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Concetto di domicilio fiscale e residenza fiscale e il caso della doppia residenza fiscale: il ruolo delle tie breaker rules

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Concetto di domicilio fiscale e residenza fiscale e il caso della doppia residenza fiscale: il ruolo delle tie breaker rules

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In questo articolo parleremo di due concetti fondamentali che creano spesso confusione, quello di domicilio fiscale e di residenza fiscale. Difatti, sono tanti quei soggetti che quando decidono di trasferirsi all’estero commettono l’errore di considerare il domicilio e la residenza come due sinonimi. Pertanto, l’obiettivo sarà quello di differenziare i suddetti concetti, per poi soffermarci sull’ipotesi della doppia residenza fiscale. Inoltre, in merito a quest’ultimo aspetto saranno analizzate le tie breaker rules che hanno lo scopo di risolvere il caso della doppia residenza ed evitare così la doppia imposizione.

Concetti di domicilio fiscale e di residenza fiscale

Innanzitutto, giova inquadrare il concetto di domicilio e di residenza, sottolineandone le differenze, e facendo rilevare così come i due termini non possono essere utilizzati come sinonimi. Infatti, i suddetti termini, relativamente anche l’oggetto di studio, saranno analizzati sotto l’aspetto tributario.

Dunque, a regolamentare il domicilio fiscale e la residenza è il D.P.R. 600/1973 (i concetti generici di domicilio e residenza, invece, sono disciplinati dall’art. 43 del codice civile il quale così dispone: Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale). Quando parliamo di domicilio fiscale, questo assume rilevanza per l’amministrazione finanziaria la quale deve esserne a conoscenza al fine di poter notificare gli atti e, di conseguenza, per poter individuare l’ufficio tributario competente per gli eventuali accertamenti fiscali.

L’articolo 58 del D.P.R. 600/1973 recita in tal modo:” Le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte. Quelle non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più comuni, nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato”. Da tale norma si evince che il domicilio fiscale del soggetto, è pertanto, coincidente con il comune in cui si ha la residenza anagrafica e per coloro che non sono residenti si fa riferimento al comune in cui è stato prodotto il più elevato reddito. Invece, per quanto concerne le persone giuridiche il domicilio fiscale coincide nel comune in cui l’impresa ha la sede amministrativa o legale.

Passiamo ad analizzare il termine residenza fiscale, che si ricorda non deve essere adoperato come sinonimo di quello precedente per i seguenti motivi. Infatti, la residenza fiscale è un concetto ben differente e si distanzia da quello di domicilio fiscale per le caratteristiche che lo contraddistinguono. Innanzitutto, la residenza fiscale è di fondamentale importanza perché consente al contribuente di poter capire a quale stato deve pagare le tasse ed assume anche un ruolo significativo, come vedremo, nelle convenzioni contro doppie imposizioni. A tal proposito si richiama l'articolo 2, comma 2, del D.P.R. n 917/86, il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, che dispone in tal modo: "Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile". Di conseguenza, in base all’articolo citato rileva che un soggetto è considerato residente fiscalmente in Italia in base ai criteri detti, da considerare alternativi e non concorrenti, ovvero se è iscritto nell'anagrafe della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta (cioè, per almeno 183 giorni all’anno o 184 nel caso di mesi bisestili) o se ha nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza.

Dunque, è proprio il luogo in cui si stabilisce la residenza che evidenzia le diversità in ambito fiscale. Infatti, il contribuente si può trovare in due situazioni differenti a seconda se risiede o meno in Italia. Pertanto, occorre fare la distinzione tra i soggetti che lavorano all’estero, ma sono residenti fiscalmente in Italia, e coloro che lavorano all’estero e vi trasferiscono anche la propria residenza. In merito il primo caso si richiama il principio della tassazione mondiale, il principio del World Wide Taxation, sul quale si basa il sistema tributario. Infatti, in linea con il principio detto, i redditi, anche quelli che sono prodotti all’estero, devono essere dichiarati anche in Italia, salvo che non è disposto diversamente dalle disposizioni contenute nelle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.

Nel secondo caso, il soggetto pagherà le relative tasse nel paese estero in cui ha trasferito la residenza in virtù di quanto detto sulla residenza fiscale. Inoltre, il cittadino deve provvedere oltre a trasferire la propria residenza all’estero anche a cancellarsi dall’Anagrafe della Popolazione Residente, e ad iscriversi nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) ed avere il proprio domicilio nel Paese estero.

A tal proposito giova riportare un richiamo recente giurisprudenziale sul punto, che sottolinea come la semplice iscrizione all’AIRE non basta per escludere la residenza fiscale del soggetto passivo sul territorio dello Stato: “…e consegue che l'iscrizione nell'anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia allorché si tratti di soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell'interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi (Cass. Civ., Sez.5, n.14434 del 25.6.2010, Rv. 613668- 01; Corte di cassazione, sentenza n. 13114/2018).

