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DECADENZA DEL POTERE DI ACCERTAMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA E INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE DA PARTE DEI GIUDICI. RIGETTATO IL RICORSO DEL FISCO

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DECADENZA DEL POTERE DI ACCERTAMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA E INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE DA PARTE DEI GIUDICI. RIGETTATO IL RICORSO DEL FISCO.

Estratto: «non può ritenersi ammessa un'operazione ermeneutica (...) che, sia pure attraverso una interpretazione logico-sistematica, si spinga oltre la lettera della legge, nella specie ritenendo spettante all'Amministrazione un più ampio termine per l'accertamento in relazione ad un tributo (IVA) per il quale tale più ampio termine non è stato espressamente previsto, dovendo evidenziarsi che in relazione a norme eccezionali o comunque di "stretta interpretazione", anche l'esegesí logico-evolutiva (ed eventualmente quella costituzionalmente orientata) sono precluse se, operando non difformemente dalla interpretazione analogica, conducano ad una estensione della sfera di operatività della norma interpretata ad ipotesi non sussumibili nel relativo specifico significato testuale (v. in tal senso la già citata s.u. ord. n. 11373 d 2015). Né peraltro la diversa disciplina riservata a tributi differenti con riguardo alla proroga del termine di decadenza dall'accertamento potrebbe giustificare un dubbio (peraltro neppure prospettato dalla parte interessata) di illegittimità costituzionale della norma in esame, posto che eventuali dissimmetrie nella disciplina di tributi diversi non potrebbero ritenersi irragionevoli o ingiustificate proprio in ragione della indubbia differenza tra i suddetti tributi con tutte le relative conseguenze sotto diversi profili.»

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Civile, Sez. 5, ordinanza Num. 7289 del 16 marzo 2020-

Rilevato che:

L'Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza n. 17/01/2011, depositata dalla Commissione tributaria regionale della Sardegna il 18.02.2011, con la quale, in riforma della decisione di primo grado, era annullato l'avviso di liquidazione della maggiore imposta sul valore aggiunto, notificato a S.M., applicata all'acquisto di una abitazione, originariamente fruendo della tassazione con aliquota agevolata del 4%.

Ha riferito che il contribuente aveva acquistato una unità immobiliare, usufruendo della tassazione agevolata per la "prima casa", determinata nella misura del 4% secondo quanto previsto nella Tabella A, parte seconda, n. 21, allegata al d.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, versandosi nelle condizioni previste dal d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, Tariffa, art. 1, nota II bis.

L'unità abitativa, acquistata con atto registrato 1'1.08.2002, era stata ceduta prima del quinquennio con atto registrato il 14.07.2003, senza provvedere nella successiva annualità all'acquisto di una nuova abitazione.

Accertata la decadenza del contribuente dalla fruizione dell'aliquota agevolata,l'Amministrazione finanziaria in data 26.01.2009 aveva notificato l'avviso di liquidazione dell'imposta ad aliquota ordinaria.

Era seguito il contenzioso, con il quale lo S. aveva contestato all'Agenzia delle entrate la decadenza dal potere di liquidazione perché decorso il triennio previsto dall'art. 76 del d.P.R. n. 131 del 1986.

L'Amministrazione di contro aveva invocato l'applicabilità della proroga biennale dei termini, prevista dall'art. 11, commi 1 e 1 bis, I. n. 289 del 27 dicembre 2002.

Con sentenza n. 23/04/2010 la Commissione tributaria provinciale di Cagliari aveva rigettato il ricorso dello S., ritenendo inapplicabile la suddetta proroga.

Nel successivo giudizio di appello, introdotto dal contribuente, la Commissione tributaria regionale, con la pronuncia ora oggetto di ricorso, aveva accolto l'impugnazione, annullando l'atto impositivo.

In sintesi il giudice regionale ha ritenuto che la lettura della norma esclude l'applicazione della proroga biennale dei termini d'accertamento alle ipotesi di recupero della tassazione ordinaria nelle ipotesi di decadenza per mancato rispetto del termine quinquennale entro il quale l'immobile non deve essere rivenduto o, se rivenduto, deve acquistarsi entro l'anno dalla cessione altro immobile destinato a prima casa.

L'Agenzia delle entrate censura con unico motivo la sentenza, dolendosi della violazione e falsa applicazione dell'art. 11, commi 1 e 1 bis, I. n. 289 del 27 dicembre 2002, e dell'art. 76, d.P.R. n. 131 del 26 aprile 1986, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per aver erroneamente escluso l'applicabilità al caso di specie della proroga biennale dei termini di accertamento.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale provvedimento.

Lo S. , cui risulta regolarmente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi.

