROBATORIO A FONDARE LA DECISIONE DEL GIUDICE. LA CASSAZIONE DÀ RAGIONE ALLA CONTRIBUENTE.

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L'IDONEITÀ DELLA PERIZIA DI PARTE SPROVVISTA DI VALORE PROBATORIO A FONDARE LA DECISIONE DEL GIUDICE.  LA CASSAZIONE DÀ RAGIONE ALLA CONTRIBUENTE.

Estratto: “(...)l'elaborato tecnico prodotto in giudizio dalla parte al fine di sorreggere la propria tesi difensiva, pur non costituendo un elemento di prova, ha il valore di una motivata opinione sulle questioni controverse (Cass. n. 3864/86), sicché ben può il giudice di merito, nella valutazione di tutti gli elementi sottoposti al suo esame, e sempre che ne dia adeguata ragione, porre a base della sua decisione gli elementi contenuti nella perizia stragiudiziale, anche se impugnata dall'altra parte”.

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Civile, Sez. 5, sentenza Num. 6203 del 5 marzo 2020.

                                                      Fatti di causa

Con sentenza n. 24/08/12 del 13 marzo 2012 la Commissione tributaria regionale di Cagliari, sezione staccata di Sassari, accoglieva l'appello proposto da C.L. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Sassari che ne aveva respinto il ricorso avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate di Tempio Pausania, ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. b), d.P.R. n. 600 del 1973, tramite la rettifica delle rimanenze finali, recuperava per l'anno 2005 un maggior imponibile di euro 64.353 ai fini Irpef, contributi Inps ed Irap.

La CTR, respinta preliminarmente l'eccezione riguardante la mancata notifica del processo verbale di accertamento, osservava nel merito che l'Ufficio aveva applicato in modo troppo rigido sia l'art. 109, comma 2, lett. a), sia l'art. 92, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, in quanto nel riaccertamento delle rimanenze non aveva tenuto conto di tutte le componenti che concorrono a determinare in modo reale ed attendibile il valore delle stesse.

L'Ufficio, infatti, appurato l'errore contabile del ricorrente, che per un'errata applicazione dell'art. 109 aveva contabilizzato come ricavi ai fini delle imposte dirette per l'esercizio 2005 la somma di euro 215.000, già conteggiata nel 2004 come acconto ricevuto in relazione alla cessione del fabbricato poi avvenuta nel 2005, avrebbe dovuto comminare esclusivamente una sanzione per irregolarità a carico del contribuente.

Nella stessa perizia di parte, prodotta dal contribuente, risultava del resto chiaramente che l'abnorme accertamento del reddito trovava giustificazione solo con la incompleta individuazione e valutazione delle rimanenze, sicché, esaminando i vari quadri esplicativi riportati nella relazione, con l'inserimento di tutte le voci (costo del terreno permutato, costi sostenuti nei vari anni, beni ceduti a decorrere dal 2005), le conclusioni dell'Ufficio andavano totalmente ribaltate a favore del contribuente.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione affidato a due mezzi l'Agenzia delle Entrate.

Resiste il contribuente mediante controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato affidato ad un solo motivo. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso principale l'Agenzia si duole della violazione degli artt. 109, comma 2, lett. a), e dell'art. 92, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., sostenendo che nell'anno 2004 il ricorrente non aveva concretamente stipulato alcun atto di vendita di immobili, avendo tuttavia ricevuto, indicandoli come ricavi nella dichiarazione, degli acconti relativi ad atti di vendita stipulati nell'anno 2006. Tale comportamento, prosegue la ricorrente, violativo dell'art. 109, comma 2, lett. a), cit. avrebbe determinato una scorretta deduzione dei costi: poiché infatti nell'anno 2004 non era stato realizzato alcun ricavo, la parte non avrebbe potuto dedurre alcun costo, giusta il principio della corrispondenza tra costi e ricavi, sicchè quest'ultima avrebbe dovuto iscrivere l'importo dei costi nel valore delle rimanenze finali al 31.12.2005 e rinviarne contabilmente la deduzione, con un risconto attivo, al momento di realizzazione dei correlativi ricavi, vale a dire nell'anno di stipula degli atti di vendita.

1.1 II motivo è inammissibile.

1.2 Come si ricava dalla sentenza impugnata, l'avviso di accertamento trae origine da una rideterminazione delle rimanenze finali rispetto a quelle dichiarate, con una differenza quantificata dall'Ufficio in euro 225.955, acquisita a tassazione come ricavo non dichiarato.

1.3 L'ufficio, infatti, accertato che la ditta ricorrente per l'anno 2005 aveva erroneamente dichiarato i ricavi non conteggiando un importo già registrato nel 2004 e riferito ad alcune fatture relative ad acconti ricevuti dalla Confidi Commercio in relazione alla vendita di alcuni fabbricati, il cui trasferimento di proprietà risultava da atto pubblico stipulato nel 2005, aveva provveduto ad effettuare un accertamento in maniera analitica ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. b) d.P.R. n. 600 del 1973, rideterminando dunque le rimanenze finali. 1.4 Così procedendo, tuttavia, nel riaccertamento delle rimanenze, l'Ufficio non aveva tenuto conto di tutte le componenti che concorrono a determinare il reale ed attendibile valore delle stesse, in quanto il valore era stato calcolato in base al costo del fabbricato in via presunta, con riferimento alla metratura delle varie unità immobiliari, escludendo inspiegabilmente, sia dalle rimanenze iniziali che da quelle finali, i costi sostenuti per l'acquisizione del terreno su cui era sorto il fabbricato permutato mediante atto notarile del 2002.