Tuttavia, può capitare, come in realtà spesso accade, che alcuni soggetti si trasferiscono durante l’anno e, di conseguenza, si ritrovano con una doppia residenza fiscale. Infatti, per evitare questo rischio, gli Stati hanno sottoscritto una convenzione individuando dei criteri da prendere in considerazione in tali casi e così dirimere la controversia che sul punto potrebbe sorgere e individuando così lo stato al quale fare riferimento per l’imposizione. È in questo scenario che entrano in gioco le c.d. Tie Breaker Rules. Nel modello OCSE,e, precisamente, nel paragrafo 2 dell’art. 4 della Convenzione, si fa richiamo alle cosiddette Tie-Breaker Rules, al fine di dirimere l’eventuale detta controversia. Difatti, sono indicati secondo un ordine gerarchico e non sono alternativi tra loro, una serie di criteri ai quali far riferimento per risolvere il problema della doppia residenza ed individuare così lo Stato in cui è stabilita l’effettiva residenza. In particolar modo i suddetti criteri sono nell’ordine di priorità i seguenti:

1 sarà considerata la residenza nello Stato contraente nel quale la persona ha un’abitazione permanente (permanent home available), indicando con il requisito permanente il fatto che il soggetto stia nel luogo per un periodo non di breve durata e in modo occasionale, ricomprendendo nella nozione di abitazione qualsiasi forma (casa di proprietà o locata, stanza arredata). Tuttavia, se il contribuente ha in entrambi gli Stati un’abitazione permanente, allora si farà riferimento al “centro degli interessi vitali”, ovvero nel luogo in cui lo stesso ha le relazioni sociali, economiche, politiche, culturali più intime;

2 nel caso in cui non si può individuare il centro degli interessi vitali, allora si punterà su un altro aspetto, ossia quello della dimora abituale (habitual abode);

3 - si passa ad un altro criterio, qualora non sia possibile accertare la dimora abituale o il soggetto abbia la dimora abituale in ambedue gli Stati contraenti e questo è quello che fa richiamo alla nazionalità; infine se neanche con il criterio della nazionalità la situazione risolve allora si ricorre alle autorità competenti dei due Paesi, le quali cercheranno di individuare la residenza mediante una procedura amichevole, ai sensi dell’articolo 25 dello stesso Modello Ocse.

A tal proposito si riporta una massima di una recente sentenza della Cassazione, (Sentenza 10 novembre 2017, n. 26638), la quale ha affrontato il problema dell’individuazione della residenza fiscale del soggetto in base ai criteri sopra menzionati, e nel caso specifico la controversia viene risolta mediante l’applicazione del concetto di abitazione permanente.

Massima (redatta a cura del Ce.R.D.E.F): La residenza di una persona fisica, che comporti determinati adempimenti dichiarativi, si individua in base al luogo dove si trovano gli affetti e le relazioni personali, poco rilevando la proprietà di un immobile nello Stato estero e la permanenza in tale Paese di più di 183 giorni. Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate contestava ad un cittadino russo, mediante notifica di atto di irrogazione sanzioni, l'omessa presentazione del modulo RW, relativamente ad ingenti investimenti esteri, ritenendolo residente fiscalmente in Italia, a nulla rilevando la sua presenza per oltre 183 giorni in territorio estero e la proprietà di un immobile in Russia. In base alla convenzione tra Italia e la Federazione russa contro le doppie imposizioni, un soggetto si ritiene residente nello Stato nel quale ha un'abitazione permanente. Per "abitazione permanente" occorre far riferimento concreto ad un alloggio di cui il contribuente può disporre stabilmente a qualsiasi titolo. Ne consegue che la permanenza non può identificarsi nella proprietà, ma nel fatto che il soggetto possa disporre a suo piacimento per periodi temporali indeterminati dell'immobile. Nella vicenda oggetto del procedimento, il cittadino russo conviveva con una donna in Italia, con la conseguenza che, di fatto, disponeva di una abitazione permanente in Italia. Si sarebbe pertanto potuto configurare la presenza in entrambi gli Stati di una "abitazione permanente", ma in questa ipotesi il successivo criterio previsto dalla convenzione OCSE per l'individuazione dello Stato di residenza era rappresentato dal luogo in cui sono instaurate le relazioni personali ed economiche. Nella specie tale luogo era costituito senza dubbio dall'Italia e da qui la residenza fiscale in Italia.

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Alla luce di quanto detto, anche se ci sono tanti altri aspetti fiscali che occorre valutare, rivolgersi all’aiuto di un esperto del settore è sicuramente la scelta che molti operano prima di procedere al trasferimento, per evitare “brutte sorprese” successivamente. D’altronde, è facile che nascano dubbi relativamente a quale Stato devi pagare le imposte e se vuoi essere sicuro/a di provvedere agli adempimenti fiscali in modo corretto ed evitare anche eventuali doppie imposizioni la scelta migliore è quella di contattare un professionista e risolvere altresì il problema dell’eventuale doppia residenza fiscale.

 

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