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Medico ottiene il rimborso IRAP: manca l’autonoma organizzazione Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Nel procedimento deciso dalla Commissione Tributaria si è ritenuto che la presenza di 3 o 4 collaboratori non fosse determinante per ritenere in ogni caso dovuta, da parte del medico, l’IRAP. La capacità produttiva infatti, si afferma, dipende anche dal numero dei pazienti. L’Agenzia delle Entrate dovrà dunque restituire quanto versato.

Massima: "Non sono soggetti all'Irap i redditi derivanti dall'attività professionale di medico di medicina generale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale esercitata con l'impiego di strumenti diagnostici e di personale ausiliario (di segreteria od anche infermieristico). Tali supporti organizzativi non incidono infatti in modo apprezzabile sulla capacità produttiva, questa dipendendo in misura pressoché esclusiva dal numero degli assistiti".

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Commissione Tributaria di II grado di Bolzano

Sentenza n. 18/01/2017 del 17/02/2017

Sez. 1

Con sentenza 19.1.-16.2.2016 n. 22/16 la Commissione tributaria di primo grado di Bolzano accolse il ricorso proposto da P.O., medico di medicina generale, avverso ii silenzio rifiuto serbato dall'amministrazione finanziaria in ordine alla sua istanza di rimborso degli importi versati a titolo di IRAP anni 2006, 2007, 2008 e 2009, ritenendo che ii ricorrente non disponesse per l'esercizio della sua professione di un'autonoma organizzazione, con condanna dell'amministrazione al rimborso dell'importo totale di € 19.011,85 oltre interessi.

Contro tale decisione propone appello l'Agenzia delle entrate rilevando che nel caso di specie fosse presente un'attività autonomamente organizzata, in quanto eccedente rispetto il minimo standard previsto per l'esercizio della professione medica convenzionata con ii servizio sanitario, risultando in primo luogo la presenza di tre dipendenti/collaboratori negli anni dal 2006 al 2008 e quattro dipendenti/collaboratori nel 2009 ed in secondo luogo spese annuali che vanno da € 42.700,00 ad € 47.170,00 che non potrebbero essere considerate irrilevanti ai fini di valorizzare il requisito dell'autonoma organizzazione, e rilevando infine che l'istante appellato non avesse mai assolto l'onere su di esso gravante di provare, a fronte di tali elementi, l'assenza di struttura organizzativa presupposto per l'applicazione dell'imposta in discussione.

In contribuente appellato ha presentato controdeduzioni, ribadendo l'assenza di attività professionale autonomamente organizzata e chiedendo il rigetto dell'appello.

In vista dell'udienza di discussione dell'appello l'amministrazione ha presentato breve memoria con documentazione richiamata.

 Alla pubblica udienza del 10.2.20 17 le parti hanno ribadito cd ulteriormente illustrato le rispettive posizioni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La questione se l'attività medica in regime di convenzione con l'azienda sanitaria debba essere considerata "attività autonomamente organizzata diretta ... alla prestazione di servizi"è variamente dibattuta nella giurisprudenza, anche dei giudici di legittimità. Si possono ricordare, per citare soltanto alcune, le decisioni 19.12.2014 n. 2699, 18.2.2014 n. 3755, 5.2.2014 n. 2589, 25.9.2013 nn. 22019 e 22020 della suprema Corte.

Particolarmente cospicua appare la sentenza 25.9.20 13 n. 22019 che, ponendo in luce i fondamenti giuridici dell'imposta in esame, con speciale riferimento a realtà economiche di tipo professionale, offre validi e condivisibili criteri di valutazione:

