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Il contribuente può difendersi dalle accuse di evasione depositando dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, le quali devono essere valutate. La Cassazione accoglie il ricorso del contribuente.

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Estratto: “è necessario riconoscere che, al pari dell'Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi. 3.4. Come rilevato da questa Corte, «nel pieno rispetto della "parità di armi" tra fisco e contribuente, il diritto vivente ammette l'introduzione indiziaria nel processo tributario di dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 13174 del 16 maggio 2019

Rilevato che:

Con separati ricorsi R. impugnava gli avvisi di accertamento, con i quali l'Agenzia delle Entrate, all'esito di indagini bancarie, aveva rettificato, per gli anni d'imposta 2004 e 2005, la dichiarazione dei redditi del contribuente, deducendo la mancanza di autorizzazione a procedere alla raccolta di dati bancari, la violazione dell'art. 32 del d.P.R. n. 600/1973 e la infondatezza della ricostruzione dei maggiori redditi. La Commissione tributaria provinciale, riuniti i ricorsi, li accoglieva, ritenendo che le dichiarazioni sostitutive dei familiari prodotte dal contribuente fossero idonee a provare che ingenti somme erano allo stesso pervenute per donazione paterna. Proposto appello dall'Ufficio - che aveva ribadito che il R. durante gli anni 2004 e 2005 aveva eseguito versamenti in conto futuro aumento di capitale sociale per euro 2.495.000,00 alla società R. s.p.a. ed eccepito che per altre due società, la C. s.r.l. e la F. s.r.I., alle quali il R. partecipava nella misura del 50%, vi erano stati versamenti in conto futuro aumento di capitale sociale per euro 7.106.409,00 nell'anno 2005 - la Commissione tributaria regionale, respinta la eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata dal contribuente, riformava la sentenza di primo grado, confermando gli avvisi di accertamento, motivando che «nel merito il valore probatorio delle dichiarazioni sostitutive rese da parenti ed una resa da altro soggetto il quale riferisce di notizie apprese dal Sig. O.r. in punto di morte, a parere di questo Collegio, non assurgono a prova idonea a giustificare le ingenti somme di moneta contante transitate dal de cuius Sig. O.R. al figlio Sig. M.R.». Avverso la suddetta decisione ricorre per cassazione M.R., con tre motivi, cui resiste l'Agenzia delle Entrate mediante controricorso.

Considerato che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 327 cod. proc. civ., così come modificato dall'art. 46, comma 17, della legge n. 69/2009, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., lamenta che i giudici di appello hanno erroneamente rigettato l'eccezione di inammissibilità dell'appello, pur avendo l'Agenzia delle Entrate notificato l'atto di appello dopo il decorso del termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di primo grado, essendo stato il giudizio instaurato, con i ricorsi introduttivi, dopo il 4 luglio 2009, e precisamente con il deposito degli stessi intervenuto in data 13 luglio 2009, e, pertanto, nella vigenza della nuova disciplina introdotta dall'art. 46, comma 17, della legge n. 69/2009. 2. Il motivo è infondato. 2.1. Il giudizio di primo grado è iniziato anteriormente al 4 luglio 2009, dovendo aversi riguardo, a tal fine, secondo i principi generali in tema di litispendenza, al momento in cui la notifica del ricorso introduttivo del giudizio si è perfezionata - nella specie, come pacificamente evidenziato da entrambe le parti, in data 26 giugno 2009 - con la ricezione dell'atto da parte dell'Ufficio destinatario, e non già alla data di deposito del ricorso, avvenuta in data 13 luglio 2009. 2.2. Deve, dunque, applicarsi il termine lungo di un anno, oltre a 46 giorni, per la sospensione feriale, atteso che la modifica dell'art. 327 cod. proc. civ., introdotta dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all'originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell'art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009 (Cass. 19959 del 10/8/2017).

3. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che i giudici di appello hanno fornito una insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare, evidenzia che la Commissione regionale, nell'accogliere l'appello dell'Ufficio, si è limitata a richiamare la sentenza della Corte Costituzionale n. 18 del 21/1/2000 e ad affermare che le dichiarazioni sostitutive non potessero assurgere a prova idonea a giustificare le somme transitate dal de cuius O.R. al figlio, odierno ricorrente, senza tenere conto che nel corso del giudizio di merito, a fronte delle presunzioni offerte dall'Ufficio, non erano stati prodotti soltanto atti sostitutivi di notorietà, ma era stata esibita ulteriore documentazione, quali assegni, estratti conto, atti di vendita e ricevute di pagamento. Fa, altresì, rilevare che gli atti notori depositati costituiscono valida giustificazione delle operazioni segnalate in sede di verifica, rivestendo valore di elementi indiziari, considerato che il divieto di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 546/1992 si riferisce alla sola prova testimoniale nella sua accezione tipica, ma non preclude al giudice tributario di porre a fondamento della decisione dichiarazioni di soggetti terzi acquisite dalle parti processuali.

