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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 34622 del 30 dicembre 2019
RILEVATO CHE
1.-la s.n.c. L. con sede in P. ricorreva avverso l’avviso di rettifica n. XXX notificatole il 20 marzo 2003 dall' Agenzia delle entrate di Palermo, per il recupero a tassazione dell'Iv (oltre interessi e sanzioni) dovuta sul maggior valore della produzione accertata con metodo induttivo per l'anno di imposta 1997, in base alla differenza rilevata fra la consistenza fisica del magazzino e quella contabile, con applicazione di una percentuale media di ricarico.
1.1- La Commissione tributaria provinciale di Palermo accoglieva il ricorso con sentenza n. 523/1/2005 e, per l'effetto, annullava l'atto impugnato.
1.2 Appellava l'Agenzia delle entrate. La commissione tributaria regionale della Sicilia con sentenza n. 2/30/12 depositata il 10 gennaio 2012 rigettava l'appello ritenendo insufficiente la motivazione dell'atto impositivo (che faceva riferimento ad un pvc tardivamente prodotto in giudizio) ed incongruente ed irrealistico il metodo di accertamento utilizzato.
2.-L' Agenzia delle entrate ricorre per cassazione con 3 motivi e chiede cassarsi la sentenza impugnata, con vittoria delle spese di lite 3.- la s.n.c. L. resiste con controricorso con cui sostiene l'infondatezza del ricorso, chiedendone il rigetto, vinte le spese
CONSIDERATO CHE
4.- Con il primo motivo del ricorso l' Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell' art. 58 co. 2 d.lgs. n. 546/1992 (in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.) perché la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuta tardiva la produzione in giudizio del pvc su cui si fondava l'accertamento, mentre invece la norma che si asserisce violata consente alle parti la produzione in appello di nuovi documenti.
4.1- Con il secondo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (in relazione all' art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.) perché erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto privo di motivazione l'avviso impugnato, che invece presentava il contenuto richiesto dalla norma che si assume violata.
4.2 - Con il terzo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. (in relazione all' art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.) perché gli elementi di fatto posti a base dell'avviso di accertamento presenterebbero i requisiti di certezza, gravità e concordanza richiesti dalle norme indicate, a differenza di quanto erroneamente ritenuto dalla Commissione tributaria regionale.
5.- Il ricorso è inammissibile. Ritiene preliminarmente la Corte che, in applicazione del principio della «ragione più liquida» desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. (Cass. Sez. U. 8 maggio 2014 n. 9936; Cass. 18 novembre 2016 n. 23531; Cass. 17 marzo 2015 n. 5264) sia opportuno privilegiare la trattazione delle questioni di più agevole soluzione, idonee a definire il giudizio, nel caso di specie quelle proposte con il terzo motivo di ricorso.
5.1- Osserva la Corte che la sentenza impugnata ha effettuato una valutazione nel merito degli elementi di fatto posti a base dell'avviso di accertamento, ritenendoli insufficienti a dimostrarne la fondatezza. Ha sostenuto in particolare che "l'accertamento non appare realistico, essendo fondato su un verbale di constatazione che si è limitato ad analizzare solo una parte della merce del contribuente, applicando poi la media riferita al solo anno 1998 e ripetendo tale calcolo anche per gli anni precedenti"; ed inoltre che "il mancato accertamento univoco della consistenza e delle rimanenze del magazzino rende assai difficile la determinazione induttiva del valore aggiunto basata su percentuali di calcolo pur sempre approssimative".
5.2- Pertanto, le doglianze espresse sul punto dall' Agenzia ricorrente con il terzo motivo di ricorso solo in apparenza lamentano la violazione degli artt. 2697 e 2728 cod. civ., mentre in realtà prospettano una valutazione dei fatti diversa da quella effettuata dalla Commissione tributaria regionale, sollecitando per tale via il sindacato da parte di questa Corte del merito della decisione impugnata, che è invece inammissibile in sede di legittimità.
6- L'inammissibilità del terzo motivo di ricorso assorbe e rende superfluo l'esame dei rimanenti motivi proposti.
7.- In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese seguono alla soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna l' Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 3.500 (tremilacinquecento) complessivi, oltre al 15% a titolo di spese forfetarie e accessori. Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 giugno 2019.
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