''Ritiene il Collegio che si debbano prender le mosse dai principi costituzionali, cosi come -da ultimo- enunciati nella sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 11 ottobre 2012 che ha dichiarato l'illegittimità della norma, ritenuta di natura tributaria, che ha imposto un particolare onere fiscale sulle retribuzioni dci pubblici dipendenti che superino un certo "tetto”. Afferma la Corte che gli artt. 3 e 53 Cost impongono al legislatore un “uso ragionevole dci suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di determinare la coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell'entità dell'imposizione (sentenza n. 111 del 1997). E cioè consentito al legislatore di sottoporre una parte dei contribuenti a specifici oneri maggiori e diversi rispetto a quelli che colpiscono ogni forma di ricchezza, ma tale specifica imposizione deve poggiare su una qualche razionale giustificazione, che può discendere - in primo luogo- dalla maggiore "ricchezza ''dei contribuenti colpiti (il proprietario di immobili che ricavi da essi un certo reddito e senza dubbio “più ricco” di chi percepisca il medesimo reddito come frutto di lavoro dipendente), ma anche dalla circostanza che i contribuenti sottoposti ad ulteriori specifici oneri usufruiscono in misura maggiore di determinati pubblici servizi; cagionando con la  loro attività l'esigenza di maggiori spese pubbliche. Quest'ultima ipotesi Si verificava ad esempio nella Imposta Comunale sulle Attività produttive (ICIAP) abolita dalla legge istitutiva dell'IRAP. l'ICIAP trovava cioè (in base alla sentenza n. 238 del 13 maggio 1993 della Corte Costituzionale). Giustificazione costituzionale nella “particolare utilizzazione dei servizi comunali da parte dei soggetti ". Ma la sottoposizione ad Irap non è rapportala alla (sia pure solo potenziale) maggiore fruizione dei servizi pubblici. Dunque l'IRAP deve trovare giustificazione in una specifica capacità contributiva del soggetto colpito dalla imposta; e la cennata esigenza di ragionevolezza che eviti ingiuste discriminazioni ha determinato una modifica legislativa che appare determinante ai fini della decisione della presente controversia. Nel suo testo originario, il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2 assoggettava alla Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP)"l'esercizio abituale di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi"; e quindi colpiva ogni attività degli esercenti professioni intellettuali che possedesse il requisito della "abitualità” cioè non fosse esercitata occasionalmente. II D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137, ha però aggiunto nel citato art. 2 la specificazione secondo cui la attività deve essere "autonomamente organizzata” (quando non sia riferibile a società). Queste due parole sono state introdotte allo scopo di inserire un fattore di razionalità costituzionale nel sistema, ancorché tale inserimento abbia determinato una deroga alla coerenza logica del tributo che, nella sua versione originaria, coinvolgeva -senza deroghe- ogni forma di attività produttiva non occasionale. È infatti pacifico che la riforma del 1998 ha escluso dall'applicazione dell'IRAP anche professionisti con elevati guadagni quando alla realizzazione di tali guadagni non concorra alcuna organizzazione o concorra una organizzazione ad essi non riconducibile (come accade nel caso dell'attore che reciti in una struttura di spettacolo da altri organizzata e diretta, del chirurgo libero professionista che operi in una clinica altrui, di chi ha svolto attività di amministratore o sindaco utilizzando le strutture messe a disposizione dalla azienda amministrata) La modifica del 1998 mirava però a prevenire un intervento del Giudice delle leggi analogo a quello che aveva in passato escluso dall'applicazione dell'ILOR la quasi totalità dei lavoratori autonomi (sentenza n. 42/1980). Ed infatti la sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 10 maggio 2001...ha ritenuto che l'imposta in parola sia legittima proprio perché non colpisce qualunque attività produttiva, ma solo quelle che siano “autonomamente organizzate”; di guisa che non risulta un'imposta sul (mero) lavoro autonomo ma un' imposta sulla capacità produttiva che deriva dalla “autonoma organizzazione” che deve far capo al contribuente. E la "autonoma organizzazione'' deve costituire un qualcosa di ulteriore e diverso rispetto a quella razionale autoorganizzazione che necessariamente accompagna qualunque attività professionale svolta abitualmente, deve essere un “quid pluris" che giustifichi l'imposizione ai "lavoratori autonomi organizzati" di un onere fiscale che non colpisce invece i lavoratori subordinati (e che coinvolge tutto il loro reddito professionale e non solo la quota parte ricollegabile alla autonoma organizzazione). Di conseguenza, la Corte Costituzionale ha demandato ai giudici tributari (ed alla Cassazione) il compito di definire quando il contribuente disponga di una propria “autonoma organizzazione” in modo da garantire una applicazione "ragionevole" della norma in questione. Si afferma quindi con giurisprudenza che può dirsi pacifica che l'IRAP coinvolge una capacità produttiva che può non essere compiutamente autonoma (cioè derivare da strutture autosufficienti) ma deve pur sempre essere "impersonale ed aggiuntiva" rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa "esterna ", cioè da "un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto etc..)”, cosicché è “il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista ad essere interessato dall'imposizione che colpisce l'incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale''(Cass. Trib. 15754/2008; vedi da ultimo la sentenza n. 19769 del 28 agosto 2013).”

