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Civile,Sez. 5, ordinanza Num. 7765 del 9 aprile 2020.
RILEVATO CHE:
1. M.G. ricorre con sette motivi contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.139/03/12 della Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria (di seguito C.T.R.), emessa in data 27/9/2012, depositata in data 26/10/2012 e non notificata, che ha accolto l'appello dell'Ufficio, in controversia avente ad oggetto l'impugnativa dell'avviso di accertamento con cui l'Amministrazione rettificava i redditi del professionista per l'anno di imposta 2004, determinando una maggiore Irpef ed Irap;
2. con la sentenza impugnata la C.T.R. esponeva in fatto che, con l'avviso di accertamento impugnato dal contribuente, l'Amministrazione Finanziaria considerava indeducibili i compensi della sig. D.A., moglie del rag.G. , pattuiti nella misura di euro 10.000,00 mensili in relazione ad un contratto a progetto per servizi di consulenza tributaria e contabile;
la G.d.F., che aveva proceduto agli accertamenti, aveva ritenuto mendace tale contratto ed aveva denunziato i coniugi per truffa aggravata nei confronti dell'INPS, avendo la sig. A. richiesto l'indennità per maternità e ricevuto un acconto di euro 3.538,40 a tale titolo; avverso l'avviso di accertamento, M.G. aveva proposto ricorso, deducendo la mancata convocazione per il contraddittorio, nonostante il contribuente avesse richiesto l'accertamento con adesione, la mancata sottoscrizione dell'avviso di accertamento da parte del capo dell'Ufficio, l'inibizione dei poteri di accertamento dell'Ufficio per l'adesione al concordato preventivo biennale di cui all'art.33 del D.L. n.269/2003, nel merito l'infondatezza della tesi dell'amministrazione e l'effettività del contratto tra i coniugi, nonchè l'effetto di doppia imposizione a seguito del disconoscimento dei costi; la C.T.P. di Perugia aveva accolto il ricorso del contribuente, ritenendo che il costo complessivo di euro 60.000,00 fosse stato realmente sostenuto dal contribuente, sulla base della sentenza di assoluzione in sede penale del GIP di Perugia, che presupponeva una valutazione positiva del giudice in ordine all'effettiva esistenza del contratto a progetto;
l'Agenzia delle Entrate aveva proposto appello avverso la decisione di primo grado e la C.T.R. lo aveva accolto, ritenendo che l'accertamento, avente mero rilievo fiscale, fosse fondato sulla mancata dimostrazione da parte del contribuente dell'effettivo pagamento dei compensi pattuiti, che non risultavano nei registri contabili dell'attività del G., qualunque fosse stata la modalità dell'esborso; 3. a seguito del ricorso, l'Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 26 giugno 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
CONSIDERATO CHE:
1.1. con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell'art.57 d.lgs. n.546/92, in relazione all'art.360, comma 1, n.4, c.p.c., poichè la C.T.R. non avrebbe rilevato la novità del motivo di appello, relativo alla mancata dimostrazione dell'avvenuto pagamento dei compensi, laddove con l'avviso di accertamento l'Amministrazione aveva contestato unicamente la mendacità del contratto (smentita dall'assoluzione in sede penale);
1.2. il motivo è infondato e va rigettato; 1.3. invero la motivazione dell'avviso di accertamento faceva riferimento al P.V.C. della G.d.F., in cui vi era lo specifico rilievo della circostanza che il pagamento dei compensi non risultasse dalla contabilità dello studio del rag. G., anzi tale contestazione costituiva uno degli elementi di fatto in base ai quali gli accertatori avevano concluso per la "mendacità" del contratto a progetto; la specifica circostanza della mancata documentazione dell'avvenuto pagamento del compenso risulta, quindi, tempestivamente contestata al contribuente, in quanto è uno dei fatti posti a fondamento dell'accertamento; .
