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VIOLAZIONE DELL'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE. CONDIZIONI E LIMITI. UN CASO IN CUI I GIUDICI HANNO RIGETTATO IL RICORSO DEL FISCO PER AVER OMESSO DI RIPORTARE NELL'ATTO DI IMPUGNAZIONE L'AVVISO DI ACCERTAMENTO.

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VIOLAZIONE DELL'OBBLIGO DI MOTIVAZIONE. CONDIZIONI E LIMITI. UN CASO IN CUI I GIUDICI HANNO RIGETTATO IL RICORSO DEL FISCO PER AVER OMESSO DI RIPORTARE NELL'ATTO DI IMPUGNAZIONE L'AVVISO DI ACCERTAMENTO.

Estratto: Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella “motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione» (Cass. sez. un., n. 8053 del 2014; Cass. n. 11892 del 2016), nella specie, il motivo si profila inammissibile, non avendo la ricorrente, in difetto del principio di autosufficienza, riportato in ricorso l'avviso di accertamento al fine di permettere a questa Corte di verificare la fondatezza della censure, anche in ordine alla asserita "autonoma" contestazione dell'Ufficio circa la ripresa di costi ritenuti indebitamente dedotti in relazione ad operazioni inesistenti”.

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Civile, Sez. 5, ordinanza Num. 6869 del 11 marzo 2020.

Rilevato che -con sentenza n. 127/64/12 depositata in data 18 settembre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di R.D. avverso la sentenza n. 171/02/10 della Commissione tributaria provinciale di Bergamo che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta contribuente avverso l'avviso di accertamento R000XXb00136/XX con il quale l'Ufficio, ai fini imposte dirette e Iva, per l'anno 2005, aveva contestato nei confronti di quest'ultima, quale agente immobiliare in contabilità semplificata - a seguito di indagini bancarie ai sensi degli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 - un maggiore reddito imponibile anche con riferimento alla impresa a tassazione di costi indebitamente dedotti in relazione ad assunte operazioni fittizie;

- la CTR- confermando la sentenza di primo grado che aveva ridotto il reddito imponibile in euro 315.948,1)- in punto di diritto, ha osservato che, a fronte dei copiosi riscontri probatori di natura documentale (doc. 10 fasc. 10grado) effetti dal contribuente il quale aveva dimostrato le valutazioni del giudice di prime cure, l'Ufficio non aveva rilevato nulla a conferma dei propri assunti;

-avverso la sentenza della CTR, l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi; rimane intimata la contribuente;

- il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, secondo comma, e dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall'art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.

Considerato che -con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR- nell'affermare che, a fronte dei copiosi riscontri probatori forniti dalla contribuente, l'Ufficio non aveva rilevato nulla a conferma dei propri assunti- omesso di argomentare in ordine alla puntuale contestazione mossa nei gradi di merito da parte dell'Ufficio circa la concludenza probatoria della documentazione allegata dalla contribuente;

-il motivo è inammissibile;

-va ribadito che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 18 settembre 2012) concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vé le a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell'art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. e dell'art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015). Nella specie, il motivo è inammissibile, in quanto la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, essendo stato, peraltro, dedotto l'omesso esame non già di un "fatto storico", ma bensì di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

- con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CTR ritenuto illegittimo l'accertamento bancario in questione, ancorché l'Ufficio avesse dedotto, nei gradi di merito, il mancato assolvimento da parte della contribuente - al fine di superare la presunzione legale (relativa) di imputazione a ricavi dei prelevamenti e dei versamenti -dell'onere di fornire la prova liberatoria analitica in relazione ad ogni singola movimentazione e non già una giustificazione basata su presunzioni semplici;

