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Fornitura illecita di manodopera. I costi sono comunque deducibili. Ben poteva il giudice, come ha fatto, annullare integralmente (e non parzialmente) tutti gli avvisi: non vi era vizio di extrapetizione. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “è ravvisabile vizio di extrapetizione soltanto allorquando il giudice d'appello pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, oppure su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d'ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; non è invece precluso al giudice del gravame l'esercizio del potere-dovere di qualificare diversamente i fatti”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 3611 del 7 febbraio 2019

Rilevato che

- con sentenza n. 102/33/10, depositata in data 15 novembre 2010, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l'appello proposto da Z s.n.c. di AZ & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, AZ e GZ, nei confronti dell'Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 192/01/2008 della Commissione tributaria provinciale di Pavia che aveva, previa riunione, rigettato i ricorsi proposti dai suddetti contribuenti nei confronti dell'Agenzia avverso gli avvisi di accertamento XXX, XXX, XXX, con i quali l'Ufficio aveva contestato nei confronti della società, esercente attività di produzione di carne di volatili e prodotti della macellazione, nonché dei soci, per l'anno di imposta 2003, maggiore materia imponibile, ai fini Irpef, Irap e Iva, recuperando a tassazione costi ritenuti indebitamente dedotti in relazione a fornitura illecita di manodopera da parte di altre aziende (ditta AZ e A. e A. soc. Cooperativa) per la macellazione degli animali;

- la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha affermato che:

1) pur essendo stato accertato, in via definitiva, dal Tribunale di Pavia, con sentenza n. 26/2007, il reato, ex art. 14, comma 4bis, della legge n. 537 del 1993, di fornitura illecita di manodopera, i costi sostenuti dalla Z. s.n.c., erano relativi alla retribuzione del lavoro di terzi estranei all'illecito, e costituivano "esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti", con conseguente integrazione della clausola di salvaguardia prevista dall'art. 14 cit.;

2) i detti costi erano certi ed inerenti anche in quanto iscritti nelle scritture contabili della Z. s.n.c.;

3) i costi recuperati a tassazione derivavano da fornitura illecita di manodopera ma non da ricavi illeciti in quanto l'attività svolta dalla società contribuente, cui inerivano, era lecita;

- avverso la sentenza della CTR, l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resistono, con controricorso, Z. s.n.c. di AZ. & C. in persona del legale rappresentante pro tempore, AZ e GZ;

- l'Agenzia delle entrate ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell'art. 380bis.1. c.p.c., nella quale ha insistito per l'accoglimento del primo motivo di ricorso, rappresentando, quanto al secondo e terzo motivo, la sopravvenuta carenza di interesse dell'Amministrazione alla decisione, a seguito di autotutela parziale disposta dall'Ufficio, con conseguente richiesta di declaratoria di cessazione della materia del contendere;

- il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, secondo comma, e dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall'art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.

Considerato che

- con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., per essere incorsa la sentenza impugnata della CTR nel vizio di ultrapetizione, avendo, in accoglimento dell'appello dei contribuenti, annullato integralmente gli avvisi di accertamento, ancorché questi ultimi fossero basati su nove rilievi e gli appellanti avessero limitato l'atto di gravame al primo rilievo- concernente l'assunta indebita deduzione di costi e detrazione di Iva relativi alla illecita fornitura di manodopera- oltre alle sanzioni, prestando acquiescenza agli altri rilievi; - il motivo è infondato;

- è ravvisabile vizio di extrapetizione soltanto allorquando il giudice d'appello pronunci oltre i limiti delle richieste e delle eccezioni fatte valere dalle parti, oppure su questioni non dedotte e che non siano rilevabili d'ufficio, attribuendo alle parti un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; non è invece precluso al giudice del gravame l'esercizio del potere-dovere di qualificare diversamente i fatti, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste contenute nell'atto di impugnazione e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell'ambito delle questioni sottoposte al proprio esame (tra varie, Cass., 18830 del 2017; n. 296 del 2016; n. 16213 del 2015);

