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Centri estetici ed istituti di bellezza: nessuna pretesa fiscale basata su studi di settore e senza contraddittorio

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Centri estetici ed istituti di bellezza: nessuna pretesa fiscale basata su studi di settore e senza contraddittorio

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La cura ed il benessere della persona è ormai una priorità per uomini e donne di qualsiasi età. Si tratta di un’esigenza a cui difficilmente si riesce a rinunciare. È per questo che aprire un centro estetico è un’opportunità che in molti, prevalentemente (statisticamente) appartenenti al genere femminile, valutano.

Il settore riguarda tutte quelle attività di impresa che erogano servizi di bellezza. Con tale termine si annoverano le varie prestazioni ed i trattamenti svolti per migliorare o proteggere l’aspetto estetico o per eliminare i diversi inestetismi.

Si tratta, quindi, di un’attività di tipo artigianale che viene esercitata tramite l’intervento diretto dell’estetista la quale possiede la qualifica professionale adeguata rilasciata dall’autorità amministrativa regionale e quindi è dotata delle opportune conoscenze e capacità.

Al di là del percorso formativo e dell’esperienza acquisita, prima di aprire un centro estetico è opportuno poi ottenere il rilascio di un’autorizzazione comunale ed allestire un locale che sia idoneo all’attività. Bisogna poi procedere ad allestire lo spazio. L’investimento iniziale può essere notevolmente diverso a seconda del tipo di prestazione erogata alla clientela.

Questo tipo di esercizio, infatti, può essere svolto sia ricorrendo esclusivamente a tecniche manuali, sia impiegando costose apparecchiature elettromeccaniche per uso estetico.

Vi sono, infatti, centri estetici che si limitano ad offrire servizi tradizionali che non richiedono strumentazione costosa quali depilazioni con cera, pulizia del viso, maquillage, massaggi, ecc., ma esistono anche istituti di bellezza che offrono trattamenti estetici più sofisticati e costosi, mediante l’impiego di strumentazione di grande valore quali attrezzature per pressomassaggio estetico, elettrostimolazione e laser, saune, cabine per crioterapia, cabine abbronzanti e solarium.

Ciò porta a ritenere che, nella realtà italiana, gli istituti di bellezza possono comprendere sia ditte di piccole dimensioni, formate per lo più dall’estetista titolare dello studio, sia imprese più strutturate ed organizzate che inglobano diversi lavoratori dipendenti e altamente specializzate.

Che siano piccoli centri estetici o grandi istituti di bellezza, queste attività sono soggette a frequenti controlli da parte della Guardia di Finanza e organi di polizia tributaria.

La finalità è non di rado quella di attuare un controllo volume d’affari realizzato dall’impresa estetica, e verificare se è possibile una ricostruzione dei ricavi superiore a quella dichiarata.

In particolare, i comportamenti spesso contestati a questo tipo di attività riguardano l’occultamento dei corrispettivi che viene attuata mediante l’omessa o la parziale contabilizzazione degli stessi.

L’analisi condotta dai verificatori si basa prevalentemente sulle incongruenze di tipo documentale e contabile. Ad essere passate al setaccio soprattutto la corrispondenza tra numero di prestazioni dichiarate e materiali consumati e spese sostenute, come per esempio quelle relative al personale dipendente, pubblicità, servizi assicurativi, corsi di aggiornamento, ore di lavoro effettivamente impiegate, tipologia di beni strumentali utilizzati.

Tuttavia, le verifiche potrebbero non tenere in debita considerazione le diverse variabili che possono influenzare e cambiare in maniera significativa il volume d’affari realizzato da un centro estetico rispetto ad un altro. Ed infatti, collocazione e dimensioni dei locali, differenziazione dei servizi offerti, numero di lavoratori impiegati, specializzazione delle prestazioni, modernità dei beni strumentali sono tutti fattori che incidono sui ricavi conseguiti.

Non di rado, inoltre, l’accertamento condotto dall’Amministrazione Finanziaria si basa sui movimenti bancari anche se il contribuente non viene mai convocato per giustificare le operazioni oggetto di verifica. Infatti, anche se non esiste alcuna norma che imponga in via generale il contraddittorio preventivo all'accertamento, è sempre buona prassi coinvolgere il contribuente il quale può chiarire aspetti rilevanti, senza attendere di farlo in fase contenziosa.

Molto spesso, inoltre, capita che gli accertamenti basati sugli studi di settore, oggi ISA, e tesi ad individuare maggiori ricavi conseguiti dall’attività risultino illegittimi. Ciò accade, per esempio, quando il contribuente dia dimostrazione di una contabilità ordinaria e non irregolare, documentando in maniera completa tutti i costi sostenuti per l’attività.

