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Cessione complesso industriale. Agenzia voleva tassare a parte la vendita dei beni mobili presenti al suo interno perché non specificamente indicati nel preliminare. Ricorso accolto sotto numerosi profili. Agenzia tassava 2 volte (doppia imposizione) Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “la CTR si è limitata ad affermare che mobili e impianti non rientrano nell'ambito della vendita, omettendo di spiegarne le ragioni; né la CTR ha chiarito i motivi per i quali l'esclusione di detti beni dalla vendita avrebbe dovuto lasciare inalterato il prezzo della cessione, così determinando l'esistenza di una ulteriore plusvalenza tassabile, senza che si incorra nel divieto di doppia imposizione”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 34481 del 27 dicembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 116/26/11 del 17/11/2011, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) respingeva l'appello proposto da W. s.r.l. (di seguito W.) avverso la sentenza n. 123/04/10 della Commissione tributaria provinciale di Varese (di seguito CTP), che aveva respinto il ricorso proposto dalla contribuente nei confronti di un avviso di accertamento per maggiori imposte IRES, IRAP ed IVA relative all'anno 2005.

1.1. Come emerge anche dalla sentenza impugnata l'avviso di accertamento era stato emesso per plusvalenze non dichiarate, per esistenza di attività non dichiarate e per omessa contabilizzazione di ricavi.

1.2. La CTR motivava il rigetto dell'appello osservando quanto segue: a) «la ripresa delle plusvalenze non dichiarate si è basata sul fatto che il trasferimento di beni particolari, non costituendo questi oggetto della cessione del complesso industriale, avrebbero dovuto costituire elemento di autonoma fatturazione» ai sensi dell'art. 86 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; b) «le maggiori rimanenze finali di materie prime fanno emergere l'esistenza di attività non dichiarate e inducono ad essere considerate come componenti positivi di reddito»; c) la «omessa contabilizzazione dei ricavi (...) deriva dalle anomalie evidenziate dall'Ufficio, in base ai riscontri fatti in ordine ai soggetti coinvolti, sia con riguardo all'oggetto dell'attività esercitata (non rientrante in quella dello smaltimento specifico), che, addirittura, con accertamento dell'inizio della loro attività in epoca posteriore alla formulazione dei formulari relativi, compilati dalla contribuente».

2. W. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a nove motivi. 3. L'Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso W. deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui la CTR ha concluso che il trasferimento dei cespiti "mobili d'ufficio", "impianti allarme" e "impianto telefonico" debbano ritenersi esclusi dall'oggetto della compravendita del complesso industriale, senza motivare sulle ragioni di fatto e di diritto che hanno condotto a questa conclusione.

2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, sempre in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto non dichiarata la plusvalenza realizzata dalla cessione dei beni rientranti nelle categorie "mobili d'ufficio", "impianti allarme" e "impianto telefonico".

3. Con il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso si contesta, rispettivamente, la violazione dell'art. 86 del d.P.R. n. 917 del 1986, la violazione degli artt. 163 del d.P.R. n. 917 del 1986 e 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e la violazione dell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la sentenza impugnata avrebbe illegittimamente ritenuto la necessità di una separata fatturazione per "mobili d'ufficio", "impianti allarme" e "impianto telefonico", risolvendosi tale ritenuto obbligo in una sostanziale doppia imposizione.

4. I cinque motivi, involgendo questioni connesse, possono essere trattati congiuntamente.

4.1. Come emerge dalle trascrizioni di cui al ricorso di parte ricorrente, la contestazione dell'Ufficio ha riguardato l'atto di cessione stipulato da W. alla L. s.p.a. ed avente ad oggetto un complesso industriale sito nel Comune di C., cessione documentata dalla fattura n. 470/21 del 29/12/2005 di euro 835.000,00, somma ripartita in quota parte anche a "mobili d'ufficio", "impianti allarme" e "impianto telefonico".

4.1.1. Secondo la prospettazione dell'Ufficio, i predetti beni non sarebbero ricompresi nel preliminare di vendita e, pertanto, non costituendo oggetto di compravendita, avrebbero dovuto essere separatamente fatturati, dando vita ad un'autonoma ed ulteriore plusvalenza.