- peraltro, va ricordato che, l'esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l'effettiva volontà del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del "dictum" giudiziale (Cass. n. 24600 del 2017);

- nella specie, non è dato ravvisare il denunciato vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, dovendo il dispositivo di annullamento, in riforma della pronuncia di primo grado, degli avvisi di accertamento in questione, essere letto alla luce delle conclusioni dei contribuenti in sede di gravame - riportate nella parte in fatto della medesima sentenza - di annullamento del solo rilievo n. 1 degli atti impugnati nonché dei conseguenti provvedimenti sanzionatori e a tale petitum va circoscritto i/ dictum del giudice di seconde cure;

- con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 241 del 1990, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 7 della legge n. 212 del 2000, avendo la CTR ritenuto erroneamente invalidi gli avvisi accertamento in questione per una "evidente contraddizione, in quanto un conto è affermare la indeducibilità dei costi per violazione del principio di inerenza (ex art. 109 TUIR) e, un altro, sancire la non deducibilità per violazione dell'art. 14, c. 4bis, della legge n. 537/93", ancorché la motivazione degli atti impositivi, lungi dal richiamare l'art. 109 TUIR, facesse rinvio per relationem al contenuto del già notificato p.v.c. della G.d.F. nel quale l'unica contestazione era in merito alla indebita detrazione di Iva e deduzione di costi relativi ad attività di interposizione fittizia di manodopera, in violazione degli artt. 14, comma 4bis della legge n.

537/93, 1 e 2 della legge n. 1369/60 prima e 4, 5,18,20,21,28 e 29 del d.lgs. n. 276/2003;

- con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art.360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt.14, comma 4bis, della legge n. 537 del 1993 e 18 del D.Igs. n. 276 del 2003, per avere la CTR ritenuto erroneamente deducibili i costi relativi alla, pur riconosciuta, illecita fornitura di manodopera, sulla base di argomentazioni irrilevanti, quali, da un lato, la asserita liceità dell'attività imprenditoriale svolta dalla società contribuente, e, dall'altro, la assunta applicazione della clausola di salvaguardia concernente la salvezza dell'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti ravvisati nella retribuzione del lavoro prestato dalla manodopera, anche se illecitamente fornita da altre aziende;

- in particolare, ad avviso dell'Ufficio, ai fini della deducibilità dei costi relativi alla accertata illecita fornitura di manodopera, alcuna rilevanza assumeva né la liceità dell'attività imprenditoriale svolta dalla società contribuente, presupponendo l'art. 14, comma 4bis, cit., esclusivamente che nell'ambito di tale attività (lecita o illecita) determinati costi fossero riconducibili a situazioni penalmente rilevanti, né il richiamo al diritto alla retribuzione dei lavoratori, non essendo configurabile alcun esercizio di diritti costituzionalmente garantiti avuto riguardo all'utilizzo di prestazioni lavorative attraverso schemi rientranti in fattispecie di reato;

- i motivi secondo e terzo vanno dichiarati inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse dell'Amministrazione finanziaria, avendo quest'ultima rappresentato nella memoria illustrativa depositata, ai sensi dell'art. 380bis.1. c.p.c., la disposta autotutela parziale a seguito della novella di cui all'art. 8 del d.l. n. 16/12, convertito dalla I. n. 44/2012, che ha modificato l'art. 14, comma 4bis, della legge n. 537/93;

- in conclusione, va dichiarato infondato il primo motivo di ricorso, inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse il secondo e il terzo;

- in considerazione della peculiarità della vicenda processuale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità; Per questi motivi la Corte: dichiara infondato il primo motivo di ricorso, inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse il secondo e il terzo; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità; Cosi deciso il 4 ottobre 2018, e il 13 novembre 2018 in seconda convocazione;

 

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