1.5 Riguardo a tali profili la doglianza svolta dalla ricorrente non muove specifiche censure sulle conclusioni tratte dal giudice di appello, giacché non contrappone argomentazioni antitetiche a quelle che supportano la decisione impugnata.

1.6 Premesso che la vicenda risulta sostanzialmente analoga a quella, tra le stesse parti, decisa da Cass. n. 18427/17 (che a sua volta richiama, per una fattispecie simile, Cass. n. 4393/08), si osserva che la ricorrente ha evidenziato che nel corso del 2004 la parte non aveva stipulato alcun atto di vendita, avendo solo ricevuto, indicandoli come ricavi nella dichiarazione, degli acconti relativi ad atti di vendita stipulati solamente nell'anno 2006, tenendo dunque un comportamento difforme dall'art. 109, comma 2, lett. a), d.P.R. n. 917 del 1986; pertanto, considerato il mancato conseguimento dei ricavi, la ditta non avrebbe potuto procedere alla deduzione di alcun costo relativo alla realizzazione dei fabbricati, ma avrebbe dovuto iscriverne l'importo tra le rimanenze finali al 31.12.2005 e rimandarne contabilmente la deduzione al momento della realizzazione dei correlativi ricavi, cioè al momento della stipulazione degli atti di vendita.

1.7 In proposito si osserva che, posto che gli acconti non sono ricavi, in quanto, ai sensi secondo comma dell'art. 109 cit., "ai fini della determinazione dell'esercizio di competenza: a) i corrispettivi delle cessioni si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei beni si considerano sostenute, alla data (.4 della stipulazione dell'atto per gli immobili", i giudici di appello hanno correttamente inserito gli importi in questione nel meccanismo valutativo predisposto dall'art. 92, comma 1, d.P.R. n. 917 del 1986, ponendoli in aumento alle rimanenze finali e quindi contrapponendoli alle rimanenze iniziali (costituite dalle rimanenze dell'anno precedente), censurandone altresì l'incompleta individuazione e valutazione da parte dell'Ufficio che non aveva nemmeno tenuto conto, trascurando il costo del terreno permutato, di tutte le componenti che concorrono a determinare il maniera reale il valore delle stesse.

1.8 Su quest'ultimo aspetto la ricorrente si limita ad affermare che i costi di costruzione di alcuni fabbricati ceduti in virtù della permuta sarebbero stati considerati interamente deducibili nell'anno oggetto dell'accertamento cioè nel 2004, ma l'argomentazione è carente di autosufficienza, non avendo essa riprodotto alcun atto (neppure l'avviso di accertamento) sì da consentirne l'esame da parte della Suprema Corte; del resto neppure vi è certezza che i costi, ai quali la ricorrente fa riferimento, corrispondano alle voci che, secondo la CTR, sarebbero state trascurate dall'Ufficio (il giudice di appello, infatti, ha censurato la mancata considerazione dei costi "sostenuti per l'acquisizione del terreno su cui è sorto Io stabile").

2. Con il secondo motivo l'Agenzia lamenta la manifesta illogicità e carenza di motivazione, ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. avendo la sentenza impugnata posto a fondamento della decisione una perizia di parte, alla quale non potrebbe essere attribuito alcun valore probatorio.

2.1 Il motivo è inammissibile.

2.2 Premesso che la ricorrente, nel contestare i contenuti della relazione (reputandoli "smentiti dalla ricostruzione delle rimanenze e dei costi effettuate dall'Ufficio"), non riproduce il contenuto della contestata relazione tecnica (difettando il motivo, dunque, di autosufficienza), va in ogni caso osservato che l'elaborato tecnico prodotto in giudizio dalla parte al fine di sorreggere la propria tesi difensiva, pur non costituendo un elemento di prova, ha il valore di una motivata opinione sulle questioni controverse (Cass. n. 3864/86), sicché ben può il giudice di merito, nella valutazione di tutti gli elementi sottoposti al suo esame, e sempre che ne dia adeguata ragione, porre a base della sua decisione gli elementi contenuti nella perizia stragiudiziale, anche se impugnata dall'altra parte.

2.3 Nel caso in esame, la CTR, lungi dal condividere in modo acritico la perizia di parte, ha esaustivamente motivato le ragioni della propria adesione, frutto di una sostanziale coerenza tra la ricostruzione dei fatti autonomamente operata e le conclusioni esposte dal consulente, seguendo un procedimento logico che non risulta adeguatamente contestato dalla ricorrente, che, semmai, si è limitata a contrapporre una propria ricostruzione delle rimanenze difforme da quella accertata dal giudice di merito e dal perito.

3. La sentenza impugnata ha, dunque, correttamente deciso la questione ed è, pertanto, immune dalle censure sollevate.

4. Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato del contribuente, fondato sulla nullità dell'atto impugnato in quanto non preceduto da rituale notifica del p.v.c.

5. Le spese del giudizio di legittimità vanno regolate in ragione del principio della soccombenza, come da dispositivo.

                                                              P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.700

per compensi, oltre ad  200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed agli accessori come per legge.

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