Insomma, molti sono i casi in cui i risultati derivanti da tali studi portano a conclusioni errate, specie quando sulla base della documentazione contabile risulta che il centro estetico ha svolto in maniera ineccepibile la sua attività.

Questo è quello che emerge dalle pronunce di seguito riportate.

Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 18609 del 11/07/2019

Questa vicenda ha riguardato una contribuente esercente l'attività di estetista che riceveva un avviso di accertamento mediante il quale l'Agenzia delle Entrate accertava maggiori imposte ai fini Irpef ed Irap. Il controllo, in particolare, aveva riguardato una plusvalenza originata dalla cessione dell'impresa. A seguito delle risposte fornite dall'imprenditrice ad un questionario, l'Amministrazione finanziaria aveva richiesto nuovi documenti contabili, senza però specificare quali.

Tuttavia, i documenti forniti dalla contribuente erano stati considerati incompleti dall'Ente impositore, il quale, sulla base delle risultanze del sistema anagrafico, sosteneva che la vendita del centro estetico era avvenuta per un prezzo superiore a quello dichiarato. Per tali motivi, a causa dell'accertamento, il reddito percepito dalla contribuente era superiore rispetto a quello dichiarato e, pertanto, soggetto a maggiore imposizione fiscale.

Dal suo canto, la contribuente impugnava l'avviso di accertamento ritenendo che le richieste fatte dall’Agenzia delle Entrate in merito all’ulteriore documentazione erano evasive e poco specifiche in quanto non si capiva quale documentazione ella avrebbe dovuto fornire per accertare la sussistenza o meno di componenti negativi di reddito.

La Suprema Corte ha condiviso le motivazioni della contribuente ritenendo che l'Ente impositore avesse richiesto la produzione di copia di documenti contabili obbligatori, senza specificare quali.

Comm. Trib. Della Basilicata, sentenza n. n. 89/03/2013

Relativamente all’applicabilità e valenza degli studi settore, questo caso ha preso avvio da un avviso di accertamento notificato ad una contribuente esercente l’attività di estetista basato proprio su tali parametri che hanno portato all’applicazione di maggiori imposte IRPEF, IVA ed IRAP.

La contribuente, invece, ha dimostrato l’esistenza di una serie di circostanze che giustificavano un reddito inferiore rispetto a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato. In particolare, l’estetista esercitava la sua attività in una zona estremamente periferica di Potenza, in un piccolo locale di appena 50 mq., compreso il deposito e sala d'attesa, ed applicava prezzi ridotti della metà rispetto al normale.

Per tali ragioni la sua attività si discostava di molto rispetto al modello normale al quale i parametri derivanti dagli studi di settore fanno riferimento.

La CTR ha così accolto le argomentazioni dell’estetista che aveva fornito validi elementi in grado di giustificare lo scostamento e quindi il minor reddito dichiarato. Per tali ragioni i giudici d'appello non hanno ritenuto attendibili i risultati derivanti dall’applicazione degli studi di settore a fondare l'accertamento.

Comm. Trib. Reg. per l'Umbria, sentenza  n. 65 del 28/08/2007

Anche se più datata, anche questa sentenza ha affrontato l’argomento relativo alla validità degli studi di settore. Il caso ha riguardato, come i precedenti due, l’accertamento svolto dall’Agenzia delle Entrate nei riguardi di un’esercente l'attività di centro estetico.

In particolare, dall’esame documentale l’Ufficio non aveva riscontrato alcuna irregolarità. Invece, procedendo ad una complessa ed articolata ricostruzione delle attività svolte dal Centro e dei ricavi conseguiti, i funzionari deducevano il conseguimento di maggiori ricavi non contabilizzati, per un importo superiore a 10 mila euro.

La contribuente ha così proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento ritenendo che la ricostruzione dei ricavi effettuata dall’Ufficio fosse del tutto sbagliata in quanto non teneva conto dell’effettiva realtà aziendale. Per tali ragioni la titolare del centro estetico chiedeva l’annullamento degli avvisi di accertamento.

La CTR ha dato ragione alla contribuente ritenendo che la ricostruzione dei ricavi svolta dall’Agenzia fosse illegittima. Essa, infatti, si fondava prevalentemente su calcoli e presunzioni privi di riferimento nella realtà aziendale. Inoltre, non vi erano neppure prove documentali, ne riscontri di false attestazioni o  rilevazioni non coerenti con la documentazione contabile, né dichiarazioni fiscali rese dalla contribuente.

A parere dei giudici, insomma, la maggiore pretesa tributaria deve basarsi su elementi e dati di riscontro che permettano una quantificazione obbiettiva e non opinabile, tale da giustificare un maggior reddito derivante dalle risultanze degli studi di settore.

In questo caso, al contrario, i ricavi dichiarati dalla contribuente erano congrui mentre l’Agenzia non aveva né provato né dimostrato le maggiori pretese fiscali.

 

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