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Cassata la sentenza che aveva rigettato l’appello della società contribuente. La motivazione era eccentrica rispetto all’oggetto della decisione. Accolto il ricorso della società. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “Trattasi di motivazione eccentrica rispetto all'oggetto della decisione, probabilmente riferentesi al primo accertamento compiuto dall'Amministrazione finanziaria e non già a quello integrativo oggetto del presente giudizio. 5.4. Tale motivazione, pertanto, è illogica e non è idonea a supportare la decisione di respingere la censura puntualmente proposta da XXX in ordine alle modalità con le quali sono stati determinati i ricavi da parte dell'Ufficio”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 34482 del 27 dicembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 10282/05/14 del 26/11/2014, la Commissione tributaria regionale della Campania - Sezione staccata di Salerno (di seguito CTR) respingeva l'appello proposto da U. s.r.l. (di seguito U.) avverso la sentenza n. 714/05/12 della Commissione tributaria provinciale di Avellino (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per IRES, IRAP ed IVA relativo all'anno d'imposta 2007.

1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l'avviso di accertamento (integrativo di precedente avviso) traeva origine da un processo verbale di constatazione redatto dall'Agenzia delle dogane di B., dal quale si evinceva che U.: a) non aveva mai presentato le dichiarazioni annuali e aveva omesso ogni versamento; b) aveva effettuato acquisti intracomunitari e cessioni per rilevanti importi; c) aveva omesso di presentare gli elenchi intrastat; d) non aveva esibito le scritture contabili. L'Ufficio recuperava, pertanto, a tassazione maggiori ricavi, applicando la percentuale di ricarico del venti per cento sugli acquisti intracomunitari non registrati e non dichiarati.

1.2. La CTR rigettava l'appello di U. evidenziando che: a) «l'amministratore unico pro tempore, NP, in carica nell'anno oggetto di accertamento, era formalmente e sostanzialmente il rappresentante legale della società e, come tale, ha agito in nome e per conto di quest'ultima, della quale era, tra l'altro, socio al 90%», con la conseguenza che non poteva ritenersi che le operazioni contrattuali poste in essere dall'amministratore fossero finalizzate alla realizzazione di un suo esclusivo interesse, essendosi la società avvantaggiata «dalla abusiva condotta del proprio apicale»; b) le violazioni fiscali commesse dall'amministratore erano, pertanto, imputabili alla società, che ne doveva rispondere; c) l'appellante non aveva provato l'errore in cui sarebbe incorso l'Ufficio nell'applicare una percentuale di ricarico del venti per cento sugli acquisti; d) la società era responsabile anche per le sanzioni alla stessa comminate.

2. U. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. 3. L'Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso U. deduce la violazione o la falsa applicazione degli artt. 72 e 73 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dell'art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell'art. 1 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, dell'art. 53 Cost., dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell'art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con modif. nella I. 24 novembre 2003, n. 326, dell'art. 5 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e degli artt. 1388, 1389, 1394, 1398 e 2384 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che l'imputazione dei rapporti instaurati dall'amministratore alla sfera giuridico patrimoniale della società trova comunque il suo limite nelle acclarate situazioni di conflitto di interesse e di eccesso di potere per violazione di legge e/o dell'oggetto sociale, situazioni che inibiscono la produzione degli effetti propri del rapporto di immedesimazione organica.

2. Con il secondo motivo di ricorso, involgente l'aspetto sanzionatorio, si deduce la violazione o la falsa applicazione dell'art. 6, comma 3, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e degli artt. 1388, 1389, 1394, 1398 e 2384 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto l'evidenziato limite di imputazione della condotta dell'amministratore alla società implica, altresì, la non debenza delle sanzioni.

3. I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati involgendo l'esame della medesima questione, sono infondati. 3.1. La CTR ha accertato in punto di fatto che: a) NP, legale rappresentante di U. e socio di maggioranza della stessa, ha agito in nome e per conto della società; b) le operazioni commerciali dallo stesso compiute non possono dirsi finalizzate all'esclusivo interesse dell'amministratore, atteso che U. si è avvantaggiata dalla sua condotta abusiva, «anche in conseguenza della sottrazione alle legittime pretese tributarie»; c) deve escludersi la natura fittizia di U., quale mero strumento per il perseguimento dei fini propri dell'amministratore.

3.2. Ciò posto, costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale «la commissione di un illecito da parte del legale rappresentante di un ente non interrompe il rapporto di immedesimazione organica e non esclude, pertanto, che del fatto possa rispondere anche l'ente, su vari piani, compreso quello fiscale, fatta eccezione per la sola responsabilità penale, avente carattere personale» (Cass. n. 12675 del 23/05/2018).