3.1. Il motivo è fondato. 3.2. Va premesso che questa Corte ha avuto modo di affermare che «nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice» (Cass. n. 9080 del 7/4/2017; Cass. n. 8639 del 5/4/2013; Cass. n. 5746 del 10/3/2010). Si è, al riguardo, precisato che tali dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all'art. 2729 cod. civ., danno luogo a presunzioni (Cass. n. 9402 del 20/4/2007); infatti, dal divieto di ammissione della prova testimoniale non discende la inammissibilità della prova per presunzioni, ai sensi dell'art. 2729, comma 2, cod. civ. - secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova testimoniale - poiché questa norma, attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei giudici tributari, non è applicabile nel contenzioso tributario (Cass. n. 22804 del 23/10/2006; Cass. n. 960 de 21/1/2015).

3.3. Al fine di evitare che l'ammissibilità di tali dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di uguaglianza delle parti, è necessario riconoscere che, al pari dell'Amministrazione finanziaria, anche il contribuente possa introdurre nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale per far valere le proprie ragioni e tali dichiarazioni devono assurgere a rango di indizi, che necessitano di essere valutati congiuntamente ad altri elementi.

3.4. Come rilevato da questa Corte, «nel pieno rispetto della "parità di armi" tra fisco e contribuente, il diritto vivente ammette l'introduzione indiziaria nel processo tributario di dichiarazioni rese da terzi in sede extra processuale (Corte Cost. 18 del 2000; Cass. n. 20028 del 30/9/2011), sebbene esse non siano assunte o verbalizzate in contraddittorio da nessuna norma richiesto» (Cass. 21812 del 5/12/2012; Cass. n. 960 del 21/1/2015).

3.5. L'attribuzione di valenza indiziaria delle dichiarazioni dei terzi anche in favore del contribuente non contrasta, d'altro canto, con l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla I. 4 agosto 1955, n. 848, atteso che la Corte Europea dei diritti dell'uomo, a tal proposito, ha chiarito che «l'assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile» (Corte EDU 23 novembre 2006, ricorso n. 73053/0143, .Iussilla contro Finlandia, e 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia).

3.6. A conforto di ciò, la Corte Costituzionale, dichiarando manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate riguardo al divieto di prova testimoniale nel processo tributario, sia con riferimento all'art. 35, comma 5, del d.P.R. n. 636/1972 (ord. 506/1987, 91/1989, 6/1991, 328/1992), sia con riferimento all'attuale art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992 (Corte Cost. n. 18 del 2000), ha statuito che «la limitazione probatoria stabilita dall'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546/1992 non comporta l'inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi eventualmente raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale», trattandosi di dichiarazioni rese al di fuori e prima del processo, diverse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale, richiede la formulazione di capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio; ha rilevato, tuttavia, che tali dichiarazioni hanno efficacia minore rispetto alla prova testimoniale e possono considerarsi come meri argomenti di prova, da soli non idonei a formare il convincimento del giudice in assenza di riscontri oggettivi.

3.7. Ciò posto in linea generale, nel caso che ci occupa, la Commissione regionale, dopo avere richiamato le statuizioni della sentenza della Corte Costituzionale n. 18 del 2000, ha affermato, in assenza di adeguata motivazione, che le dichiarazioni sostitutive rese dai parenti e da un terzo, prodotte dal contribuente al fine di dimostrare che parte delle somme oggetto di contestazione erano riconducibili ad elargizioni di cui il padre aveva voluto beneficiarlo, sebbene ammissibili, non potessero assurgere « a prova idonea a giustificare le ingenti somme di moneta contante transitate dal de cuius O.R. al figlio M.R.». Trattasi di affermazione assertiva che non consente di ricostruire l'iter logico-giuridico seguito dal giudice di merito che lo ha indotto ad escludere che le dichiarazioni sostitutive di terzi potessero avere anche solo valenza indiziaria idonea a superare le presunzioni offerte dall'Amministrazione e che evidenzia una sostanziale inadeguata valutazione delle risultanze probatorie.

4. L'accoglimento del secondo motivo consente di dichiarare assorbito il terzo motivo del ricorso, con il quale il contribuente, in via subordinata al rigetto dei primi due motivi di ricorso, ha eccepito la illegittimità costituzionale dell'art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 24 della Costituzione.

5. In conclusione, l'accoglimento del secondo motivo impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo motivo e dichiara assorbito il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma nella camera di consiglio il 29 nnarzo 2019

 

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