2.1. con il secondo motivo, il ricorrente denunzia, con riferimento all'art.360, comma 1, n.5, c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, consistente nella circostanza che per l'anno di imposta 2004 non sussisteva l'obbligo della tracciabilità dei pagamenti, secondo il ricorrente introdotto con l'art.35 , comma 12, d.l. n.223/06, conv. dalla I. n. 248/06, e successivamente abrogato dall'art.32, comma 3, d.l. n. 118/18;
2.2. il motivo è inammissibile, perchè non coglie la ratio della decisione, incentrata sulla mancanza della prova della corresponsione, in qualsiasi forma, dei compensi in oggetto e non delle modalità del loro pagamento; come rilevato dalla C.T.R., infatti, l'accertamento dell'Agenzia delle Entrate si basava sul rilievo che tali pagamenti, per i quali non era stata fornita la prova, non fossero stati riportati nella contabilità del contribuente e, quindi, non fossero certi nella loro esistenza;
3.1. con il terzo motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per la violazione dell'art.112 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.4, c.p.c.; sia con il ricorso originario che con le controdeduzioni in appello, il contribuente aveva contestato la sussistenza del potere accertativo dell'Amministrazione fino a concorrenza della metà del reddito concordato per l'anno 2004, avendo aderito al concordato preventivo biennale ex art.33 d.l. n.269/03; deduce il contribuente che il giudice di appello, nel riformare la sentenza della C.T.P., favorevole al contribuente, avrebbe omesso di pronunciarsi su tale eccezione, richiamata nell'atto di costituzione in appello dall'appellato vittorioso in primo grado;
3.2. il motivo è infondato e va rigettato; 3.3. come più volte ribadito da questa Corte, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logicogiuridica della pronuncia (Cass. n. 20311/2011, Cass. n. 3756/2013, Cass. n. 29191/2017); nel caso di specie, la decisione del giudice di appello, che ha ritenuto la validità dell'accertamento, non avendo il contribuente dimostrato l'effettivo sostenimento dei costi, presuppone il rigetto implicito dell'eccezione relativa alla sussistenza del potere accertativo dell'amministrazione;
4.1. con il quarto motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art.33 d.l. n. 269/2003, con riferimento all'art.360, comma 1, nn.3 e 4, c.p.c.;
con il quinto motivo, il ricorrente denunzia, con riferimento all'art.360, comma 1, n.5, c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, consistente nell'aver presentato in data 16 marzo 2004 comunicazione di adesione al concordato preventivo biennale di cui all'art.33, d.l. n. 269/03;
4.2. i motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono fondati e vanno accolti;
4.3. la disposizione normativa, nel testo in vigore a decorrere dal 10 gennaio 2004, stabilisce che: « 8. Per i periodi di imposta soggetti a concordato preventivo, relativamente al reddito d'impresa o di lavoro autonomo, sono inibiti i poteri spettanti all'amministrazione finanziaria in base alle disposizioni di cui: a) al primo comma, lettera d), secondo periodo, e secondo comma, lettere a), d) e d-bis), dell'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni; b) all'articolo 54, secondo comma, secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni; c) all'articolo 55, secondo comma, numero 3), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni» ed al successivo comma prevede poi che «8.bis. Per i medesimi periodi d'imposta di cui al comma 8, relativamente al reddito d'impresa o di lavoro autonomo, sono preclusi gli atti di accertamento qualora il maggiore reddito accertabile sia inferiore o pari al 50 per cento di quello dichiarato»;
come è stato chiarito, tra le due disposizioni esiste un rapporto di complementarità e non già di specialità, per cui l'adesione al concordato preventivo determina le limitazioni dei poteri di accertamento fissate dall'8° comma, nonchè la preclusione assoluta all'esercizio del potere di accertamento stabilita dal comma 8-bis «nella sola ipotesi in cui all'Ufficio apparisse accertabile, sulla base delle verifiche effettuate, un maggiore imponibile non superiore al 50% di quello dichiarato» (Cass. n. 13885/2018); il comma 8-bis, in particolare, fissa la soglia di preclusione degli atti di accertamento ragguagliandola al «maggiore reddito accertabile» e non già a quello accertato; il reddito accertabile è quello che l'Amministrazione può accertare, in caso di adesione del contribuente al condono fiscale del quale si discute e, quindi, non già quello che all'Amministrazione "appaia" accertabile, ma quello che risulta dall'esercizio dei soli poteri di accertamento non inibiti dall'8° comma; nel caso di specie è pacifico è che il ricorrente abbia aderito al condono fiscale biennale introdotto dall'art. 33 del d.l. n. 269/03, come convertito, per gli anni