La giurisprudenza di legittimità è andata evolvendosi nel senso che non comporta di per sé un valore aggiunto rilevante l'impiego di dipendenti con mansioni esecutive o di mezzi strumentali per 10 svolgimento dell'attività professionale (Cass. SU n. 9451/16).

Ciò rileva in particolare per i medici di base in quali sono soggetti ad una disciplina che in via di principio rende la capacità di reddito insensibile alla dotazione di beni strumentali e l'impiego di personale. Appaiono al riguardo convincenti gli argomenti adotti dall'appellato che l'attività del medico di base e strettamente regolata dalla convenzione con il servizio sanitario che prevede orari minimi, requisiti dei locali di esercizio, controlli, limiti di età ed in particolare un numero massimo di assistiti, di modo che ii reddito del medico non dipende in maniera apprezzabile ne dalla disponibilità di strumenti di diagnosi o di cura, ne dalla presenza di personale ausiliario, ma soltanto dal numero di pazienti.

D'altronde si è osservato che non sarebbe giusto gravare di Irap il sanitario che si attrezza in maniera migliore con costosi strumenti di diagnosi e con personale ausiliario ed investe quindi di più nella qualità del servizio reso ai pazienti sopportando maggiori costi, e ritenere invece esente da imposta il sanitario con lo stesso numero di pazienti e quindi con gli stessi ricavi, ma che risparmia su costi per strumenti e personale ausiliario e consegue in definitiva un reddito maggiore.

Venendo al caso concreto, sebbene ii contribuente non si fosse in concreto prodigato a fornire prova della mancanza di requisiti di applicazione dell'imposta in questione, dalla documentazione fiscale prodotta (estratti dichiarazione dci redditi e dichiarazioni Irap) emerge comunque in maniera sufficientemente chiara che egli trae la quasi totalità del suo reddito dall'attività di medico generico convenzionato, che egli deduce costi molto modesti per beni strumentali e per servizi professionali altrui, spese per locazione e spese per lavoro dipendente tra € 18.000, 00 ad € 22.000,00 dal 2006 al 2009, dati dai quali si può senz'altro desumere, in combinazione con la richiamata disciplina particolare dell'attività esercitata e della sua modalità di remunerazione, che l'organizzazione della quale ii contribuente si  dotato 6 piuttosto rivolta ad una migliore qualità della sua prestazione professionale e non comporta alcun valore aggiunto in termini di capacita produttiva, ovvero con altre parole non rappresenta un fattore "impersonale cd aggiuntivo" alla sua produttività e non comporta una struttura "autonomamente organizzata" della sua attività, ma costituisce semplicemente una comodità per ii professionista (e per i suoi pazienti), senza effetto apprezzabile sulla produttività della sua attività.

La sentenza impugnata, correttamente ad avviso di questo collegio, ha escluso la ricorrenza di un'attività autonomamente organizzata, e va perciò confermata. 

In relazione all'incertezza, nella stessa giurisprudenza di legittimità, sul punto, indotta peraltro da una definizione normativa tutt'altro che chiara, cd ii modesto impegno probatorio dell'appellato appare giusto disporre la compensazione delle spese di giudizio.

PQM

La Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano pronunciando sull'appello avverso la sentenza 19.1.-16.2.2016 n. 22/16 della Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano,

respinge

l'appello con compensazione delle spese di giudizio;

Così deciso in Bolzano, 10.2.2017

 

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