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Negozio di articoli sportivi, armi e tempo libero: accertamenti illegittimi se l’accertamento fiscale non considera diversità di beni venduti

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Negozio di articoli sportivi, armi e tempo libero: accertamenti illegittimi se l’accertamento fiscale non considera diversità di beni venduti

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Fare business vendendo articoli sportivi è da sempre considerato un binomio vincente visto che le persone tendono a spendere molti soldi per hobby e tempo libero.

Svago, tempo libero, allenamento sportivo sono elementi irrinunciabili per uno stile di vita sano e salutare, a prescindere dall’età.

È per questo che aprire un negozio deputato alla vendita di articoli sportivi, biciclette, armi e munizioni o di articoli per il tempo libero rappresenta una grande opportunità economica.

Avviare un’attività di questo tipo non è particolarmente difficile, bastando l’apertura della partita Iva, di una posizione previdenziale e l’iscrizione al registro delle imprese della camera di commercio. Bisogna poi trovare un locale idoneo che abbia una buona posizione ed approvvigionarsi delle merci, tramite imprese di distribuzione dei vari marchi e grossisti che riforniscono i piccoli esercizi commerciali tramite stock di merce oppure rivolgendosi direttamente alle case produttrici. In questo ultimo caso bisogna metter in conto la burocrazia e l’esperienza necessaria per l’importazione di beni che arrivano dall’estero.

Quando si parla di negozi di articoli sportivi si fa riferimento a diverse imprese che variano a seconda del prodotto commercializzato. In particolare, rientrano in questa categoria i negozi specializzati soprattutto nella vendita di abbigliamento casual, tecnico o sportivo, calzature e attrezzature sportive, comprese biciclette e accessori. Vi sono poi quelli altamente specializzati dove trovare tutti gli accessori per la caccia, la pesca, l’ippica, la subacquea, armi e munizioni. Sul mercato, infine, si trovano negozi più strutturati che offrono, insieme agli articoli sportivi, anche altri servizi quali il noleggio, montaggio, riparazione e deposito di attrezzatura sportiva come sci, biciclette, ecc. Nei negozi appartenenti alla prima tipologia, inoltre, non è infrequente trovare anche capi di abbigliamento di moda, aventi caratteristiche per essere considerati come abbigliamento sportivo.

Il controllo fiscale nei negozi sportivi

Anche questo tipo di impresa, come qualsia altra attività commerciale, è soggetta a controlli ed accertamenti fiscali che può sfociare nella raccolta di elementi che facciano venir meno l’attendibilità contabile del negozio e giustifichino una ricostruzione indiretta dei ricavi. L’obiettivo in tale ultimo caso è quello di recuperare imposte o maggiori imposte che si presumono non versate.

L’accusa è che i negozi dediti al commercio al dettaglio di articoli sportivi effettuino delle operazioni occulte per sottrarsi alla pretesa tributaria. In particolare, la forma più riscontrata è quella dell’occultamento e della riduzione dei ricavi che si realizza o con la mancata emissione dello scontrino fiscale oppure con l’emissione dello stesso per importi inferiori a quelli reali.

Fenomeni di evasione si riscontrano anche nel settore del commercio di armi e munizioni dove viene riscontrata la vendita di armi non annotate negli appositi registri.

L’obiettivo del verificatore è, dunque, quello di individuare tutti quegli elementi capaci di giustificare la pretesa fiscale e quindi di attuare un controllo del volume d’affari.

Tuttavia, è bene precisare che il controllo di questi esercizi commerciali deve essere preciso ed approfondito. Molti problemi si riscontrano, per esempio, nei casi in cui, insieme alla vendita degli articoli sportivi vengono svolti servizi accessori quali il noleggio, deposito, riparazione ecc. i quali sono di difficile previsione e quantificazione. Non si può infatti calcolare con certezza quanti interventi di noleggio o riparazione di biciclette possono essere svolti nell’arco di un anno.

Per tali motivi è indispensabile che il titolare del negozio, accusato di aver sottratto ricavi al fisco, presenzi agli inviti a contraddittorio (di persona o attraverso il suo avvocato) e chiarisca la diversificazione dei ricavi a seconda della specifica attività da cui derivano, che sia vendita, noleggio o riparazione.

Altro aspetto oggetto di verifica è l’indice di rotazione del magazzino. Sotto questo aspetto i verificatori presumono che un indice troppo basso di rotazione del magazzino sia sinonimo di un rinnovo poco frequente mentre questa attività, legata anche alla stagionalità degli sport ed alla moda, richiede un ricambio ripetitivo. Anche questa presunzione, tuttavia, deve essere dimostrata e non può essere solo presunta. Bisogna tenere in considerazione la collocazione del negozio ma anche la sua grandezza e la varietà delle merci offerte.

Il settore della vendita al dettaglio di articoli sportivi, inoltre, come qualsiasi attività commerciale prevede la pianificazione di vendite straordinarie e di liquidazione. Gli accertatori potrebbero anche presumere che il negozio abbia omesso di contabilizzare una parte dei corrispettivi nei periodi ordinari, incrementando, invece, fittiziamente le vendite durante i periodi di saldo.

Quello che è bene precisare è che la corretta determinazione dei ricavi conseguiti da un negozio di articoli sportivi deve considerare tutte le variabili possibili, compresi i periodi di saldo che vengono stagionalmente previsti.

Spetta sempre all’Amministrazione finanziaria provare l’inesistenza di eventuali sconti praticati dal negozio oppure indicare la percentuale media degli sconti riconosciuti.