3.2.1. In particolare, è stato osservato che «la società, per il principio dell'immedesimazione organica, risponde civilmente degli illeciti commessi dall'organo amministrativo nell'esercizio delle sue funzioni, ancorché l'atto dannoso sia stato compiuto dall'organo medesimo con dolo o con abuso di potere, ovvero esso non rientri nella competenza degli amministratori, ma dell'assemblea, richiedendosi unicamente che l'atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell'attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa, e tali responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli amministratori, prevista dall'art. 2395 cod. civ.» (Cass. n. 25946 del 05/12/2011; si veda anche Cass. n. 20704 del 01/10/2014. Per Cass. n. 22616 del 24/10/2014, peraltro pronunciata in altra fattispecie, il rapporto di immedesimazione organica tra il rappresentante legale e la società rappresentata non è reciso neanche quando l'atto sia compiuto dall'amministratore con dolo o abuso di potere o non rientri nella sua competenza).

3.2.2. Il rapporto di immedesimazione organica viene, pertanto, meno solo allorquando gli atti posti in essere non siano pertinenti all'azione della società e non rispondano ad un interesse riconducibile, anche indirettamente, all'oggetto sociale (così Cass. n. 20704 del 2014, cit.).

3.3. Tale circostanza, indubbiamente dedotta da parte ricorrente, è stata, peraltro, esclusa dalla CTR non solo in punto di diritto, ma anche in punto di fatto, avendo la stessa affermato che il rappresentante ha agito per conto della società e escluso che le operazioni effettuate siano state «finalizzate all'esclusivo interesse personale dell'amministratore, in prospettato conflitto di interessi con la società, la quale si è obiettivamente avvantaggiata (anche in conseguenza della sottrazione alle legittime pretese tributarie) dell'abusiva condotta del proprio apicale».

3.3.1. Si noti che la sentenza impugnata ha escluso non solo il conflitto di interessi, ma anche, implicitamente, l'esorbitanza dall'oggetto sociale, posto che quest'ultima si caratterizzerebbe (nella prospettazione della società contribuente) esclusivamente nella natura fittizia e fraudolenta delle operazioni effettuate (come si evince dal ricorso e dalla stessa narrativa in fatto compiuta dalla CTR), e che la circostanza che le stesse siano fraudolente non esclude la loro riconducibilità all'oggetto sociale.

3.3.2. Ne consegue che la statuizione della sentenza impugnata è corretta, avendo la stessa ritenuto - diversamente da quanto argomentato dalla ricorrente - l'insussistenza, in concreto, del conflitto di interessi e della estraneità delle operazioni effettuate dall'amministratore all'oggetto sociale. 3.3.3. Né è possibile, sotto il profilo della violazione di legge, rimettere in discussione l'accertamento in fatto del giudice di merito, all'uopo dovendo essere formulata una apposita censura motivazionale, cui osta nel caso di specie il divieto conseguente dalla sussistenza di una doppia conforme di merito.

3.4. Il primo motivo va, dunque, rigettato, nella parte in cui si deduce una insussistente violazione di legge, e va dichiarato inammissibile, nella parte in cui la ricorrente intende accreditare una diversa valutazione dei fatti rispetto a quella ritenuta dalla CTR.

3.5. La riconducibilità delle operazioni effettuate dall'amministratore di U. alla società implica altresì la debenza delle relative sanzioni (cfr. Cass. n. 20113 del 16/11/2012), con conseguente rigetto anche del secondo motivo.

4. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 132, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziandosi che l'iter logico della motivazione della CTR in ordine alla legittimità dell'accertamento è completamente estraneo ai fatti contestati e alla decisione. 5. Il motivo è fondato. 5.1. Dalle trascrizioni dell'avviso di accertamento e delle difese delle parti contenute nel ricorso introduttivo si evince chiaramente che l'ammontare dei ricavi è stato determinato sulla base delle indagini bancarie effettuate, sommando prelevamenti e versamenti e deducendo costi di ammontare pari ai prelevamenti.

5.2. La sentenza impugnata ha ritenuto, invece, legittimo il computo dei ricavi operato dall'Ufficio, applicando una percentuale di rìcarico del venti per cento sugli acquisti.

5.3. Trattasi di motivazione eccentrica rispetto all'oggetto della decisione, probabilmente riferentesi al primo accertamento compiuto dall'Amministrazione finanziaria e non già a quello integrativo oggetto del presente giudizio. 5.4. Tale motivazione, pertanto, è illogica e non è idonea a supportare la decisione di respingere la censura puntualmente proposta da U. in ordine alle modalità con le quali sono stati determinati i ricavi da parte dell'Ufficio.

6. In conclusione, va accolto il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri, e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma il 13 novembre 2019.

 

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