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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Sentenza n. 3234 del 11 febbraio 2020
1. - La F.E.E., Inc., ha impugnato l'avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate emesso sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione del Nucleo di polizia tributaria di Milano in data 18 settembre 2008, con il quale era stata contestata alla società l'effettuazione di maggiori operazioni soggette a Iva per un imponibile di € 9.374.489,60 (imposta € 1.874.898,00), con applicazione di sanzioni per complessivi € 2.343.622,50. L'Ufficio, in particolare, aveva contestato l'improprio utilizzo dell'art. 9, comma 1, numero 2) del d.P.R. n. 633 del 1972, secondo il quale costituiscono servizi internazionali, o connessi agli scambi internazionali, tra gli altri, i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all'imposta a norma del primo comma dell'art. 69. Con sentenza n. 61/21/10 la Commissione provinciale ha accolto il ricorso limitatamente alla ripresa Iva dei corrispettivi di sdoganamento, determinati in misura pari al 34% dei corrispettivi totali.
2. - La Commissione tributaria regionale della Lombardia ha rigettato sia l'appello principale proposto dalla società sia quello incidentale dell'Agenzia delle entrate. 3. - Avverso la sentenza ha proposto impugnazione per cassazione la contribuente, con ricorso notificato il 17 aprile 2012 e affidato a sette mezzi di censura. Resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate. A seguito del deposito della memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c. da parte della società ricorrente, è stata fissata la discussione in pubblica udienza. In prossimità dell'udienza pubblica, parte ricorrente ha depositato una memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. - L'Agenzia delle Entrate ha dedotto l'inammissibilità del ricorso, in quanto lo stesso sarebbe stato proposto spirato il termine "breve" di impugnazione, decorrente dalla data della notifica della sentenza della Commissione tributaria regionale, che l'Agenzia ritiene di aver effettuato in data 16 novembre 2011, con raccomandata ricevuta in data 22 novembre 2011. Contrariamente a quanto affermato dall'Agenzia, la ricorrente sostiene che la sentenza in questione non sia mai stata notificata e, pertanto, ha proposto ricorso nel rispetto del termine "lungo".
1.1. - L'eccezione è infondata. Ai fini del decorso del termine breve per impugnare, previsto dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 51, comma 1, la sentenza può essere notificata anche mediante il servizio postale, in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento, come previsto dall'art. 38, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, che, a seguito della modifica apportata dal d.l. n. 40 del 2010, art. 3, comma 1, lett. a), convertito con la I. n. 73 del 2010, non rinvia più all'art. 137 c.p.c. e segg., bensì al d.lgs. n. 546 del 1992, art. 16, il cui comma 3 prevede che "le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell'atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento" (Cass. 22 aprile 2015, n. 8151; Cass. 13 aprile 2012, n. 5871). Nel caso di specie, la notifica della sentenza è avvenuta non in plico raccomandato ma in busta chiusa attraverso il servizio postale. L'Agenzia ha prodotto in allegato al controricorso: 1) copia della nota di deposito presso la Commissione tributaria regionale; 2) copia della sentenza impugnata; 3) copia dell'avviso di ricevimento postale; 4) copia di una distinta relativa alle spedizioni, a mezzo raccomandata a/r.
Nel processo tributario, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la spedizione del ricorso o dell'atto d'appello a mezzo posta in busta chiusa, pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all'atto in esso racchiuso, anziché in plico senza busta come previsto dall'art. 20 del d.lgs. n. 546 del 1992, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati, essendo, altrimenti, onere del ricorrente o dell'appellante dare la prova dell'infondatezza della contestazione formulata (Cass. 5 ottobre 2016, n. 19864; Cass. 4 luglio 2014, n. 15309; Cass. 12 giugno 2009, n. 13666; Cass. 2 settembre 2004, n. 17702). Tale principio può senz'altro trovare applicazione anche nel caso di specie, in relazione alla notifica della sentenza ai fini del decorso del termine breve di impugnazione, avvenuta a mezzo posta in busta chiusa e non, come prescritto, in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento (art. 51, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992), per cui, a fronte della specifica contestazione opposta dalla società contribuente destinataria dell'atto, sarebbe stato onere dell'Agenzia delle entrate che ha effettuato la notifica dar prova che all'interno della busta spedita vi fosse effettivamente la sentenza che si assume sia stata notificata, ma la cui prova non è stata fornita neanche in sede di discussione, a seguito dell'ordinanza con cui il procedimento è stato rimesso sul ruolo. In atti, infatti, vi è soltanto la prova della notifica di una busta.
2. - Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 9, comma 1, n. 2 d.P.R. n. 633 del 1972, in combinato disposto con l'art. 69 d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. La F. deduce in fatto di aver stipulato con F.E.I., Inc., società di diritto statunitense facente parte del medesimo gruppo societario, un contratto di "Service Agreement" in base al quale l'odierna ricorrente aveva il compito di effettuare o far eseguire il trasporto locale di plichi in arrivo (inbound), dall'aeroporto nazionale fino ai luoghi di destinazione all'interno del territorio italiano, con la relativa consegna ai destinatari. Evidenzia inoltre che sono beni di valore trascurabile i beni di valore intrinseco inferiore o uguale ad Euro 22,00 e che per tali beni, ai sensi del regolamento CEE n. 918/1983, della legge n. 479/1992, del d.m. n. 489/1997 e della Circolare dell'Agenzia delle dogane n. 22/2004, all'atto della importazione vige la non applicabilità dell'IVA in dogana.
