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Civile, Sez. 5, ordinanza Num. 7655 del 2 aprile 2020.
Rilevato che:
1. A.G. Soc. C. E. PA ricorre, sulla base di tre motivi, nei confronti dell'Agenzia delle entrate, che resiste con atto di costituzione, ai sensi dell'art. 370, primo comma, cod. proc. civ., per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, indicata in epigrafe, che - in controversia riguardante l'impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRES, IRAP e IVA, per l'anno d'imposta 2004, la plusvalenza (euro 270.490,00) derivante dalla cessione a titolo oneroso di un terreno edificabile, avvenuta nel 2004, desunta dall'Ufficio sulla base del "valore normale" del cespite (euro 1.070.490,00) - ha riformato la sentenza di primo grado, favorevole alla contribuente;
2. la CTR è pervenuta a tale conclusione: innanzitutto, ritenendo applicabile il criterio del "valore normale" del bene, utilizzato dall'erario per la determinazione del prezzo di cessione, in ragione dell'inefficacia retroattiva della legge n. 88/2009 (Legge Comunitaria 2008), che aveva abrogato l'art. 35, del d.l. n. 223/2006 (entrato in vigore il 4/07/2006), convertito, con modifiche, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, per il quale l'infedele dichiarazione, ai fini delle imposte dirette e indirette, può essere legittimamente desunta dall'organo accertatore, in forza di una presunzione legale, sulla base della differenza tra prezzo dichiarato e "valore normale" del bene; in secondo luogo, ritendendo che tale criterio fosse suffragato, nella specie, dall'analogo risultato derivante dall'applicazione del c.d. "investimento sostitutivo", ossia ipotizzando la destinazione del medesimo capitale, impiegato per l'acquisto del terreno a scopo edificatorio, all'acquisto di BOT, protratto per un periodo pari alla durata dell'investimento immobiliare (anni 1993/2004); in conclusione, dichiarando di non condividere l'argomentazione della CTP di Milano, secondo la quale la mancanza di remuneratività del prezzo di cessione dichiarato (euro 800.000,00) - rispetto a quello di acquisto (risalente al 1993), maggiorato dei costi sostenuti dalla proprietà nel successivo decennio - sarebbe stata giustificata dalla riduzione dell'indice di edificabilità del bene, che aveva indotto la Cooperativa ad abbandonare l'iniziale progetto edilizio;
Considerato che: 1. con il primo motivo del ricorso, denunciando, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 24, della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Legge Comunitaria 2008), di abrogazione della presunzione legale di cui all'art. 35, commi 2 e 3, del d.l. n. 223/2006, del "valore normale" per l'accertamento del prezzo delle compravendite immobiliari, la ricorrente censura la decisione della CTR che avrebbe erroneamente fondato il proprio convincimento sulla ravvisata irretroattività della legge Comunitaria, nonché, per converso, sull'applicazione retroattiva della presunzione legale del "valore normale", di cui al d.l. n. 223/2006, entrato in vigore nel 2006, ad una fattispecie concreta (la detta compravendita del terreno) risalente al 2004;
2. con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 54, secondo comma, ultimo periodo, del d.P.R. 633/1972, 39, primo comma, lett. d), ultimo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, in tema di rilevanza del "valore normale" come mera presunzione semplice del prezzo di cessione del bene, in assenza di una specifica norma che attribuisse al medesimo criterio il rango di presunzione legale, la ricorrente censura l'errore di diritto in cui sarebbe incorsa la CTR nel ritenere legittimo l'accertamento della plusvalenza, ai fini delle imposte dirette e indirette, esclusivamente in ragione del "valore normale" (o di mercato) del bene, in assenza di ulteriori elementi di prova;
3. con il terzo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l'omessa o, comunque, carente motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ravvisata irragionevolezza e antieconomicità del comportamento della ricorrente, si censura il vizio del percorso argomentativo della sentenza della CTR che non avrebbe considerato che l'interesse della società all'investimento (la cui dismissione, in ogni caso, non aveva causato alcuna minusvalenza) era venuto meno dopo che l'intervento edilizio (per i mutati indici di edificabilità del terreno) aveva perso il carattere di edilizia economica e popolare;