4.1.2. Secondo la prospettazione della ricorrente, invece, i beni più sopra descritti costituirebbero immobili per destinazione, anche se non specificamente richiamati nel compromesso di vendita, che comunque fa riferimento espresso agli impianti tecnologici; detti beni, del resto, per le loro caratteristiche intrinseche, non sarebbero utilizzabili altrove.

4.1.3. Inoltre, se è vero che l'autonoma considerazione di detti beni avrebbe determinato una separata plusvalenza per il valore indicato dall'Ufficio, è altrettanto vero che detta plusvalenza sarebbe stata comunque contabilizzata su detti cespiti, sia pure nell'ambito della cessione, sicché l'accoglimento della tesi dell'Ufficio condurrebbe ad una doppia imposizione: indipendentemente dalla considerazione o meno nella cessione, da un lato, non sarebbe necessaria una separata fatturazione, dall'altro, il valore dei beni ceduti sarebbe stato già considerato ai fini della plusvalenza patrimoniale.

4.2. La questione della inclusione o meno di detti beni nell'oggetto della cessione così come quella dell'effettiva contabilizzazione della plusvalenza è stata effettivamente discussa tra le parti ed è sicuramente decisiva ai fini della decisione; in proposito, la CTR si è limitata ad affermare che mobili e impianti non rientrano nell'ambito della vendita, omettendo di spiegarne le ragioni; né la CTR ha chiarito i motivi per i quali l'esclusione di detti beni dalla vendita avrebbe dovuto lasciare inalterato il prezzo della cessione, così determinando l'esistenza di una ulteriore plusvalenza tassabile, senza che si incorra nel divieto di doppia imposizione.

4.2.1. In altri termini, la CTR avrebbe dovuto chiarire le ragioni per le quali: a) "mobili d'ufficio", "impianti allarme" e "impianto telefonico" non rientrano tra i beni ceduti unitamente al complesso immobiliare; b) la non inclusione di detti beni nella cessione implica la realizzazione di una ulteriore plusvalenza tassabile, tenuto conto del fatto che la plusvalenza realizzata è stata già considerata, sia pure nell'ambito di una cessione unitariamente considerata. 4.3. L'accoglimento dei primi due motivi di ricorso implica la cassazione della sentenza in parte qua, affinché il giudice del rinvio riesamini le questioni alla luce delle posizioni delle parti e della documentazione prodotta.

4.4. L'ulteriore questione di diritto, concernente la necessità di una separata fatturazione dei beni in discussione e la violazione del divieto di doppia imposizione, è condizionata dalla soluzione della questione di fatto: ove, infatti, il giudice del rinvio ritenga che, in accoglimento della tesi erariale, i beni "particolari" ceduti non rientrino nella cessione del complesso immobiliare e che l'importo dovuto per la cessione resti invariato anche senza l'inclusione di detti beni (e, quindi, che questi ultimi non debbano considerarsi fatturati unitamente al complesso immobiliare ceduto), sarà inevitabile ritenere la necessità di una loro fatturazione separata e di tassare la plusvalenza.

4.5. Deve, pertanto, concludersi per l'assorbimento del terzo, del quarto e del quinto motivo.

5. Con il sesto e l'ottavo motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, costituito dalla esistenza di attività non dichiarate (materiali di produzione destinati alla distruzione e stoccati nei containers), per un valore commerciale pari a zero; il computo di dette attività sarebbe in ogni caso inficiato da errori di calcolo.

6. Con il settimo motivo di ricorso si contesta la violazione degli artt. 92, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 e 2426 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto legittimamente la società contribuente avrebbe provveduto a contabilizzare in bilancio a valore pari a zero le rimanenze destinate alla distruzione, avendo correttamente applicato i principi contabili e fiscali in ragione dell'effettivo valore di mercato dei beni, in ipotesi inferiore al costo.

7. I tre motivi possono essere unitariamente esaminati, involgendo questioni connesse.

7.1. Come emerge sempre dalle trascrizioni di cui al ricorso, l'Ufficio ha contestato alla società contribuente l'omessa valorizzazione delle rimanenze finali di esercizio, recuperando, pertanto, a tassazione detto valore.

7.2. La società contribuente ha evidenziato la correttezza del proprio operato, facendo rilevare che l'iscrizione di un valore zero in chiusura dell'esercizio 2005 sia legittima, come comprovato dalla mancata utilizzazione delle rimanenze finali, stipate in alcuni containers, a distanza di anni della loro svalutazione, dalla attivazione della procedura di distruzione e dalla loro effettiva obsolescenza.