d'imposta 2003 e 2004; la stessa Agenzia espone al riguardo che, in applicazione di quel condono, il contribuente, che avesse concordato con l'Amministrazione ricavi dichiarati pari almeno alle percentuali indicate nel 4 comma della norma, tra gli altri benefici avrebbe ottenuto la limitazione dei poteri di accertamento dell'Amministrazione con riguardo ai due anni d'imposta coperti dal concordato; l'Ufficio, sul punto, contesta la circostanza che il contribuente, nel caso in esame, abbia soddisfatto le condizione di cui al comma 4 dell'art.33 citato, per cui avrebbe perso il beneficio della limitazione del potere accertativo nei suoi confronti; in particolare, l'Agenzia delle Entrate afferma che il contribuente, con la dichiarazione di adesione al concordato, si era impegnato a dichiarare, per l'anno di imposta 2004, un ammontare di ricavi pari almeno a quelli minimi concordati per il periodo di imposta precedente e che non aveva tenuto fede all'impegno preso con l'adesione, come risulterebbe dall'esame della dichiarazioni dei redditi; il ricorrente, invece, sostiene di aver rispettato tutte le condizioni di cui al comma 4 dell'art. 33 suddetto e, quindi, di aver diritto al beneficio della limitazione dei poteri di accertamento nella misura prevista dal successivo comma 8 bis (non essendovi nel caso di specie un accertamento induttivo dell'Amministrazione, ma la contestazione della deduzione di costi ritenuti inesistenti, perché non adeguatamente documentati e provati); con riferimento al requisito dei ricavi minimi da dichiarare, il ricorrente afferma che dal quadro Re dei Modelli Unico 2003, 2004 e 2005 risulterebbe l'incremento nella misura prevista dalla norma concordataria (vedi alla pag.39 del ricorso, in nota); a fronte delle deduzioni del ricorrente, introdotte fin nel primo grado di giudizio e reiterate in appello, il giudice di appello avrebbe dovuto verificare sia la ricorrenza dei presupposti di cui al comma 4 dell'art.33 d.l. n.269/03, sia se il risultato dell'attività di accertamento superasse la soglia del 50% del reddito dichiarato (ciò almeno in relazione all'accertamento della maggiore Irpef, poichè, per quanto riguarda l'IRAP, quest'ultima esula dalla portata applicativa dell'istituto del concordato preventivo biennale di cui all'art. 33 d.l. 30 settembre 2003, n. 269 -Sez. 5, Sentenza n. 14266 del 13/07/2016);
5.1. con il sesto motivo, il ricorrente denunzia la nullità della sentenza per la violazione dell'art.112 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.4, c.p.c.; secondo il ricorrente la C.T.R. avrebbe omesso ogni pronuncia in ordine all'eccezione, ritualmente sollevata con il ricorso originario e reiterata in appello, relativa alla doppia imposizione che verrebbe a realizzarsi sulle somme oggetto di recupero a tassazione, in quanto costi indeducibili per il sig. G., e tassate come reddito nei confronti della sig. A. (la moglie del contribuente); con il settimo motivo, il ricorrente denunzia, con riferimento all'art.360, comma 1, n.5, c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, consistente nell'aver omesso la C.T.R. di esaminare
se l'obbligazione tributaria dovesse considerarsi estinta, dato che la signora A., coniuge del contribuente, aveva provveduto al pagamento dell'imposta;
5.2. i motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono infondati e vanno rigettati;
5.3. in primo luogo, come osservato al punto 3.3., ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, evenienza che non si è verificata nel caso di specie, in cui la C.T.R. ha ritenuto che la pretesa tributaria fosse fondata, implicitamente rigettando l'eccezione fatta valere dalla parte, anche in mancanza di una specifica argomentazione sul punto; inoltre, "in tema di imposte sui redditi, la doppia imposizione si verifica soltanto nell'ipotesi di due avvisi di accertamento che assoggettino a tassazione il medesimo presupposto, non quando l'imposta venga chiesta in pagamento a fronte di due diversi titoli a due soggetti diversi" (Sez. 5 - , Ordinanza n. 27625 del 30/10/2018); nel caso di specie, come correttamente sostenuto dalla difesa erariale, non è consentito al contribuente spostare arbitrariamente l'imposizione tra di soggetti passivi diversi, tanto più se collegati da rapporto di controllo, atteso che l'eventuale rilievo di un comportamento fiscalmente illegittimo non può non comportare il recupero dell'imposta evasa; in conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al quarto ed al quinto motivo, nei sensi specificati in motivazione, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla C.T.R. dell'Umbria, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
la Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R. dell'Umbria, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. Roma 26 giugno 2019
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