4. i tre motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati; per un verso, in base al costante e condivisibile indirizzo della Corte, ribadito anche di recente (Cass. 21/12/2018, n. 33261) le presunzioni legali relative di cui agli artt. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, come introdotte dal d.l. n. 223 del 2006, conv. dalla I. n. 248 del 2006, secondo cui, in caso di cessioni aventi ad oggetto beni immobili, l'importo dei ricavi ai fini delle imposte dirette, o l'ammontare delle operazioni imponibili ai fini IVA, si presumono corrispondenti al "valore normale" del bene immobile ceduto, non hanno efficacia retroattiva, come espressamente disposto dall'art. art. 1, comma 265, della I. n. 244 del 2007, con la conseguenza che, per gli atti di compravendita di immobili anteriori alla data del 4 luglio 2006, lo scostamento dei corrispettivi dichiarati rispetto al "valore normale" dei cespiti, non costituisce una presunzione legale relativa di percezione di un maggior corrispettivo, bensì una presunzione semplice, da valutare unitamente ad altri elementi che ne confermino la gravità, precisione e concordanza; per altro verso, per il radicato indirizzo della Corte (Cass. 4/04/2019, n. 9454), la legge n. 88/2009 (Legge Comunitaria 2008): (a) con la riformulazione dell'art. 54, comma 3, del d.P.R. n. 633/1972, ha eliminato, ai fini IVA, la stima basata sul "valore normale" nelle transazioni immobiliari (art. 24, comma 4); (b) riscrivendo anche il comma 1, dell'art. 39, del d.P.R. 600/1973, ha eliminato, anche per le imposte dirette, tale metodo estimativo (art. 24, comma 5); ovverosia, ha "cancellato" ciò che era stato "aggiunto" dal d.l. n. 223/2006; la novella ha effetto retroattivo in considerazione della sua finalità di adeguare l'ordinamento tributario interno a quello comunitario; sicché la prova dell'esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (Cass. 20429/2014; 9474/2017; 11439/2018), secondo ordinari criteri di accertamento analitico/induttivo (39 TUIR), laddove vi sia stata verifica fiscale (54, comma 2, decreto IVA); l'art. 273 della direttiva CE 2006/112/CEE non esclude che l'imponibile IVA possa essere accertato induttivamente (GCUE, C. 648/16), dovendo gli Stati membri assicurare l'integrale riscossione del tributo armonizzato e l'efficacia della lotta contro l'evasione (GCUE, C. 576/15 e C. 524/15); poste tali premesse normative, è palese l'errore di diritto della CTR che, in sostanza, ha riconosciuto la legittimità dell'accertamento fiscale sulla base del mero scostamento tra il prezzo dichiarato di cessione del terreno e il suo "valore normale", in assenza di altri elementi logici, circostanziali o statistici che confermassero la gravità, precisione e concordanza di tale unico indice presuntivo (Cass. 29/01/2019, n. 2482); da un altro punto di vista, è il caso di chiarire che il criterio del c.d. "investimento sostitutivo" - consistente nell'ipotetica destinazione del medesimo capitale, impiegato per l'acquisto del terreno a scopo edificatorio, all'acquisto di BOT, protratto per un periodo pari alla durata dell'investimento immobiliare (anni 1993/2004) - valutato in sé, come primo elemento indiziario del ragionamento inferenziale (cfr. Cass. 26/05/2018, n. 13004), non può essere ammesso come presunzione dotata dei caratteri enunciati dall'art. 2729 cod. civ., da affiancare al mero scostamento tra prezzo di vendita e valore normale del bene, trattandosi di un elemento del tutto teorico; inoltre, nell'attribuire ad un simile criterio astratto ed ipotetico il rango di idoneo elemento inferenziale, la CTR - il cui percorso argomentativo si appalesa, sotto questo aspetto, carente e lacunoso - avrebbe dovuto altresì prendere in considerazione le giustificazioni addotte dalla ricorrente, in punto di mancanza di remuneratività del prezzo di cessione dichiarato, rispetto a quello di acquisto, riconducibili, in sostanza, alla riduzione dell'indice di edificabilità del bene, che aveva indotto la Cooperativa ad abbandonare l'iniziale progetto edilizio;
5. ne consegue l'accoglimento del ricorso, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019
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