Infine, la ricostruzione del volume d’affari risulta parziale se non tiene conto in maniera realistica del ricarico medio praticato dall’impresa. La maggiore difficoltà della verifica riguarda la grande varietà di prodotti commercializzati dalle imprese del settore che vanno dai capi di abbigliamento alle attrezzature sportive, ad ognuno dei quali viene applicata una diversa percentuale in base alla qualità dell’articolo, alla sua richiesta, alla moda, ecc. Ancor più difficile è stabilire il margine nel caso della vendita di armi e munizioni.

Per tutti questi motivi il contribuente, titolare di un negozio di articoli sportivi, deve agire in giudizio per dimostrare l’infondatezza della pretesa tributaria, come è accaduto nei seguenti casi.

Comm. Trib. Reg. per la Puglia, Sentenza n. 344 del 08/02/2019

Questa vicenda ha riguardato un avviso di accertamento notificato ad un esercente l'attività di commercio al dettaglio di articoli sportivi e per il tempo libero con cui l'Agenzia delle Entrate contestava al commerciante l'irregolare tenuta della contabilità e l'errata compilazione dello studio di settore. Con l’atto di accertamento venivano perciò chiamati a tassazione maggiori ricavi e quindi maggiori imposte per IRAP, IVA ed IRES oltre ad essere applicate delle sanzioni amministrative.

Il contribuente ha immediatamente lamentato la nullità dell'atto impugnato il quale, oltre a diversi vizi, presentava anche una errata determinazione della percentuale di ricarico.

La Commissione tributaria regionale ha accolto il ricorso del contribuente dichiarando nullo l’avviso di accertamento. Per i giudici, infatti, l'accertamento dei maggiori ricavi conseguiti da un'impresa può basarsi sullo scostamento della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza solo quando essa sia abnorme o irragionevole. Solo in questi casi può parlarsi di una contabilità irregolare.

Nel caso di specie, invece, non era stato riscontrato alcun livello irragionevole o abnorme di ricarico da parte del commerciante ma, anzi, era stato individuato un lieve scostamento tra il ricarico praticato dal negoziante rispetto a quello degli altri negozianti.

Per la commissione, in sostanza, il ricorso alle percentuali di ricarico per ricostruire gli effettivi margini di guadagno di un commerciante non è sufficiente, da solo, a giustificare un accertamento induttivo.

Comm. Trib. Reg. per la Toscana, sentenza n. 53/31/08

Questo secondo caso ha ugualmente preso avvio da un avviso di accertamento emesso, a seguito di verifiche fiscali effettuate dalla Guardia di finanza, dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di un esercente il commercio di articoli sportivi poi dichiarato fallito con cui era stato determinato un maggior ricavo. Erano perciò stati chiamati a tassazione maggiori imposte ai fini IVA, IRPEF ed IVA per circa 450 mila euro. L’Ufficio era arrivato a questo risultato applicando al costo della merce venduta un ricarico del 60% sulla base del solo confronto tra alcune fatture di acquisto con quelle di vendita.

Dal suo canto la società contribuente aveva contestato le risultanze dell’Agenzia delle Entrate, non ritenendole veritiere. In particolare, la ricorrente ha lamentato la metodologia adoperata dall’Amministrazione Finanziaria la quale era ricorsa ad una valutazione induttiva dei ricavi anche in presenza di una contabilità regolare. In secondo luogo, l’Ufficio non era riuscito a calcolare a ritroso le rimanenze e si era basato su una media ponderata del ricarico tra le fatture di acquisto e quelle di vendita in quanto non aveva considerato l'inventario analitico redatto dagli organi fallimentari. Infine, l’Agenzia non aveva tenuto conto dell’agguerrita concorrenza che aveva costretto l’esercizio commerciale a vendere sottocosto.

I giudici di merito hanno accolto il ricorso del contribuente ritenendo che la percentuale di ricarico applicata dall'Agenzia delle Entrate fosse solo presunta e basata esclusivamente su una media aritmetica semplice, non ponderata.

Inoltre, per i giudici l’ufficio tributario non aveva precisato i motivi per cui era stato svolto un accertamento induttivo nonostante la regolare tenuta della contabilità da parte del commerciante. Infine, l’organo accertatore non aveva considerato le delicate condizioni di difficoltà in cui era svolta l’attività, che è poi fallita.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 17785 del 19/07/2017

Infine, questo terzo ed ultimo caso ha riguardato la vendita avente ad oggetto la cessione tra due parti di un ramo di azienda inerente il commercio al dettaglio di articoli sportivi e per il tempo libero e del fabbricato in cui essa veniva esercitata.

Ad avviso dell’ufficio tributario ed anche dei giudici di merito in questo caso il contratto posto in essere dalle parti costituiva una vera e propria cessione di ramo d'azienda. Ciò in quanto in passato l'attività di commercio di articoli sportivi veniva esercitata nel fabbricato oggetto di vendita, così come successivamente alla vendita. Per tali ragioni l’Agenzia delle Entrate contestava la liquidazione delle imposte relative derivanti dalla stipula del contratto, ritenendo che tale cessione dovesse essere sottoposta non ad IVA, ma ad imposta di registro, in particolare alle imposte indirette previste per la cessione a titolo oneroso di fabbricati.

La Cassazione, però, ha ribaltato questa impostazione accogliendo il ricorso del contribuente. Per i giudici infatti si può parlare di cessione d’azienda solo quando a prescindere dalla volontà delle parti, dalla quantità e dal momento dei beni ceduti rimanga un’organizzazione tipica dell’attività di impresa. Cosa che, nel caso di specie, non si era verificata.

 

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