Nel caso di specie, gli importi oggetto di contestazione sono relativi ai corrispettivi che F. ha ricevuto da F.E.I., Inc. per le prestazioni di trasporto (inbound) effettuate sul territorio italiano e relativi al trasporto di beni di valore trascurabile e documenti, dagli spazi doganali aeroportuali ai luoghi di destinazione finale situati sul territorio nazionale e tali corrispettivi sono stati ritenuti da F. non imponibili ex art. 9 comma 1, numero 2, del d.P.R. n. 633/1972. Parte ricorrente richiama, al riguardo, l'art. 9, comma 1, numero 2), del d.P.R. n. 633/1972 secondo cui "costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali" e, in quanto tali, non imponibili ai fini del tributo, tra gli altri, "i trasporti" eseguiti in Italia "relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all'imposta a norma del primo comma dell'art. 69 del d.P.R. n. 633/1972", in base al quale "l'imposta è commisurata, con le aliquote indicate nell'art. 16, al valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell'ammontare dei diritti doganali dovuti, ad eccezione dell'IVA, nonché dell'ammontare delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all'interno del territorio della Comunità che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo".
Si censura, pertanto, la sentenza impugnata che partendo dalla lettura logico-sistematica dell'art. 9, comma 1, n. 2) del d.P.R. n. 633/1972 con l'69, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972 afferma che non esista nella normativa italiana in materia di Iva una espressa norma che esenti dall'Iva le spese di trasporto per i beni di modico valore e che lo stesso concetto di modico valore sia estraneo al nostro ordinamento, mentre la ratio della norma sarebbe unicamente di impedire fenomeni di doppia imposizione.
2.1. - Il motivo è fondato. In tema di Iva, in base alle pronunce rese da questa Corte con riferimento al contenzioso in oggetto - sulla base di quanto chiarito dalla Corte di giustizia dell'UE con la sentenza 4 ottobre 2017, C-273/16, Agenzia delle Entrate contro F. E. E. Inc. in sede di rinvio pregiudiziale sollevato dalla Cassazione -, in conformità al combinato disposto degli artt. 144 e 86, par. 1, lett. b), della direttiva n. 2006/112/CE, l'art. 9, comma 1, n. 2 (anche nell'assetto anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 12, comma 1, della I. n. 115 del 2015) e l'art. 69, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, devono essere interpretati nel senso che i servizi accessori alle piccole spedizioni di carattere non commerciale o di valore trascurabile, non sono imponibili, ancorché non assoggettati all'Iva in dogana, poiché, in difetto, sarebbe vanificato il regime di non imponibilità (Cass. 25 maggio 2018, n. 13119; Cass. 25 maggio 2018, n. 13117)-
La Corte di giustizia, difatti, con la sentenza 4 ottobre 2017, C-273/16, ha stabilito che la combinazione dell'art. 144 e dell'art. 86, par. 1, lett. b), della direttiva n. 2006/112/Ce del consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, come quella di cui di discute, la quale prescrive, per l'applicazione dell'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto alle prestazioni accessorie, fra cui i servizi di trasporto, non soltanto che il loro valore sia compreso nella base imponibile, ma anche che tali prestazioni siano state effettivamente assoggettate all'imposta sul valore aggiunto in dogana, all'atto dell'importazione. Secondo apprezzamento compiuto dalla Corte di Lussemburgo, l'interpretazione dell'art. 9, comma 1, n. 2, in combinazione con il d.P.R. n. 633 del 1972, art. 69, comma 1, secondo cui le attività accessorie a prestazioni non imponibili, nel novero delle quali rientrano le piccole spedizioni di carattere non commerciale o di valore trascurabile, per le quali sono anche previste franchigie dai dazi, sarebbero state a loro volta non imponibili soltanto se avessero già scontato l'Iva in dogana, finiva col vanificare il regime di non imponibilità. D'altronde, la Commissione europea, sollecitata dalla FedEx, aveva aperto per questo un procedimento d'infrazione a carico della Repubblica italiana, archiviato soltanto in esito alla novella del d.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, dovuta alla I. n. 115 del 2015, art. 12, comma 1, che ha determinato l'introduzione del comma 4-bis, in virtù del quale non sono imponibili "i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive (2006/79) e (2009/132), sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell'art. 69 del presente decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all'imposta".
3. - L'accoglimento del secondo motivo determina l'assorbimento degli altri (con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 5, legge n. 212/2000 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; con il terzo motivo si denuncia l'insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.; con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 10, comma 3, legge n. 212 del 27 luglio 2000 e dell'art. 6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 85, 86, 143 e 144 della direttiva 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE, che ha sostituito la direttiva 17 maggio 1977 n. 77/388/CEE, nonché dei principi generali del primato e della efficacia diretta del diritto comunitario europeo in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.; con il sesto motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato di cui all'art. 112 c.p.c., consistente in omessa pronuncia in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.; con il settimo motivo si contesta la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato di cui all'art. 112 c.p.c., consistente in omessa pronuncia in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.).
4. - Non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, il ricorso originario deve essere accolto, con l'annullamento dell'avviso impugnato. 5. - Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di merito e di quello di legittimità, determinati dal consolidamento dell'interpretazione sulla normativa richiamata soltanto in esito alla pronuncia Corte di giustizia.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo del merito, accoglie il ricorso originario. Compensa le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 24 giugno 2019.
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