7.2.1. In ogni caso, il computo delle rimanenze, come documentalmente dimostrato, sarebbe inferiore a quanto determinato dall'Ufficio.

7.3. A fronte di tali specifiche contestazioni, la CTR si è limitata a evidenziare che «le maggiori rimanenze finali di materie prime fanno emergere l'esistenza di attività non dichiarate e inducono ad essere considerate come componenti positive di reddito», senza prendere in alcun modo in considerazione le contestazioni della ricorrente sia in ordine all'effettivo valore delle rimanenze, sia in ordine al lamentato errore di calcolo.

7.4. Orbene - indipendentemente dalla legittimità delle appostazioni a bilancio - deve ritenersi sempre consentito all'Agenzia delle entrate di operare differenti valutazioni delle varie poste, non solo con riferimento a ricavi e costi (Cass. n. 33217 del 21/12/2018; Cass. n. 27597 del 30/10/2018; Cass. n. 21405 del 15/09/2017; Cass. n. 24379 del 30/11/2016; Cass. n. 9497 del 11/04/2008), ma anche con riferimento alle rimanenze finali (Cass. n. 22932 del 26/09/2018), sicché non può configurarsi la violazione di legge prospettata dalla società ricorrente con il settimo motivo, che è dunque, infondato.

7.5. Tuttavia, a fronte della valutazione compiuta dall'Ufficio, la sentenza impugnata non ha dimostrato di avere tenuto conto dei fatti dedotti in giudizio dalla ricorrente, nonché della documentazione allegata a supporto di un possibile errore di calcolo compiuto dai verificatori.

7.5.1. La valutazione dei rilievi e dei documenti prodotti avrebbe potuto condurre il giudice di merito a diverse conclusioni in ordine al valore da attribuire alle rimanenze e alla loro quantificazione.

7.6. La motivazione della sentenza è, dunque, chiaramente insufficiente, con conseguente accoglimento del sesto e dell'ottavo motivo e cassazione della sentenza in parte qua.

8. Con il nono motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, avendo i giudici di appello concluso per l'omessa contabilizzazione dei ricavi con riferimento alle materie prime destinate allo smaltimento, senza attribuire alcuna rilevanza alle deduzioni di W. sul punto.

9. Il motivo è fondato. 9.1. La sentenza impugnata ha ritenuto convincenti le indicazioni dell'Ufficio in ordine ad anomalie esistenti nello smaltimento delle materie prime come rifiuti, anomalie conseguenti sia all'oggetto dell'attività esercitata dalle società incaricate da W. (attività non rientrante in quella dello smaltimento specifico), sia al fatto che dette società avrebbero iniziato la loro attività in epoca posteriore alla compilazione, ad opera della società contribuente, dei necessari formulari.

9.1.1. Di qui il conseguente recupero a tassazione dei maggiori ricavi.

9.2. Peraltro, la stringata motivazione della sentenza impugnata, facendo sostanzialmente proprie le osservazioni dei verificatori, ha del tutto omesso di prendere in considerazione gli elementi fattuali indicati dalla ricorrente (essenzialmente, lo svolgimento dell'attività di raccolta e smaltimento rifiuti da parte della società all'uopo incaricata, risultante dalla visura camerale, e la regolare compilazione dei formulari, con conseguente insussistenza delle anomalie evidenziate dall'Ufficio, comunque non riconducibili alla ricorrente) e, quindi, di spiegare le ragioni per le quali tali elementi non siano in grado di inficiare la presunzione di alienazione a terzi formulata dall'Ufficio.

9.3. La sentenza va, dunque, cassata anche in parte qua e rinviata alla CTR perché verifichi, anche alla luce delle allegazioni della ricorrente, la fondatezza della presunzione di cui all'avviso di accertamento impugnato.

10. In conclusione, vanno accolti il primo, il secondo, il sesto, l'ottavo e il nono motivo di ricorso, rigettato il settimo motivo, assorbiti gli altri.

10.1. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il sesto, l'ottavo e il nono motivo di ricorso, rigetta il settimo motivo e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma il 13 novembre 2019.

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