Considerato che Il motivo con il quale l'Agenzia ha lamentato l'error iuris in iudicando, in cui sarebbe incorsa la Commissione regionale, escludendo l'applicabilità della proroga biennale dei termini di accertamento dell'imposta di registro dovuta, prevista dall'art. 11, commi 1 e 1 bis, I. n. 289 del 2002, è infondato, ancorchè la motivazione va corretta ai sensi dell'art. 384, quarto comma, c.p.c.

Il giudice d'appello ha sostenuto che la proroga dei termini riguardava le sole ipotesi di rettifica e liquidazione delle maggiori imposte relativamente ai "valori dichiarati dei beni" oppure agli "incrementi di valore assoggettabili a valutazione".

Ha ritenuto che da tale fattispecie esulava invece l'ipotesi del disconoscimento dell'agevolazione fiscale, applicata ad un atto giuridico relativamente ad un bene, il cui valore dichiarato non è messo in discussione dall'Amministrazione finanziaria, che al contrario, fermo quel valore, si sia limitata a constatare il venir meno dei presupposti per l'applicazione dell'aliquota agevolata per fatto del contribuente, così che questi decade dal beneficio stesso. L'interpretazione discriminatoria, ai fini dell'applicabilità della proroga del termine biennale di accertamento, è stata in verità disattesa dalla giurisprudenza di legittimità, che l'ha invece ritenuta applicabile, pur in assenza di un espresso richiamo, nel successivo comma 1 bis, anche ai termini di rettifica e liquidazione delle maggiori imposte, conseguenti alla decadenza delle agevolazioni, in ragione della piena assimilazione, da parte del legislatore, tra le violazioni delle disposizioni agevolative e di quelle relative all'enunciazione del valore degli immobili, sicché non si giustificherebbe un diverso trattamento (Cass., 23222/2015, proprio in tema di acquisto della "prima casa").

Sennonché l'orientamento giurisprudenziale ora citato riguarda l'imposta di registro, laddove il caso di specie è relativo non già a tale imposta, ma all'Iva. Ebbene, con riferimento a tale ultima imposta, il giudice di legittimità ha affermato che in tema di agevolazioni per l'acquisto della prima casa, il termine di cui all'art. 76, comma 1 bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta non può essere prorogato, ai sensi dell'art. 11, comma 1, della I. n. 289 del 2002, per le violazioni concernenti la fruizione dell'IVA agevolata al 4%, in quanto l'art. 11 cit. fa espresso riferimento solo all'imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni, nonché sull'incremento di valore degli immobili, sicché, trattandosi di disposizione derogatoria di termini di decadenza, e, dunque, di stretta interpretazione, non è ammissibile, neppure attraverso una interpretazione logico-sistematica, un'operazione ermeneutica intesa ad assegnare all'Amministrazione finanziaria un più ampio termine per l'accertamento di un tributo per il quale esso non è espressamente previsto, senza che la diversa disciplina riservata a tributi differenti possa ritenersi irragionevole (Sez. U, 18574/2016; e successivamente cfr. 10214/2018). Queste conclusioni sono state raggiunte dalle Sezioni unite a composizione di un contrasto, emerso nella stessa giurisprudenza di legittimità, relativamente alla estensione della proroga biennale per cui è causa alle ipotesi di Iva applicata con aliquota agevolata del 4% per l'acquisto della "prima casa".

Si è in particolare affermato che «..non può ritenersi ammessa un'operazione ermeneutica (quale quella attuata dalla giurisprudenza richiamata in relazione al primo degli orientamenti sopra esposti) che, sia pure attraverso una interpretazione logico-sistematica, si spinga oltre la lettera della legge, nella specie ritenendo spettante all'Amministrazione un più ampio termine per l'accertamento in relazione ad un tributo (IVA) per il quale tale più ampio termine non è stato espressamente previsto, dovendo evidenziarsi che in relazione a norme eccezionali o comunque di "stretta interpretazione", anche l'esegesí logico-evolutiva (ed eventualmente quella costituzionalmente orientata) sono precluse se, operando non difformemente dalla interpretazione analogica, conducano ad una estensione della sfera di operatività della norma interpretata ad ipotesi non sussumibili nel relativo specifico significato testuale (v. in tal senso la già citata s.u. ord. n. 11373 d 2015). Né peraltro la diversa disciplina riservata a tributi differenti con riguardo alla proroga del termine di decadenza dall'accertamento potrebbe giustificare un dubbio (peraltro neppure prospettato dalla parte interessata) di illegittimità costituzionale della norma in esame, posto che eventuali dissimmetrie nella disciplina di tributi diversi non potrebbero ritenersi irragionevoli o ingiustificate proprio in ragione della indubbia differenza tra i suddetti tributi con tutte le relative conseguenze sotto diversi profili.» (Sez. U, cit.).

Ne discende che nel caso di specie, non trovando applicazione il termine di proroga, l'Amministrazione era decaduta dal potere di accertamento.

Il ricorso va dunque rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato.

                                                       P.Q.M.

 La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, il giorno 18 dicembre 2019

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