- il motivo è infondato; - va, al riguardo, ricordato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'art. 32, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi. A fronte di detta presunzione legale il contribuente è onerato di fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice, il quale è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo (Cass. n. 19971 del 2016; Cass. n. 22502 del 2011); la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari ad operazioni imponibili si correla, infatti, ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità che il contribuente si avvalga del conto corrente bancario per effettuare rimesse e prelevamenti inerenti all'esercizio dell'attività d'impresa, onde alla presunzione di legge (relativa) non può contrapporsi una mera affermazione di carattere generale, né è possibile ricorrere all'equità (Cass. n.13035 del 2012); - in tema di IVA, ed al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2 (in virtù della quale le movimentazioni di denaro, nella specie bancarie, risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio si presumono conseguenza di operazioni imponibili), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell'affluire di somme sui conti correnti, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni ovvero dell'estraneità delle stesse alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale (Cass. n.4829 del 2015; Cass. n. 21303 del 2013; Cass. 4829/2015);

- in tal senso si è espressa questa Corte (Cass. Sent. Sez. 5 Num. 26111/2015) ritenendo che debbano essere indicati e dimostrati dal contribuente la provenienza e la destinazione dei singoli pagamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti attivi e passivi, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti e dei prelievi (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 26692 del 06/12/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 20199 del 24/09/2010; id. Sez. 5, Sentenza n. 16650 del 29/07/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 26173 del 06/12/2011;con riferimento all'art. 32 Dpr n. 600/73 in materia di imposte sui redditi; id. Sez. 5, Sentenza: n. 15217 del 12/09/2012; id.

Sez. 5, Sentenza n. 1418 del 22/01/2)13; id. Sez. 5, Ordinanza n. 6595 del 15/03/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 21303 del 18/09/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 20668 del 01/1C/2014);

-nella specie, a fronte della censura formulata dall'Ufficio nell'atto di appello circa il necessario assolvimento da parte della contribuente per superare la presunzione legale di imputazione ai ricavi delle movimentazioni bancarie non giustificate - dell'onere di fornire la prova contraria liberatoria dimostrando la riconducibilità di ogni singola movimentazione del conto ad attività estranee all'impresa, la CTR in conformità ai suddetti principi - con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità ha affermato che, a fronte dei copiosi riscontri probatori di natura documentale (doc. 10 fascicolo 1° grado) offerti dal contribuente il quale aveva dimostrato le valutazioni del giudice di prime cure, l'Ufficio nulla aveva rilevato a conferma dei propri assunti; al riguardo, nella memoria di controdeduzioni in appello (pag. 1CI del ricorso) la contribuente aveva dedotto di avere provveduto in modo analitico a ricostruire la maggior parte delle movimentazioni negli allegati del doc. 10 al ricorso, operazione rispetto alla quale l'Agenzia delle entrate si era limitata ad opporre un giudizio di genericità senza contestare voce per voce la puntuale attività di ricostruzione dei detti documenti; ogni altra argomentazione sottesa al motivo tende ad una inammissibile rivisitazione da parte di questa Corte della valutazione di merito operata dal giudice di appello;

-con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell'art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, per difetto assolato di motivazione in ordine al motivo di appello con il quale l'Ufficio aveva dedotto l'omessa pronuncia della CTP in ordine alla ripresa dei costi - costituente "capo autonomo" dell'avviso di accertamento in questione - ritenuti indebitamente dedotti in relazione a fatture passive per operazioni inesistenti;

- premesso che a seguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012 convertito dalla legge n. 134 del 2012) è denunciabile in cassazione - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. per violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.- «solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella “motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione» (Cass. sez. un., n. 8053 del 2014; Cass. n. 11892 del 2016), nella specie, il motivo si profila inammissibile, non avendo la ricorrente, in difetto del principio di autosufficienza, riportato in ricorso l'avviso di accertamento al fine di permettere a questa Corte di verificare la fondatezza della censure, anche in ordine alla asserita "autonoma" contestazione dell'Ufficio circa la ripresa di costi ritenuti indebitamente dedotti in relazione ad operazioni inesistenti;

- in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

- nulla sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasta intimata la contribuente,

                                                       P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; Così deciso in Roma, in data 14 gennaio 2020.

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